7

2.1K 101 6
                                    

«Buongiorno», sorrido a Charles mentre entra e va a sedersi con ben poca grazia sul lettino bianco, per poi lanciare via con rabbia le stampelle.

E già da qui capisco che, per lui, è tutto fuorché un buon giorno, e tra poco lo sarà pure per me viste queste non proprio floride premesse.

«Buongiorno Charles», riprovo, alzando di più la voce e assumendo un tono forse eccessivamente allegro. Con i bambini di solito funziona.

Lui alza lo sguardo da un punto fisso a terra per indirizzarlo a me e inarcare un sopracciglio, per poi riportarlo sul pavimento. Dimenticavo che il qui presente Charles Leclerc non è esattamente ciò che si può definire un bambino, anche se i modi di fare odierni possono trarre in inganno.

«Allora, pronto a continuare le terapie?», chiedo mentre prendo la fascia elastica di ieri dall'armadietto, per poi voltarmi verso di lui e trovarlo a fissarmi con la fronte corrucciata. «Domanda stupida, eh?».

Non risponde, si limita a riportare lo sguardo in basso e tamburellare con le dita nervosamente sulla superficie liscia del lettino.

«Comunque ieri sei stato davvero bravo», provo a rincuorarlo, ma purtroppo serve a ben poco. «Sai, dicono tutti che chi parte bene è già a metà dell'opera. Che ne dici di continuare su quella traiettoria?».

Il suo sguardo si posa nel mio, fisso, e per un istante credo davvero di aver smosso qualcosa in lui e nella sua reticenza a collaborare. Poi, però, decide di aprire bocca e rovinare tutto.

«Hai finito di dirmi frasi fatte per incoraggiarmi o posso infilare gli auricolari e ascoltare qualcosa di più interessante dalla mia playlist?».

«Qualcuno qui si è alzato col piede sbagliato», osservo, nel tentativo di sdrammatizzare.

«Sai com'è, quello giusto non può essere appoggiato a terra», replica lui, sottile come una lama, indicando con un cenno del capo la sua gamba infortunata.

«Touché», convengo. «Scusami, non volevo essere inopportuna».

«Più di quanto sei di solito intendi?».

«Ok, credo sia meglio iniziare la terapia di oggi e non parlare», concludo, avvicinandomi a lui e porgendogli la fascia elastica.

Voglio che la indossi lui, non ho intenzione di mettergliela io e trattarlo così da povero malato indifeso. Sarebbe un atteggiamento sbagliato: un atteggiamento che porta l'infortunato ad adagiarsi sugli allori e, conseguentemente, alla rovina.

Lui però, cogliendomi non poco di sorpresa, invece di indossare la fascia elastica, la appallottola e la lancia via con rabbia.

Quando vado a prenderla e riprovo, mi si presenta davanti la stessa scena, come fosse un bambino che fa i capricci.

«Charles, per favore, io vorrei soltanto aiutarti a riprenderti, ma devi darmene l'opportunità», provo a ricordargli con un tono di voce ben più dolce dei miei standard, nel vano tentativo di convincerlo.

«Non voglio il tuo aiuto».

«Ascolta, puoi anche cambiare fisioterapista e lavorare con lui, davvero, mi basta che inizi queste terapie e le porti a termine».

«Non voglio nessun aiuto», precisa, corrugando la fronte talmente tanto che mi viene da chiedermi se non stia per implodere.

«Ma ne hai bisogno».

«Non è vero».

«Charles...», inizio a dire, ma lui mi interrompe.

«Ho male al ginocchio, ci riproviamo domani».

Rise Up || Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora