Chapter VI

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Edith

Quando sento quelle parole nella mia mente si accende una lampadina, parte un flashback.

Ogni Natale quando ero più piccola venivo dai nonni insieme allo zio Elwyn, e il giorno della vigilia insieme a noi c'era uno dei più cari amici del nonno, andavano a caccia insieme. Aveva un figlio di pochi anni più grande di me: Curt.
Era un bambino paffuto, moro con gli occhi verdi, e a distinguerlo da tutti gli altri era sicuramente la chioma di ricci ribelli che portava costantemente scompigliata.

"Curt?" Domando con una punta di incertezza.

"Sì, sono proprio io, e tu.. tu sei cambiata un sacco, Edith."
La sua voce sembra affannata, mentre il suo sguardo vaga su di me curioso.
Anche lui è cambiato ora che ricordo, credo che abbia iniziato palestra.

Imbarazzata caccio un colpetto di tosse, accostandomi da parte per lasciarlo entrare in casa.

"Vieni pure" -mormoro, e quando il ragazzo si fa avanti richiudo la porta- "cerchi il nonno per caso?"

Il ragazzo si sfila la pesante giacca e la appende all'attaccapanni accanto all'ingresso, passandosi poi una mano tra i capelli.
"Sì, esatto. Ultimamente non sono passato perché il lavoro mi ha tenuto occupato, sai dove posso trovarlo?"

"Più o meno a duemila chilometri da qui."
Ridacchio mentre lui sembra piuttosto perplesso.
"I nonni sono andati in Inghilterra da mio zio, piccolo ritrovo di famiglia."

"E come mai tu non sei con loro?" Mi chiede il riccio, appoggiandosi al divano e incrociando le braccia al tonico petto, che sembra ben definito sotto il maglioncino bianco a collo alto.

Faccio spallucce. Eviterò di condividere con lui tutto quello che mi è successo nelle ultime settimane, potrei dilungarmi fino al mattino.
"È una storia lunga, hai sete?" Svio palesemente l'argomento, dirigendomi verso la cucina.

"Sì, grazie."

"Hai detto che sei stato impegnato con il lavoro, di che cosa ti occupi?"
Afferro dalla credenza di legno due bicchieri che punto sotto il getto del lavandino, riempiendoli con acqua fresca.

"Ho seguito le orme di mio padre riuscendo a trasformare un hobby in lavoro: sono un cacciatore."

Alexander

Respiro a pieni polmoni l'aria pulita del bosco.
Quando la notte cade su Bradford, questo posto sembra assumere altre sembianze.

La foresta si anima ad ogni passo che faccio. Giungono alle mie orecchie una moltitudine di suoni differenti.

La neve è gelida a contatto con la nuda pelle dei miei piedi, ogni metro che percorro sembra provocarmi un brivido lungo la schiena. Vorrei che il pub di Ophelija fosse aperto, a quest'ora del mattino seguirei Edith fino a casa. Non vedo cappuccetto rosso da qualche giorno.

Percepisco il mio lupo irrequieto che freme per uscire, e senza dargli freno, mi abbandono alla trasformazione.

Lascio che la mia pelle si laceri mentre le mie ossa si fratturano.
Nel giro di pochi secondi la mia vista si è già intensificata, il mio udito si è accentuato.

Il bramito dei cervi, posso sentirli nonostante la distanza. Ogni insignificante rumore provocato dai più piccoli animali che mi circondano, adesso posso avvertirli.

Abbasso le orecchie e getto il capo indietro, ululando alla luna.
Affondo gli artigli nel terreno, ma prima di poter scattare in un balzo, nell'aria riecheggia uno sparo.

Sono a terra in una frazione di secondo, dimenandomi e contorcendomi sul mio essere per il lancinante dolore che avvolge la mia spalla e che si espande per tutto il mio corpo.

"L'ho preso! Questo è bello grosso!"
Cacciatori.

Quelle parole si ripercuotono nella mia testa, e sono l'incentivo che mi risvegliano dal mio stato dolente.
A fatica torno su quattro zampe e inizio a correre, più veloce che posso.

Il sangue sgorga dalla ferita, arrivando a macchiare il letto di neve calcato inoltre dalle mie impronte. Non posso tornare dal mio branco adesso, non così.

Sebbene lo sparo so di essere più veloce degli umani che mi seguono, e sfrutto questa cosa a mio vantaggio. Conosco il bosco come le mie tasche, ed inizio a lasciare più scie per confonderli. Corro a destra, giro a sinistra, accerchio qualche albero e mi ritrovo sempre al punto d'inizio.


È passata ormai un'ora ed io mi sento sempre più debole. Le voci dei cacciatori sono lontane, sono sicuro di averli seminati.
Quando riprendo le sembianze umane sono nudo, grondante di sudore, e ho un fottuto buco nella spalla sinistra.
Traballo ma non demordo, sono vicino alla città.

Solo quando vedo la prima casa provo una sensazione di sollievo, che però non allevia il bruciore sul resto del mio corpo, che sembra andare in fiamme dal dolore.

Una volta raggiunto quel porticato che sembra familiare, le prime luci dell'alba stanno sbucando, ed io stremato mi lascio cadere in un tonfo sul duro pavimento di legno, prima di chiudere gli occhi e perdere i sensi.

Werewolf Syndrome.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora