Capitolo 19.

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Martedì 21 Marzo.

Quella mattina di primavera era troppo fresca e umida, in confronto alle solite giornate piene di sole della settimana trascorsa. La notte aveva portato con sé una pioggia ingombrante, a tal punto da riempire gli argini della strada di pozzanghere e foglie morte. Il vento aveva fatto cadere dei rami secchi in mezzo all'asfalto e aveva portato via anche la bellezza dei raggi solari, per poter riscaldare la mia pelle troppo fredda e il mio cuore pieno di pezzi impossibili da rimettere insieme. Il panorama scorreva veloce dietro al finestrino della macchina di mio padre, mentre mi accompagnava a scuola. Era una tra le rare volte in cui si svegliava presto e mi dava un passaggio, prima di andare in tribunale a difendere qualche suo cliente.

C'era troppo silenzio in quel fuoristrada, in sottofondo si sentiva un leggero brusio del notiziario di una stazione radio locale. Aveva la mania di essere sempre aggiornato in qualsiasi campo sia politico sia economico, non riusciva mai a non pensare al suo lavoro.
«Tu as la tête en l'air, aujorud'hui» proferì, guardandomi di sfuggita per non distrarsi troppo dalla guida. Mio padre non sopportava spesso i silenzi, soprattutto quando era con me e voleva cercare di avere una conversazione.
«Je l'ai toujours, papa» cercai di essere ironica nei confronti della sua affermazione. La mia testa era sempre da un'altra parte, non riuscivo a non pensare a quel giorno con Lorenzo. Ormai era diventato un pensiero fisso, un tarlo divoratore che si nutriva della mia materia grigia. Riuscivo quasi a sentire ancora il sapore delle sue labbra leggermente screpolate; due petali poggiati sulla sabbia, mentre un'onda di emozioni travolgeva ogni singolo centimetro di ragione. Tutto sembrava avesse perso un senso, caos e distruzione si facevano largo all'interno del mio cuore fino a creare confusione. Una tempesta inaspettata impossibile da fermare.

«Qu'est-ce qui ce passe? Tu es trop silencieuse» domandò leggermente preoccupato, forse per la mia poca dedizione allo studio, scesa drasticamente nelle ultime settimane. Ero completamente immersa in un plasma trasparente, in cui tutto ciò che mi veniva detto, le mie orecchie captavano solo versi incomprensibili. Volevo solo essere lasciata in pace, avevo bisogno di restare da sola.

Mio padre aveva arrestato la radio, finito il notiziario la spegneva automaticamente, non sopportava le canzoni piene di batterie e chitarre acustiche. Mi diceva sempre di essere abituato a un genere più leggero, rispetto alla moda del momento. Ogni volta mi veniva quasi da ridere perché mio padre non cambiava mai, come se fosse rimasto fermo durante un viaggio nel tempo, almeno era quello che speravo. In quell'auto si sentivano solo il rumore ovattato del motore e la gomma delle ruote svettare veloci lungo l'asfalto grigio e bagnato.
«Ho troppi pensieri per la testa, devo cercare di dare un ordine a tutto» proferii poco dopo, cercando di non entrare troppo nello specifico.
«Tua madre è preoccupata, sei sicura di riuscire a farcela?» mi chiese con quell'accento francese e la erre uvulare, da rendere quella frase in italiano del tutto bizzarra «Se hai bisogno d'aiuto posso trovarti un'insegnante di ripetizioni» aggiunse qualche secondo più tardi, guardandomi di nuovo di sfuggita per osservare meglio la mia reazione.
«Ba', ce la faccio non ho bisogno di aiuto» dissi leggermente innervosita dalla sua proposta, non volevo essere vista di nuovo come un peso economico. Avevo solo bisogno di tempo.

«Testarda come tuo padre, n'est-ce pas?» sogghignò quasi soddisfatto «Se c'è una cosa che ho imparato dal mio lavoro è di non poter fare milioni di cose in una sola volta o rischi di trovarti un cliente insoddisfatto e arrabbiato» alzò il dito indice verso l'alto come per sottolineare l'importanza di quelle ultime parole. Era strano che mio padre si aprisse così tanto con me, in tutti quegli anni non avevo mai avuto una conversazione seria con lui. Forse mio nonno gli aveva fatto veramente una lavata di capo e si era messo subito all'opera per rimediare agli sbagli commessi «Quello che voglio dirti, ma perle, è di concentrarti prima su una cosa e poi passare subito a un'altra solo così saprai cosa fare. Ovviamene però, focalizzati soprattutto negli affari a breve termine o perderai occasioni di cui un giorno te ne potresti pentire» quelle frasi mi fecero ritornare il volto di Marco, impresso maniacalmente nel mio cervello da non riuscire più a toglierlo. La sua scadenza stava lentamente giungendo a una fine, eravamo arrivati al punto di non ritorno ed io non ero minimamente pronta ad affrontare un inverno troppo gelido e tetro, dove la morte regnava indisturbata portandosi via ricordi e anime innocenti. Mio padre sapeva sempre dove colpire e riaprire la breccia, rimasta per troppo tempo a impolverare il mio animo.
«J'ai compris, papa. Merci.» risi a fior di labbra, mentre parcheggiava vicino all'istituto per lasciarmi andare a lezione. Scesi dalla macchina ancora accesa e lo salutai dal finestrino, mentre un sorriso sghembo si formò sul suo volto, uno tra i rari momenti in cui mi regalava piccoli attimi di dolcezza.

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