Selene si svegliò distesa per terra. Il pavimento freddo di roccia le aveva graffiato le gambe e le braccia. Provò a muoversi, ma un dolore lancinante la bloccò. Uno squarcio sul fianco le pulsava tremendamente. Si accorse che sanguinava. Le faceva male dappertutto in verità.
Non riusciva a ricordare con precisione cosa fosse successo. Il parco; il bambino; Elizabeth; la galleria. Elizabeth!
Tentò di alzarsi dì scatto con l'unico risultato di sbattere la testa contro il soffitto della grotta, farsi male e ricadere distesa a terra. Intorno c'era buio pesto. -Elizabeth!-. Chiamò più volte la sorellina, ma ricevette risposta solo da mille echi bui. Gattonò fino a sbattere contro una delle pareti della grotta, procedendo a tastoni. L'oscurità non le permetteva di vedere a un palmo dal naso. Si mise a piangere.
Non c'era poi così buio in realtà. Muschi e licheni fosforescenti si estendevano su buona parte della superfice della grotta emanando un debolissimo bagliore. Pian piano gli occhi di Selene adattarono all'oscurità. Riuscì a intravedere la parete liscia a fianco a lei e il soffitto verdognolo di vegetazione. Poi una figura, una figura umana, distesa più o meno in centro alla grotta. Corse subito da lei.
Non se ne accorse subito, forse per la poca luce, forse per le lacrime che le solcavano il viso. Forse per tutti e due. Elisabeth era sdraiata per terra, pallida, gli occhi spenti. Il gomito era piegato in una posizione innaturale; sul pavimento un lago di sangue. I capelli biondi erano intrisi di rosso. La testa fracassata a terra.