Chapter VII

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Edith

Mi sveglio di soprassalto sentendo un gran rumore.
Mi guardo intorno ancora leggermente confusa a causa del mio profondo sonno.

Sono ancora sul divano arrotolata come un involtino nella coperta, non sono nemmeno salita in camera ieri sera dopo aver chiamato i nonni.
Aspetto qualche secondo per riprendermi, e restando affagottata nel plaid, opto per alzarmi.

Dalla finestra vedo filtrare la luce dalle tendine bianche in pizzo, quindi presumo che sia mattino, ergo non riuscirò più a chiudere occhio adesso che sono in piedi.

Il tonfo proveniva dall'esterno, ho paura che si sia rovesciato qualche vaso, che sia scivolata dalla porta la targa con le iniziali dei nonni, oppure che si sia cappottata qualche sedia presente sotto il porticato.

Rigiro la chiave nella serratura, ma quando apro la porta quello che mi si presenta davanti non è nulla di ciò che avevo ipotizzato.

Avvampo in un istante quando percorrendo il corpo del ragazzo steso a terra vedo che non indossa alcun indumento, ma impiego lo stesso tempo a sbiancare quando noto che perde sangue da una spalla.

Mi precipito accanto al suo corpo scuotendolo leggermente, e quando gira il viso incosciente verso di me lo riconosco. È Alexander.

Il panico mi assale. L'unico ospedale è a due ore da qui ed io non ho nemmeno la macchina a mia disposizione. Dovrei chiamare qualcuno? Cosa ci fa qui, soprattutto senza vestiti?

Mentre mi scervello sul da farsi il ragazzo sotto di me continua a perdere sangue, così decido di prendere la situazione in mano.

Lo copro istantaneamente con la coperta, e con estrema fatica lo trascino in casa. Questo bestione è tutto un muscolo, peserà tre volte me.

Finalmente riesco ad appoggiarlo sul parquet all'ingresso e velocemente richiudo la porta, notando la scia di sangue che si è portato dietro. La coperta che uso per coprirlo la raggomitolo da un lato ed esercito una forte pressione sulla sua spalla. Devo pensare in fretta se voglio aiutarlo, sono ancora in tempo. Nella mia mente si focalizza pian piano tutto ciò di cui ho bisogno per medicare la sua ferita, e nonostante io non sia la persona più giusta per questo, corro a prendere quello che mi occorre. Quando torno dal ragazzo ho le braccia che straboccano di ogni cosa: asciugamani, disinfettante, bende. Lascio tutto sul pavimento ed inizio a medicarlo come meglio posso. Noto che la ferita è causata da quella che sembra un'arma da fuoco, e mentre le mie mani tremolanti si muovono velocemente per disinfettarlo, mi sbrigo anche a procurarmi dal bagno delle pinzette. Non sono per niente professionali ma se voglio estrarre questo proiettile, che fortunatamente non è più profondo di pochi centimetri da quel che vedo, devo accontentarmi.
Disinfetto le pinzette, e prima di introdurle all'interno della ferita alzo gli occhi su Alexander.

"Mi dispiace, farà un po' male."

Mi faccio coraggio e nonostante il tremolio, riesco ad inserirle, arrivando a sentire il proiettile. Ignoro la faccia del ragazzo che inizia ad adornarsi di smorfie doloranti, e ne sono desolata. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, afferro la pallottola e lentamente la estraggo.

"Il peggio è passato," mormoro appoggiando la pallottola a terra.

Imbevo un asciugamano nel disinfettante e torno a prendermi cura della lesione che presenta sulla spalla. Pulisco dal sangue in eccesso ormai secco e dopo un paio di minuti applico le bende. Le chiudo saldamente assicurandomi che fascino perfettamente tutta la spalla e mi lascio andare sul pavimento in un profondo sospiro.

Le mie mani sono intrise del sangue di Alexander, ma questo è il problema minore. Devo cercare in qualche modo di spostarlo da qui, non lo lascerò sul pavimento gelido in queste condizioni.

Alexander

Quando riapro gli occhi sono confuso, la mia testa è dolorante e mi sento completamente frastornato.
Tento di tirarmi in piedi ma una fitta alla spalla mi fa guaire dal dolore.

Confuso porto lo sguardo sul motivo del mio male, e stranito fisso l'attenta bendatura leggermente intinta di sangue.
Istintivamente alzo lo sguardo per identificare il luogo in cui mi trovo, mi è del tutto estraneo, ma l'odore no.

Risveglia in me qualcosa scaturendomi una sensazione familiare. Scosto il lenzuolo per alzarmi, e appena tocco il pavimento una folta chioma rossa e due occhi color nocciola fanno il loro ingresso in camera.

Edith.

Werewolf Syndrome.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora