구; IX

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Fui riaccompagnata a casa da Owen e Ben, perché Jordie se n'era andato una mezz'ora prima con Olive, senza dirmi nulla.
«Ancora non ci credi che quel tipo è strano?» mi chiese Ben.
«'Sta zitto» lo ammonì Owen, tenendo le mani ferme sul volante con un espressione serissima. La trovai una cosa strana, da quel che sapevo ad Owen Jordie non era mai piaciuto. Forse, pensai, destava più Ben che Jordie.
Tutti detestavano Ben all'epoca, tranne mio fratello.
Daniele aveva in effetti una sorta di malattia inguaribile nello stringere amicizia con le persone più peculiari, da Jordie, a Ben, allo stesso George che era già stato in prigione circa tre anni per spaccio ed era giovanissimo.
Io, d'altro canto, a casa trovai Ivy seduta sul divano al contrario, con la testa in giù, che mangiava pop corn.
«Ben tornata!» mi accolse, smuovendo la chioma che sfiorava il pavimento. «Non è presto?»
«Sono le dieci» borbottai, prendendomi giusto un paio di secondi per domandarmi cosa diavolo stesse facendo.
«Fa bene alla circolazione» spiegò, quasi mi avesse sentita, «Evita la cellulite sulle gambe».
«In testa c'hai la cellulite tu!» scelsi di usare l'italiano per evitare bisticci e mi defilai in camera.

Non vidi più Jordie sino al lunedì. Ero passata a casa sua la sera prima, ma non aveva risposto nessuno.
A lavoro dovetti cantare Il Mondo, perché il proprietario credeva fosse opportuno smettere di cantare una canzone tanto vecchia come O Sole Mio. «Ah sì, giusto, perché Il Mondo è molto recente» avevo replicato, e lui aveva annuito dicendo «Certamente, certamente». Il mio capo era un tipo molto strano, un soggetto da laboratorio giungerei a definirlo, uno dei tanti che conoscevo, e proprio per questo iniziai a chiedermi se magari non ero io il problema.
Eun Bing comunque era più stressata di me, «Tre esami la stessa settimana!» ripeteva ogni volta che qualcuno la faceva irritare. La povera Paola dovette sorbirsi ben tre sfuriate della piccola Bing soltanto per averle chiesto una mano con le ordinazioni.
A fine giornata eravamo tutte un po' blu, non solo Paola, che anzi per una volta era viola, continuando a guardare Eun Bing in cagnesco. Io me la ridevo, prendendole in giro con Iana, ma ritornando a casa non trovai più molto da ridere.
Davanti al portone avevo infatti trovato Jordie e Olive che chiacchieravano.
«Ciao» salutai.
Olive sorrise e senza dire nulla si allontanò camminando in punta di piedi come una principessa.
«Novità?» domandai a Jordie mentre prendevamo l'ascensore.
«Io e Olive ci siamo fidanzati» disse, puntandosi la punta dei piedi.
Chissà per quale ragione, la "novità" che avevo chiesto non fece su di me alcun effetto. «Mh. Bello!» esclamai, «Hey, ti va se questa sera ti leggo quello che ho scritto in queste ultime settimane? Mi mancano un paio di capitoli e ho finito il libro».
Jordie sfoggiò il suo sguardo imperscrutabile, «Come vuoi».
«Davvero? Non avevi detto che volevi aspettare che li scrivessi tutto?»
«Come vuoi» ripeté.
Inarcai un sopracciglio e sbuffai una risata, «Cos'è, sei arrabbiato?»
Immaginai di sì. Con ogni probabilità si sarebbe aspettato una scena strappalacrime da parte mia, o quantomeno un minimo di interesse, ma che senso avrebbe avuto? Nessuno dei due avrebbe mai creduto possibile che le cose andassero diversamente. Rattristarsi per la realtà dei fatti era malsano e inutile. Per una volta che decidevo io di comportarmi da automa lui non riusciva a perdonarmelo?
Jordie, infatti, non rispose. Scese dall'ascensore muto come un pesce.
Quella sera non gli lessi alcunché, intuendo fosse opportuno lasciarlo solo e per me non vederlo per un po'.

Pochi giorni dopo uscii per la prima volta con Ben. Il fatto era che quando aveva preso il posto di Jordie durante il matrimonio di Daniele lo avevo trovato simpatico. Era sì selettivo e superbo, probabilmente non si dava nemmeno penuria di scoprire i propri difetti, non credendo ne esistessero. Tuttavia Ben era un essere umano con un'anima, senza una famiglia ricca e una fidanzata con una doppia faccia. E poi mi faceva ridere, che era quanto mi serviva.
Continuai a vedermi con Ben e non vedere Jordie per almeno un mese. Capitava ogni tanto che inciampassi in Jordie quando andavo a prendere la posta o prendevo l'ascensore, ma nessuno dei due spicciava parola.
Finii il libro una settimana dopo il nostro ultimo incontro casuale e lo feci leggere per prima a Eun Bing, che mi dava l'idea di intendersene di romanzi.
Eun Bing aveva finito la sua sfilza di esami della stagione ed era stata ben propensa a prestarmi un po' del suo tempo.
«Mi piace» aveva detto, con gli occhi sgranati e un sorriso a trentadue denti. «Davvero! Mi piace davvero!»
Dedussi non aveva serbato troppe speranze nelle mie capacità narrative, ma fui contenta di averle provato il mio talento nascosto. Iana mi promise l'avrebbe letto al più presto ma ero sicura non l'avrebbe mai fatto.
Daniele lo lesse in mia presenza. Lo avevo invitato appositamente a dormire da me cosicché potesse leggerlo con tutta la calma del mondo.
«Parla di un alieno caduto dal cielo come una stella cadente» lo aveva finito piangendo.
Non era una commedia perché io, personalmente, non credo nelle commedie. «Le commedie sono un'invenzione dei capitalisti per farci credere nel giusto funzionamento della società», per citare mio nonno.
Eravamo sdraiati uno vicino all'altra sul mio letto a due piazze, stesi di fianco per guardarci negli occhi. «È il mio regalo di matrimonio per te».
Nella dedica avevo scritto per l'appunto che il libro era per il mio "piccolo, grande amico" che aveva sempre creduto in me. Accanto al soprannome di Daniele avevo anche inserito la dedica a "il mio gatto e le sue espressioni eloquenti di incitamento". Purtroppo per Chimney non era in realtà dedicato a lui, ma a qualcuno che gli assomigliava e che viveva al piano di sotto.
Dopo l'okay di mio fratello inviai lo scritto a tre case editrici e passai i giorni seguenti con le dita incrociate.
Una mattina mentre mi preparavo fisicamente e psicologicamente ad andare a lavoro ricevetti un email da una delle tre.
Il mio libro sarebbe stato pubblicato nel giro di qualche mese.
In preda alla felicità ero corsa ad abbracciare Ivy che mi aveva fatto mille feste, poi avevo preso a ballare con Chimney fino a fargli roteare gli occhi come palle da bowling.
Alla fine, contenta com'ero, ero scesa in pigiama al piano di sotto e avevo bussato alla porta di Jordie.
Mi aveva aperto una signora dai capelli rossi tinti e le lunghe ciglia nere.
«Chi cerca?»
«Jordan Thomas, non è qui?»
«Guardi tesoro che si è trasferito proprio due giorni fa» e mi aveva sbattuto la porta in faccia.
Fissando la pittura nella della porta pensai che in fondo ero contenta per lui.
Scoprii pochi giorni dopo che era partito senza dire una parola alla famiglia, ad Olive, a mio fratello. Aveva lasciato il lavoro e la casa in silenzio, quasi fosse morto.
Passai le notti preoccupata che non lo fosse veramente.
Poi, a un certo punto, smisi di pensarci e di pensargli.

Tre Passi DistantiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora