A ventiquattro anni fu la seconda volta che conobbi Jordie.
Mio fratello si sposava, non con Sam. Si erano lasciati cinque anni prima perché lei si era innamorata di una ragazza e aveva capito di non amare entrambi i sessi.
La ragazza di Daniele si chiamava Ceren ed era islamica. Per la nonna la cosa era stata un problema, all'inizio. Lei è molto cattolica e accettare che suo nipote rinunciasse del tutto alla religione di famiglia per una ragazza era stato difficile.
A mio fratello però, tendenzialmente ateo, non importava quale religione professassero i figli in futuro, e amava Ceren.
Alla fine mia nonna mi fece giurare di sposarmi in chiesa e far battezzare i miei bambini. Io le promisi che lo avrei fatto, ma ero piuttosto convinta di non volermi sposare in futuro.
Mia nonna se ne fece una ragione e altrettanto i genitori e parenti di Ceren,
Il matrimonio di mio fratello era stato molto più complicato di così, in realtà. L'ho riassunto il più possibile per evitare di citare scene come la cena di famiglia, quando mio fratello fu cacciato di casa e ciabattate dalla zia di Ceren, o la scelta delle damigelle e la completa eclissi del mio ruolo di sorella dagli incarichi principali.
Al matrimonio di Daniele fu invitata anche Sam.
Io e Sam continuavamo a vederci ogni giorno. Facevamo colazione insieme e poi lei andava all'università ed io a lavoro. Lei studiava giurisprudenza, io servivo pizze cantando O Sole Mio ai clienti indossando baffi finti e un cappello da chef imbarazzante.
Alla fine del liceo mi ero messa in testa di voler fare la scrittrice, cosa che mi nonna e mio nonno mi avevano caldamente sconsigliato. Mio fratello invece, l'aveva approvato, ma mi aveva esortato a cercare di raggiungere i miei sogni con un saldo piano di appoggio prima, e io ovviamente non mi ero iscritta all'università e avevo iniziato a fare lavoretti modesti per uno stipendio misero, pensando ingenuamente che avrei così avuto più tempo per scrivere.
Ovviamente non era assolutamente vero.
Avevo persino deciso di andare a vivere da sola, condividendo il mio appartamento con una coinquilina, che mio malgrado cambiava di mese in mese, trovandomi in una incastrata tra la mancanza di tempo e la difficoltà economica.
Incontrai Jordie un mese e mezzo prima del previsto.
Quella mattina mi ero svegliata con un mal di schiena fortissimo e solo alzarmi in piedi mi aveva fatto sentire come un ferro vecchio.
Il mio gatto, Chimney, si era acciambellato ai piedi del mio letto e mi scrutava con i suoi grandi occhi gialli. Era un gatto grasso e peloso, a macchie rosse e marroni, con uno spruzzata di bianco sul musetto.
«Che vuoi, tu?» gracchiai. Chimney evitava solitamente di dormire accanto a me, anche quando lo volevo io, lui preferiva il divano. Intuii dovesse avere fame. La diciottenne con cui condividevo l'appartamento non doveva essersi minimamente curata di dargli da mangiare.
Sbuffai. Ivy era con me da solo un paio di settimane e già non la sopportavo più. Lasciava la biancheria in giro per l'appartamento, non puliva mai dopo aver cucinato, attingeva dalle mie dispense di cibo ed il suo irritante allarme della quattro di mattina svegliava più me che lei, che tra l'altro non dava idea di smuoversi dal letto finché non arrivavo io a scuoterla e pregarla di spegnerlo.
Dare da mangiare a Chimney sarebbe stato il minimo, ma non lo faceva mai. Così tra una lamentela ed un brontolio diedi al micio gli avanzi del giorno prima e mi diressi verso il bagno.
Ero scalza, perché era piena estate e il fresco del pavimento sotto le palme nude dei piedi era piacevole. Tuttavia a un certo punto il fresco si fece bagnato. Erano le dieci ed era domenica, l'unico mio giorno di riposo della settimana, ma faticai lo stesso a mettere per bene a fuoco ogni cosa.
Alla fine vidi l'acqua uscire dai piedi del lavandino, lenta come la marea.
Trascorsi tutta la mattinata a chiamare idraulici e condominiali, soprattutto la vecchia dell'appartamento sotto al mio, sperando non si fosse ritrovata macchie sulle pareti o sul tetto, perché altrimenti non avrei dovuto pagare solo il mio di problema.
Ivy arrivò a casa per pranzo e si offrì di cucinare lei per me in modo che non dovessi faticare. Io, bagnata da capo a piedi, proposi invece di ordinare una pizza ed evitare di farmi trovare anche i patti da lavare a fine giornata.
«Ma li lavo io».
Avrei voluto dire "ultime parole famose", ma dissi soltanto «No, davvero, grazie».
Il signor Butterfield, l'idraulico, ci disse che avevamo un tubo rotto e che però sarebbe stato facile aggiustarlo. Cinquanta euro di risparmi erano volati via per il bagno.
Quando arrivò la pizza, Ivy, seduta sul divano nei suoi pantaloncini di jeans, si lagnò della spesa. «Cento euro! Non è un po' troppo per un tubo?».
Io però, seduta sul pavimento nella mia salopette xxl, scrollai le spalle e le dissi che non era di mia competenza.
L'importante era aver risolto il problema.
E invece no. La vecchia del piano di sotto si ritrovò un'ora dopo una macchia scura sul soffitto.
Erano le quattro del pomeriggio e per le sei mi ero prefissata di uscire e cercare un bel vestito da comprarmi per il matrimonio di Daniele. Non avrei mai fatto in tempo e dovetti utilizzare le ultime energie che avevo in corpo per litigare con quella vecchiaccia con il collo da struzzo.
«Siete delle irresponsabili, voi e la vostre generazione! Adesso chiamo il mio avvocato!»
«Signora» Ivy cercava di fare la diplomatica, «Non è stata colpa nostra, come poteva? E poi questi appartamenti sono vecchissimi!»
«Sì, un po' come lei» avevo commentato e per poco non mi aveva spinta per le scale.
Ecco, proprio mentre litigavo con la vecchia, a venticinque anni, bacchettata ad ogni mio commento sarcastico da una diciottenne distratta, vidi Jordie dopo tanto tempo.
La porta accanto dell'appartamento della vecchia si aprì, rivelando alle sue spalle il volto cresciuto del vecchio amico di mio fratello, che aveva ancora gli occhi grigi ma dei lineamenti spigolosi e della spalle più larghe. Non si era fatto più bello, era solo cresciuto.
«Cosa succ...» stava dicendo, poi il sguardo aveva incrociato il mio e si era zittito. Io ero ammutolita appena la porta si era aperta.
«Oh! Signor Thomas! Menomale che è qui. Lei, così educato e gentile! Questi giovani di oggi non comprendono più cosa significhi portare rispetto ai più grandi».
Io, malgrado lo stupore e l'agitazione, scoppiai a ridere. «Il signor Thomas non è più grande, ha la mia stessa età».
«No, ha quarant'anni» la vecchia sembrava molto sicura di sé.
«Ah sì? E cosa hai fatto, Jordie, hai viaggiato nel tempo?» mi rivolsi a lui. Decisi che fare finta di nulla sarebbe stato il comportamento più adatto. Anche perché tra il suo viso cereo e il ghigno da topo della vecchia non penso sarei potuta sopravvivere emotivamente altrimenti.
«Sa che c'è» dissi infine, sospirando, «Chiami il suo avvocato, non m'importa».
Salii le scale a due a due con Ivy che mi chiamava disperata alle spalle.
Jordie mi stava ancora guardando, percepivo il suo sguardo sulla pelle e mi veniva da piangere.La notte non dormii, pensando ai suoi occhi grigi e all'espressione atterrita che aveva avuto accorgendosi di me.
A lavoro non avevo le forse consistenti per cantare O Sole Mio e dovette sostituirmi Paola, l'unica altra ragazza italiana del locale.
«Che hai, ti hanno picchiata?» mi chiese Iana, riferendosi alle profonde occhiaie che mi incorniciavano gli occhi.
«Simpatica... a te hanno tirato i capelli finché non ti si sono allungati?» le chiesi, riferendomi alle sue extentions servendo una margherita con acciughe e banana ad una coppia di obesi americani. Posso capire mangiare l'ananas sulla pizza, perché alla fine non è male, ma con le acciughe? Secondo quale logica?
Iana era l'unica amica che avevo nel locale, le altre ragazze sotto pagate erano tutte piuttosto restie alle chiacchiere. Una, Eun Bing, coreana, alla pausa pranzo delle quattro si sedeva sul pavimento della cucina e si metteva a studiare come se ne dipendesse la sua vita. Paola se ne stava sempre per le sue con lo sguardo triste. Una ragazza argentina, Armanda, non sapeva la lingua e parlava solo con Lola, spagnola, che ogni giorno mi squadrava da capo a piedi, quasi fossi un'aliena.
Il ristorante aveva aperto da poco, eravamo tutte nuove all'ambiente, ma i pregiudizi non avrebbero aiutato nessuno a trascorrere meglio le proprie giornate.
Quel giorno io e Iana staccavamo alla stessa ora.
«Oggi ci sei per un aperitivo da Starz per le nove?» mi chiese, accendendosi una sigaretta, «Siamo io, te, Lola e Eun Bing».
«Ah sì, anche Eun Bing? E a Lola lo hai detto che ci sono anche io?»
Iana aveva fatto roteare gli occhi e se ne era andata, facendo risuonare sul marciapiede il movimento dei propri tacchi altissimi.
Arrivai a casa che erano le sei del pomeriggio e mi facevano male le gambe. I mezzi quel giorno si erano rotti e aveva dovuto farmi una buona mezz'ora di camminata.
Mi ferma un momento a piano terra per controllare la cassetta della posta.
«Sei tornata» sentii una voce alle mie spalle. «Ti ho sentita che uscivi di casa alle otto. Devi lavorare molto».
Con un paio di bollette tra le mani continuai a fissare la cassetta vuota. «Mh» dissi, rigirando lentamente la chiave. «Meglio lavorare molto che non lavorare» conclusi, girandomi e mi sforzai per sorridergli.
Quindi adesso sarebbe stato sempre così? Lo avrei casualmente incontrato tutti i giorni e avrei dovuto far finta di nulla?
Avevo tante domande per la stessa senza alcuna possibile risposta.
Prendemmo l'ascensore insieme. Io era attaccata alla parete, lui era distante di qualche centimetro, e rivolto verso le porte mi dava le spalle. Indossava un cappotto lungo ed elegante di colore grigio.
«Buonanotte» mi disse, senza guardarmi, prima di uscire un piano prima di me.
A casa trovai Ivy intenta a cucinare una sorta di lasagna con il formaggio di soia. «Tu apparecchia, la mangi con me!»
«No, grazie, Ivy, ho un'insalata che sta per scadere».
«Dài, l'insalata la mangi domani» insistesse, con quel suo modo di fare pieno di energia ed entusiasmo.
Non è che non mi fidavo delle sue doti culinarie, è che non mi fidavo del formaggio di soia. Questo suo desiderio di farsi vegana non lo comprendevo affatto. Allo stremo delle forze accettai e mi diressi in salotto con piatti, posate e bicchieri tutti impilati gli uni sugli altri.
«Ti va di vedere un film?» le chiesi.
«Okay! Cosa abbiamo?» urlò dalla cucina.
«Constantine, La casa sul Lago Del Tempo e Matrix».
«Ma sono tutti con Kneau Reeves».
«Me li ha regalati mio fratello» scrollai le spalle.
«Facciamo il secondo che non l'ho mai visto».
Ivy si innamorò del La Casa Sul Lago Del Tempo. Le dissi che non a caso era il mio film preferito.
Finita la cena io scoprii che la lasagna vegana era mangiabile e Ivy decise che il giorno seguente avrebbe creato un account netflix che avremmo dovuto condividere.
«Ma costa» avevo protestato. Tuttavia ero d'accordo sul fatto che guardare gli stessi tre film ogni sera non contribuiva a rendere il giorno più felice.
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Tre Passi Distanti
Short StoryAvevo sempre contato i passi che mi separavano da Jordie, ma non avevo mai considerato che camminavamo nella stessa direzione.