Lunedì 13 febbraio ore 15:45.
«Scusa per il disordine in giro, ma dobbiamo svuotare gli ultimi scatoloni del trasloco» disse chiudendo piano la porta, cercando di trattenere un colpo di tosse «Non farci caso» continuò.
All'interno della casa nessuna luce era accesa, ma i raggi fiochi del sole illuminavano abbastanza per poter vedere. Alcuni pacchi erano impilati lungo il corridoio centrale, altri erano ancora dentro le stanze colmi di ricordi e fotografie. I termosifoni erano accesi e dovetti togliermi il cappotto, per cercare di abbassare la mia temperatura. Lo appoggiai vicino all'entrata della cucina, sopra ad una piccola sedia di vimini. Quel calore era piacevole, confortante e ti coccolava dopo esser stato per tanto tempo fuori, tra le grinfie del gelo di Febbraio.
Ai muri nessun quadro era ancora appeso, mi ricordava il bianco pallido delle pareti d'ospedale; spogli come corpi senza vita.
Camminavo lentamente per osservare ogni piccolo dettaglio delle stanze, che riuscivo a scovare tra uno sguardo e l'altro. I mobili variavano dal moderno al vintage, forse quelli più antichi provenivano direttamente dalla sua vecchia casa.Marco era dietro di me, camminava piano ed ogni tanto si fermava per concedermi un po' di spazio per farmi curiosare in giro, come se stesse osservando da lontano un'opera d'arte dentro un museo.
Ad un tratto, i miei occhi si posarono su una foto posizionata vicino alla televisione del salone. Ritraeva due bambini che giocavano spensierati tra le braccia di una donna. Avevano tutti un'espressione felice e piena d'affetto, mentre le montagne in lontananza completavano il quadretto della famiglia felice. Sentii dei passi avvicinarsi e nel riflesso del vetro del portafoto, vidi la spalla di Marco sfiorare la mia. Era così vicino che potevo sentire il suo respiro farsi più pesante.«Quelli siamo io e mio fratello, nostra madre voleva sempre portarci in montagna durante l'estate. Diceva che ci faceva bene respirare un po' d'aria pulita» esordì poco dopo, rompendo il silenzio creatosi tra di noi, mentre una leggera risata, quasi ironica, si liberava nella stanza.
«Dov'è adesso tuo fratello?» chiesi guardando ancora l'immagine, per cercare qualche altro dettaglio.
Esitò prima di darmi una risposta «Purtroppo non ho più sue notizie da anni, un giorno se n'è andato e non è più tornato». Quelle parole erano così fredde da farmi gelare il sangue, forse era successo qualcosa tra loro due, ma non volevo indagare oltre.«Vieni, ti porto al piano superiore così ti mostro camera mia» mi guardò accennando un sorriso, mentre cercava di nascondere, per qualche istante, quell'enorme peso che si portava da tempo, come un macigno impossibile da scalfire.
Annuii in silenzio e seguii i suoi passi leggeri verso una grande scalinata in legno, che portava al secondo piano. Ogni movimento dei nostri piedi era seguito da uno scricchiolio soffocato. Appoggiai una mano alla ringhiera e la feci scivolare delicatamente, come a voler accarezzare quelle venature intrise di vecchi ricordi.Arrivati all'ultimo scalino, Marco si voltò e con un lieve accenno di contentezza, mi fece spazio per passare. «Camera mia è la prima porta a destra» disse quasi con un filo di voce, indicandomi con l'indice il percorso da fare. Con passi felpati, mi guardai attorno cercando di non far intravedere la mia curiosità. L'atmosfera era la stessa del piano di sotto: i raggi lievi del sole invernale, che sbucavano dalle stanze, illuminavano abbastanza per poter osservare cosa si nascondesse nell'ombra. Un orologio a cucù in legno era appeso vicino alla stanza di Marco. Era molto bello, pieno di intagli che formavano figure geometriche floreali. Aveva un pendolo color oro e dondolava a ritmo dello scorrere del tempo. Chissà, forse era stato un regalo di qualcuno.
«Dimmi la verità, come mai sei venuta a trovarmi?» mi chiese all'improvviso, sedendosi sul suo letto ancora sfatto, senza nemmeno avermi dato il tempo di imprimermi qualche dettaglio o di pensare a cosa potessi dire riguardo a ciò che era successo in ospedale.
Rimasi ad osservarlo per qualche minuto, cercando di non perdermi tra quelle iridi verdi come foglie in primavera. Aveva un'espressione indagatrice, ma dietro a quella maschera si celava una tristezza infinita, come se cercasse di non far trasparire nulla anche se il suo viso urlava più di mille parole.
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Non farmi addormentare.
General Fiction[Completa] "Te n'eri andato senza parlare, come il vento che si attenuava dopo una forte bufera. Urlai il tuo nome, correndo nel punto in cui ti eri fermato a guardarmi. Mi accasciai a terra e piansi, mentre il buio avanzava e il tempo ritor...