Epilogo.

462 34 47
                                    

Cinque anni dopo.
Avevo ormai ventitrè anni, le mie scelte erano mie e soltanto mie.
I miei genitori scoprirono di Gerard attraverso la mia decisone. Quella di andare via con lui.
Rimasero scioccati. Molto scioccati.
Ma non mi proibirono nulla – anche perché non potevano.
Mi videro molto preso, felice.
Penso si fossero accontentati di quello.
Salutai tutti i miei amici. Ero triste di lasciare Bob e soprattutto Ray.
Ma Ray era felicissimo per me. Aveva sempre fangirlato su me e il professor Way.
E quel giorno lui era lì davanti a me a fare quelle dannate valigie che ci avrebbero accompagnati in un lungo viaggio.
Già, Gerard diede le dimissioni per me.
Ma solo dopo la fine dei miei corsi da tatuatore.
Mi ingannò, allora — anche se avevo deciso tutto da solo e lui non mi aveva mai risposto. Mi obbligò a finire i corsi nella stessa città che mi aveva visto nascere.

"Ma sono altri tre anni! Partiamo insieme e li comincerò, e tu potrai aiutarmi"

Ma lo fece solo per il mio bene.
E poi, era rimasto.
La sua promessa l'aveva mantenuta.
E aveva continuato ad amarmi indistintamente, se non di più; ogni giorno che passava.
A quel punto della mia vita, passati gli anni da teenager, sapevamo entrambi che ero grande abbastanza da prendere le mie decisioni da solo.
Ricordai quando Gerard a suo malgrado mi disse quelle parole,

"Non voglio essere la causa della tua distrazione. Sei molto giovane, e voglio che il tuo percorso sia liscio e piacevole"

Io lo sapevo. Sapevo cosa volevo già da allora.
Ma lui era convinto che in futuro avrei cambiato idea.
E io lo capii tempo dopo; quanto era stato paziente e leale al nostro rapporto, come era riuscito a mantenerlo intatto con il suo amore e le sue forze.
Non innamoratevi mai di un professore, se non avete abbastanza coraggio da affrontarlo.
Perché solo così potrebbe nascere qualcosa.
E noi eravamo abbastanza duri e determinati per affrontare qualsiasi cosa. Per affrontare noi stessi, i nostri sentimenti e gli ostacoli, i tanti ostacoli che avremmo incontrato.
E adesso eravamo lì.
A sorriderci al mattino, ad abbracciarci e baciarci la sera.
Senza curarci del giudizio degli altri.
Contavamo solo noi, e questa era la nostra forza.
Contare su noi stessi.
Sapevamo di esserci l'uno per l'altro.
Solidarietà, complicità. In una relazione sono tutto.
Io sono Frank, ed ero il ragazzo ribelle.
Quello odiato da tutti, quello stronzo.
Finché non imparai ad amare Gerard.
A cui diedi poi il mio cuore.
Un cuore che nemmeno pensavo di avere, allora.

Quando ci sistemammo nella nostra casa, ci trovammo subito bene.
Con la casa stessa e il quartiere – che era molto abitato, ma la gente era disponibile e gentile.
Gerard trovò subito lavoro, con i titoli di studio molto importanti che aveva. Anche lì ricominciò a fare il professore.
«Sarai il mio professore a vita» Gli dissi una mattina, ridacchiando, mentre con le mani gli facevo un nodo alla cravatta bordeaux.
«Mh, mi piace.» Disse lui, rubandomi un bacio.
Mi morsi le labbra mentre sorridevo, allontanandomi a vedere quel capolavoro che era il mio uomo.
«Hai una fottuta collezione di camicie e cravatte, e poi ci sono io che a malapena ho una camicia bianca, probabilmente indossata solo al ballo scolastico del liceo.»
Gerard rise di gusto, «Puoi sempre usare le mie, piccolo»
Piccolo. Quel nomignolo al me diciassettenne avrebbe fatto vomitare, e adesso invece lo trovavo estremamente dolce.
«Lo farò volentieri, Gee»
Controllai l'ora sul telefono, mettendomi successivamente le mani nei capelli «Gerard sono le otto!»
«Oh cazzo. Mi dai un passaggio?»
«Sì, certo» Gli passai la giacca che stava disperatamente cercando.
La sua moto la teneva sempre in quel garage e non la utilizzava molto, ma cavolo mi mancavano i vecchi tempi Quando lo vedevo venire verso di me con quella moto e il casco che porgeva sempre prima a me.
L'avrei spronato a rimettere il culo su quella moto.
«Non mi perdoneranno questa volta se faccio ritardo, non sono più giovane come la prima volta che misi piede nella tua scuola» Disse una volta seduto in macchina, fissando il semaforo rosso.
«Gerard, ma che diamine, hai trentacinque anni!»
«Ecco appunto, non ricordarmelo!»
Mi bloccai di colpo, facendogli sbattere la schiena al sedile della macchina, e mi voltai verso di lui a guardarlo con un'espressione arrabbiata.
«Gerard. Adesso seriamente. Quando entrasti in quella scuola tutti pensavano che tu fossi un ventenne. Cosa vuoi che sia cambiato? Sei bellissimo, cazzo. E il tuo sorriso è meraviglioso. Non hai le rughe, un capello bianco, non hai l'ernia e nemmeno le attrosi a quelle dannate mani. Ti prego, smettila di dire che stai invecchiando, mi fa male. Non perché penso sia vero, ma perché so che tu lo pensi davvero» Dissi tutto d'un botto, riprendendo a guidare come se nulla fosse successo quando scattò il verde.
Vidi la faccia scioccata di Gerard, che guardava avanti a sè e probabilmente stava trattenendo il respiro perché non si sentiva volare una mosca lì dentro.
«Gerard»
«Frank... mi dispiace» Disse, mettendosi una mano sul viso, «Mi sono comportato da immaturo»
«Ecco, lo so, assumiti le tue colpe e sta' zitto» Risposi, sospirando poi di sollievo mentre guardavo la strada.
«Sono felice che tu pensi questo. Io mi sono fatto tutti questi complessi per te, perché voglio rimanere lo stesso per te, quello che hai visto la prima volta, quello di quando ti sei innamorato» Notai che mi stava guardando.
I miei occhi cominciarono a pizzicare.
«Dio, Gerard, se non fossi in ritardo ti salterei addosso e ti riempirei di baci e ti direi che cazzo ti amo, ti amo davvero e non pensare mai più a una cosa del genere, perché è della tua cazzo di anima che mi sono innamorato» Finii, con la voce che mi si spezzò perche probabilmente stavo per cominciare a piangere come un'idiota ma io non volevo sentirlo dire quelle cose.
«Scusa... scusami Frankie»
Arrivammo presto a quel liceo, nel quale Gerard avrebbe cominciato ad insegnare – fortunati tutti quelli che avrebbero lavorato con lui e gli alunni – e parcheggiai proprio dentro i cancelli per combattere l'orario e aiutarlo a presentarsi prima.
Gerard si girò verso di me e inaspettatamente mi prese il viso tra le mani, mi guardò profondamente negli occhi e mi baciò. Mi baciò abbassando le palpebre e gustando le mie labbra.
Io feci lo stesso, perché non aspettavo altro.
«Se solo tu potessi amarti come ti amo io, Gerard» Dissi, respirando sulle sue labbra.
«E a pensare che queste cose, queste cose così belle e rassicuranti dovrei dirtele io...» Rispose, mentre ancora mi dava dei baci, brevi e veloci.
«Quando torni a casa avremmo molto da cui parlare, signorino» Dissi, imitando il lui-professore.
Gerard ridacchiò, scappando fuori dalla macchina e chiudendo la portiera.
Dopodiché si abbassò, raggiungendo l'altezza del finestrino. «Ti amo» Disse, con un tono abbastanza forte da farsi sentire, sorridendo.
«Anche io. Anche io ti amo» Ripetei, sussurrando, sapendo che avrebbe letto le mie labbra. Dopo gli mandai un bacio volante.
Ero la persona più felice del mondo.
Ero la persona più completa del mondo.
Potevo amare quell'uomo, e mi sentivo dannatamente bene.
Mi sentivo dannatamente bene a pensare al domani e saperlo accanto a lui.
Adesso l'aveva capito che quello che volevo cinque anni fa era lui e lo era ancora adesso?
Gli anni erano passati in fretta da quando c'era lui e allo stesso tempo non passavano mai, perché aspettavo il dannato giorno in cui ci saremmo lasciati tutto alle spalle per crearci un futuro insieme.
E ci eravamo riusciti, insieme.

𝗛𝗼𝘄 𝗦𝗵𝗼𝘂𝗹𝗱 𝗜 𝗖𝗮𝗹𝗹 𝗬𝗼𝘂?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora