I ciliegi avevano iniziato a perdere i fiori nel parco vicino alla stazione di Urakami. L'Hanami si stava concludendo in un trionfo di tempera rosa pastello per annunciare il termine della primavera ed il subentrare afoso e violento dell'estate. Un petalo gli scivolò dinnanzi al volto, e le iridi chiare di Levi si posarono su di esso incuriosite, quasi come se gli stesse tacitamente chiedendo di seguirlo. Invece, a distanza di un paio di secondi, la carezza del vento si spense ed esso scivolò a terra, generando un tonfo impercettibile che solo Levi aveva potuto udire, così simile a ciò che provava.
I rami si stavano seccando al sole cocente e stavano rimettendo i loro colori sull'asfalto, creando un tappeto soffice che ben presto si sarebbe avvizzito, per poi essere spazzato via dal primo addetto alla pulizia delle strade. Afferrò il petalo fra indice e pollice e lo arrotolò coi polpastrelli, riducendolo ad una poltiglia. Ecco, ora anch'esso non era nient'altro che una mollica rosata, che si sarebbe disintegrata sotto la pioggia dei temporali estivi.
Era trascorso un mese: un mese di nulla e, per quanto paradossale, di tutto. Mai aveva ricordato la sua vita più insignificante e rinsecchita come in quel momento, eppure farcita di visite neurologiche no-stop, di esami, su esami, su esami, pur di risalire alla causa di una tale carenza che lo aveva privato del tassello centrale del puzzle. La memoria.
Cosa era potuto accadere nel suo cranio da averlo portato ad un simile fenomeno come quello? La diagnosi dei medici era stata soltanto una ed inesorabile: amnesia. Si sentiva una sagoma da quando era accaduto, nient'altro che un pezzo di cartone in cui gli organi erano stati incastrati per creare un meccanismo che di funzionante aveva ben poco. Cosa era lui, se era persino privo delle orme della sua esistenza? A cosa era stato ridotto?
Credeva di star compiendo un interminabile viaggio nell'oscurità, e aveva l'impressione che uscirne si sarebbe rivelata un'impresa impossibile da affrontare.
Furono due i passi sull'erba che annunciarono la comparsa di un individuo a lui estraneo, che si accomodò al suo fianco ed allungò le braccia sulle ginocchia, stendendole dinnanzi a sé. Levi si irrigidì immediatamente quando le sue gambe subentrarono nel campo visivo, e gli ci vollero diversi minuti per placare i nervosismi e riprendere il filo di pensieri da dove era stato interrotto, magari giustificando quella comparsa con il fatto che da quella angolazione fosse possibile vedere tutti gli alberi di ciliegio specchiarsi nel lago del parco. In fondo aveva scelto appositamente quella porzione di terra sulla riva dello specchio d'acqua, così vicino ad esso che avrebbe potuto allungare una mano e sfiorarlo con le dita. Gli piaceva in modo illogico quella zona, e non gli era dato sapere neanche il motivo di quell'affetto che provava nei suoi confronti. C'era e basta, come tutto ciò che ora occupava la sua esistenza superficialmente.
Ogni giorno chiedeva alla vita solo un po' di pace, un briciolo di comprensione che non sopraggiungeva mai, come la più perfida delle maledizioni. E la speranza, lo sapeva bene, un giorno non gli sarebbe più bastata.
Fu per quel motivo che si sollevò: perché era stanco delle menzogne in cui era stato costretto a vivere, come se ci fosse un'entità silente che gli rubava come un ladro tutte le possibilità di poter riprendere il filo del tempo da dove lei l'aveva annodato. Ma soprattutto, rifuggiva il contatto umano riducendolo al minimo indispensabile solo per le visite mediche, perché che senso aveva fingere che tutto proseguisse in modo disinteressato, quando lui disinteressato non era? Voleva soltanto reclamare a gran voce ciò che gli apparteneva di diritto, e sembrava che qualcuno lo volesse ammutolire per sempre.
-È una bella giornata, vero? Non se ne vedevano così da anni.- esordì l'uomo che l'aveva affiancato pocanzi, la voce flautata che giunse alle orecchie di Levi come uno strillo pronto a destarlo dai suoi torbidi pensieri.
Ingoiò una singola volta, gli occhi sgranati ed il corpo contratto per l'agitazione. Credeva che qualsiasi persona che sarebbe subentrata nella sua vita quando non era stata ancora messa a posto, l'avrebbe soltanto incasinata di più, come centinaia di ingredienti disgustosi in un pentolone lercio.
-Già.- si limitò a dire, pregando che la conversazione si concludesse così.
Le ciocche d'ebano dell'uomo fluttuavano al vento tiepido, che si insinuava sotto l'orlo della felpa grigia che gli fasciava le spalle ampie. Era tutto ciò che era concesso a Levi di vedere da quella posizione, e l'estraneo sembrava volesse mantenerla, mostrando del suo volto solo la mascella definita e la rada barba sotto il mento.
-Sa, quello è il primo albero a perdere i fiori,- disse, indicando un ciliegio dalla statura media e all'apparenza più fragile rispetto ai suoi vicini. -ed è puntuale come un orologio svizzero.-
-Ha voglia di fare conversazione?- sbottò allora il corvino, guadagnando maggior vicinanza.
Il castano sorrise e soltanto in quel momento si voltò verso di lui, facendo crucciare maggiormente Levi per la spensieratezza con cui gli si era rivolto, come se niente potesse minimamente intaccare la sua allegria. -Scommetto che lei è una di quelle persone che viene al parco per meditare sulla propria esistenza.-
-Io scommetto che lei sia un eccentrico ficcanaso!- controbatté inacidito, compiendo un altro passo nella sua direzione.
-Può darsi.- asserì, per poi cingere le ginocchia con le braccia. -È che non mi dispiace intrattenermi anche solo per qualche minuto con persone che non conosco. Parlare con loro è stimolante.-
Levi si sentì punto nel profondo da quella affermazione, per quanto sciocca ed insignificante fosse. Stimolante. Quel tizio non avrebbe trovato assolutamente nulla di stimolante nel parlare con un pezzo di carne privo di memoria, o forse l'avrebbe considerato un caso estremo, un'eccezione particolare che avrebbe saziato la sua curiosità.
-Perché riempiono la sua vita vuota?- le labbra gli si tirarono in un'espressione serpentina, velenosa.
L'altro annuì, aggrottando lievemente la fronte nocciola, mentre un cipiglio corniciava le biglie cerulee che gli illuminavano i tratti virili. -Forse. Perché, la sua è completa?-
Maledetta ironia della sorte, che mai l'avrebbe lasciato scappare dalle sue grinfie.
-Perché le piace così tanto parlare con persone che non conosce?- chiese allora, e forse in quel momento era lui a nutrire una punta di genuino interesse nella conversazione instauratasi.
-Perché mi ricorda che siamo tutti uomini, e che certi vuoti non sono più grandi di altri. Gli estranei mi ricordano che ci sono infinite possibilità con cui la mia vita possa prendere una svolta, e quando torno a casa mi sento più completo.-
Completo. Levi, il concetto di completezza, non ricordava cosa fosse, e forse non l'avrebbe mai più conosciuto. Era spezzato, un contenitore di vetro crepato e beccato, incapace di trattenere al suo interno quello che aveva accumulato con l'esperienza. Aveva perso tutto, perché ogni cosa gli era scivolata via dalle mani con la stessa velocità con cui la sabbia scorre fra le giunture delle dita. Aveva perso, e avrebbe continuato a farlo finché non fosse risalito al parassita violento che si era nutrito di tutta la sua linfa.
Si risedette ad una manciata di passi da lui, scrutando il panorama al suo stesso modo. Estranei. Poteva attribuire quel termine a se stesso, ora che era divenuto estraneo persino per chi conosceva da una vita?
-Ma se ora inizio a colloquiare con lei, non saremo più estranei.- mormorò il corvino, il nervosismo che aveva lasciato posto ad un respiro lento e regolare.
-Forse ha ragione.- iniziò l'uomo. -Ma potremmo sempre diventare estranei di nuovo, quando ce ne saremo andati da qui.-
Estranei di nuovo.
La sola idea gli tolse il fiato.
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Strangers again
Fiksi PenggemarTUTTI I DIRITTI RISERVATI Dal testo: -Ma se ora inizio a colloquiare con lei, non saremo più estranei.- mormorò il corvino, il nervosismo che aveva lasciato posto ad un respiro lento e regolare. -Forse ha ragione.- iniziò l'uomo. -Ma potremmo sempr...