Parte 9

733 61 9
                                    

Con la pioggia resta poco del sangue sull'asfalto. C'è qualche chiazza che non è ancora andata via e chissà quando lo farà. Non so perché ma venire in questo posto mi fa sentire meglio. Alex è in quest'aria gelida che mi fa colare il naso. Avverto ancora la sua presenza. Salgo sul palazzo e mi sciolgo la coda di cavallo. Mi piace pensare che lei sottoforma di vento mi passi tra i capelli.

<<Se dovessi usare una metafora per descriverti direi che il tuo sorriso è uno spiraglio di luce che mi colpisce tra una nuvola e l'altra.>>

Guardo il panorama da quassù respirando profondamente. Vorrei avere un backspace per cancellare la mia vita fino a quando avevo sette anni per non fare la valigia e restare con i miei genitori e i miei fratelli per poi morire con loro in quel disastroso terremoto. Sono arrivata in questo Paese con Grace e suo marito Michael portando con me solo una valigia con lo stretto necessario lasciando la mia indispensabile famiglia. Ho fatto male. Ero felice con i miei. Eravamo poveri ma felici. Le cose più preziose che avevamo erano i baci che ci rubavamo a vicenda.

Era inverno quando una sera mia madre aveva preso la piccola valigia blu e mi aveva detto di riempirla con le mie cose. Mi aveva detto di non fare storie e di andare con Grace e Michael o si sarebbe arrabbiata e mi avrebbe dato una punizione. Me lo aveva detto con le lacrime agli occhi. Nessuno aveva provato a sbattermi la verità in faccia e così avevo vissuto credendo a delle bugie per i successivi tre anni nella casa che il padre di Grace le aveva lasciato qui in Italia. Non è stato semplice staccarmi dalla mia famiglia, cambiare nazione, cambiare abitudini, vivere con Grace e Michael che allora erano dei perfetti estranei... Niente è stato facile.

I coetanei italiani mi hanno presa in giro a lungo per il mio accento straniero e la mia incapacità di parlare correttamente la loro lingua. Quando ho imparato anche il dialetto della zona e nessuno poteva più capire che ero straniera se non glielo dicevo, hanno iniziato a emarginarmi e a sparlare alle mie spalle per colpa di un'idiota che in prima media ha letto il mio diario segreto davanti a tutta la classe dove parlavo della cotta che mi ero presa per una ragazza di terza. Ero così piccola e poco istruita che non sapevo neanche cosa fosse l'omosessualità, perciò il comportamento dei miei compagni mi sembrava assurdo. Mi chiedevo cosa ci fosse di strano nell'amare una persona. Poi sono venuta a conoscenza del fatto che due persone dello stesso sesso che stanno insieme non sempre sono viste di buon occhio. Non mi ero mai sentita sbagliata prima ma poi tutti avevano iniziato a tormentarmi . Alle scuole superiori ora va meglio. I liceali del mio piccolo paesino tradizionalista non insultano i gay, semplicemente ripetono tutti la stessa frase "non sono omofobo ma..." e dopo quel "ma" elencano una serie di situazioni che non sopportano e che, alla fine, li rendono omofobi. "Noi ti accettiamo così come sei" dicono, ma se faccio un complimento a una ragazza questa pensa subito che io sia innamorata di lei e in mezza giornata la falsa notizia fa il giro dell'istituto. Evviva l'ipocrisia.

Piango a singhiozzi pensando ad Alex. Lei è stata l'unica che mi ha accettata davvero fin da quando ero una piccola bimba di sette anni che non parlava italiano.

ZUCCHERO A VELODove le storie prendono vita. Scoprilo ora