Capitolo 2.

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Una settimana dopo.

Era una domenica mattina soleggiata. Quelle poche volte in cui nel mese di gennaio uscivano quei raggi caldi, mi mettevano sempre di buon umore.

La mia camera era inondata da quella luce gialla che illuminava le pareti bianche e i mobili in legno scuro, creando giochi di ombre affascinanti.
In controluce si potevano notare dei piccoli filamenti di polvere che volteggiavano nell'aria. Avevo sempre pensato, fin da piccola, che raffigurassero l'universo. Piccole stelle bianche che si muovevano leggiadre in quella profonda oscurità, creando colori inimmaginabili.

Mi avvicinai alla finestra e la spalancai. Il vento gelido iniziò a pizzicarmi il volto per poi entrarmi fin dentro le ossa. Le guance si colorarono di un rosso tenue e alcune ciocche dei miei capelli scuri presero vita, grazie al movimento del vento.

Faceva freddo, ma non volevo perdermi quell'attimo per niente al mondo. Socchiusi gli occhi per un po', godendomi quel buon profumo di prima mattina, ma a un tratto un rumore strano mi ridestò dai miei pensieri.
La serranda dei vicini iniziava ad aprirsi lentamente e in quel momento il mio cuore perse un battito. Forse avrei rivisto Marco.
Erano passati diversi giorni dall'ultima volta che lo avevo visto.
La mia routine non era cambiata molto: a scuola ero sempre l'ultima ruota del carro, ma avevo iniziato a parlare con una ragazza di nome Jola. Mi ricordava molto Giulia, aveva quasi lo stesso modo di parlare e anche il volto le somigliava tantissimo.

Era successo per caso.

Era ricreazione, io mi trovavo al primo piano dove c'erano tutte le classi del linguistico.
Quel giorno mi ero dimenticata la merenda a casa e così ero dovuta scendere al bar per comprare qualcosa perché il mio stomaco non smetteva di brontolare.
Appena ero entrata, una marea di ragazzi dello scientifico e del linguistico si erano riuniti al bancone del bar per ordinare la pizza, panini o altre schifezze varie.
Chi spingeva per passare davanti a tutti, saltando la fila, chi urlava per l'ordinazione sbagliata. Avevo preso più gomitate sui fianchi quel giorno che in tutti i miei sedici anni di vita.
Nessuno mi avrebbe fatto passare avanti, così avevo optato per il distributore automatico. C'era poca gente "Meno male..." dicevo tra me e me.
Davanti c'era una ragazza molto più alta di me, forse faceva il quinto o il quarto e aveva un'aria persa, quasi spaventata. Sembrava quasi di guardarmi allo specchio.

Così mi azzardai a dirle: «Giornata piena, oggi».
Lei si era girata di scatto, sorpresa nel vedermi lì. «Beh, sì... oggi più del solito. Si vede che è il giorno delle pizze gratis, si fa sempre una volta all'anno. I rappresentanti d'istituto sanno il fatto loro» sorrideva guardandomi negli occhi con un pizzico di timidezza.
La sua voce mi metteva tranquillità quasi come quella di Giulia. I suoi movimenti erano lenti e aggraziati, forse sarebbe stata anche un'ottima amica.

«Mi sa tanto di sì» sorrisi di rimando «ho provato ad addentrarmi in quella bolgia, ma è stato inutile» la guardai «Ho ricevuto solamente gomitate allo stomaco» dissi infine con po' d'imbarazzo.
Lei ricambiò il sorriso, spostandosi da un piede all'altro come se cercasse di nascondere il nervosismo.
«Sei una ragazza simpatica» appoggiò una mano magra sulla mia spalla «Mi chiamo Jonia e tu sei?»
La osservai per un attimo notando il suo corpo magro e snello, rendendomi conto del suo dolce gesto «Oh, beh... io sono Sophie» la guardai fermandomi a scrutare i suoi occhi marrone scuro come i miei «la mia aula è al primo piano e non vengo spesso qui» indicai con l'indice il soffitto del bar.
«Quindi tu fai il linguistico, eh?»
Annuii lievemente chiudendomi nelle spalle «Suppongo che tu faccia lo scientifico, non ti ho mai vista» dissi, dopo qualche secondo di silenzio.
«Indovinato, sto al secondo piano e di solito non uso le scale principali. Non mi piace essere notata dalla gente» rispose facendo un passo in avanti per non fermare la fila.
Quelle parole mi stupirono. Sembrava mi avesse letto nella mente. Non volevo aprirmi troppo, così mi limitai a dire: «Già, ti capisco».

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