Capitolo 14.

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Sabato 18 Febbraio.

I giorni a seguire furono un calvario. Mia madre, una volta ritornata a casa, non smetteva un secondo di piangere. Urlava di continuo frasi sconnesse: «Sono rimasta sola, perché è dovuta morire davanti ai miei occhi? Mi ha preso la mano prima di esalare il suo ultimo respiro. La chiamavo: mamma, mamma! Ma lei non rispondeva, se ne stava andando e io non ho potuto fare nulla. Nessuno ha mosso un dito!»
Ero stufa di tutte quelle parole piene di rancore, di ogni lacrima versata, nel tentativo vano di riportare un passato senza più significato e del tempo che scorreva inesorabile, portandomi nel fondo più oscuro.

Quella mattina non andai a scuola, ero rimasta a casa per aiutare mia madre nel prepararsi, prima di recarci in chiesa nel pomeriggio. In quel piccolo appartamento, schiere di parenti si fecero vivi dopo anni di assenza, come se solo la morte potesse ricongiungere attimi mancati, di cui alla vita non importava assolutamente nulla. Gente mai vista, mi chiedeva come stessi con così tanta leggerezza, da farmi venire il voltastomaco. Baci, abbracci e parole di conforto buttate al vento, come Giuda nel momento del suo tradimento. Odiavo tutta quell'ipocrisia da quattro soldi, limitarsi a due parole di condoglianze, per poi spettegolare su altre persone e rimanere aggiornati sulle ultime notizie. Avevo una rabbia in corpo, tale da voler urlare a tutti di andarsene e lasciarmi in pace. Non si poteva colmare una mancanza con frasi dolci per sembrare simpatici, per poi ritornare al silenzio una volta usciti dalla "Casa di Dio". Lo squallore di gente ignobile, che si credeva superiore al resto del mondo.

Dopo una misera messa pomeridiana fatta di pianti, di strette di mano di gente sconosciuta e di rabbia verso qualsiasi parola di conforto, scoppiai in lacrime dietro al sedile della macchina di mio padre, mentre ci dirigevamo verso il non lontano cimitero del paese. Avevo il viso coperto dai miei capelli scuri come i tronchi degli alberi, non riuscivo a respirare per i singhiozzi strozzati e dal naso tappato. Nessuno dei miei pochi amici era venuto a farmi visita, lo avevo detto addirittura a Jonia per annullare l'uscita insieme. Non ero dell'umore giusto, ma anche lei, come tutti gli altri, si era fermata a qualche parola di condoglianza scritte su uno schermo di un cellulare, senza venirmi a trovare due minuti per chiedermi come stessi veramente. Sembrava tutta una farsa.

Appena arrivati alla cappella di famiglia, il becchino era già lì ad aspettarci insieme ad un altro signore che teneva in mano spatola e cemento in un secchiello rosso. Le pompe funebri tolsero le corone dei fiori dalla bara scura e lucida dove conteneva i resti di un tempo passato e li depositava delicatamente dentro una tomba fredda e grigia. Mi feci leggermente avanti per darle un ultimo saluto e lasciargli un piccolo cuore fatto di rose rosse e bianche, lei amava i fiori e volevo che almeno qualcosa di lei se lo portasse con sé in quel lontano posto, soprannominato da tutti paradiso.
«Spero tanto sia riuscita a trovare mio padre finalmente, dopo tanti anni» mi sussurrò mia madre con la voce spezzata dal pianto. Guardai a destra del loculo, notando che la tomba di nonno era parallela a quella in cui stanno mettendo la nonna. Chissà, forse in quel momento si staranno sorridendo e abbracciando, come il loro primo incontro avvenuto in un giorno d'estate durante la seconda Guerra Mondiale.

Mi allontanai da tutta quella gente, cercando di trovare un piccolo spazio dove poter restare sola con i miei pensieri. Odiavo la morte, così spietata e ingorda di anime, come una donna in sovrappeso, vestita di nero e con unghie lunghe laccate di rosso del sangue di persone innocenti.
Quel cimitero era silenzioso, non si sentivano nemmeno i fringuelli cantare. Il vento forte correva lungo le insenature delle piccole e strette vie sterrate, mentre il sole giocava a nascondino con le nuvole. Mi sedetti su una panchina in pietra non molto lontano da tutta quella folla indiscreta, in cui il chiacchiericcio era l'unica fonte importante per parlare del più e del meno. Asciugai le lacrime con un fazzoletto e con le dita delle mani pulii le guance diventate troppo umide.

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