IX. Lunga caduta

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L'acqua scorreva sul corpo abbronzato di Annabeth, lambendo ogni singolo centimetro di pelle e riscaldandola.
La maggior parte della gente cantava sotto la doccia oppure ascoltava la muscia proveniente dall'ipod.
Ma lei no.
Le piaceva fare la doccia in completo silenzio, lasciando che solamente il rumore dell'acqua le entrasse nelle orecchie.
Le permetteva di concentrarsi, liberandole completamente la mente.
Era lì che di solito aveva l'ispirazione per qualche suo progetto, specialmente negli ultimi tempi visto che doveva progettare la ricostruzione del Monte Olimpo a Manhattan.
Lasciò che l'acqua la ripulisse da ogni centrimetro di sporcizia che l'avvolgeva, che il bagnoschiuma le togliesse quell'asfissiante odore di non morto che le impregnava i capelli e il corpo.
Uscì dalla doccia, avvolgendosi in un accappatoio bianco dato in offerta dall'hotel, tamponandosi i lunghi capelli biondi che, nonostante fossero bagnati, avevano già cominciato ad arricciarsi.
Vide che accanto al lavandino c'era una maglietta nera con la scritta "Led Zeppelin", probabilmente di Talia.
Sorrise nel vederla e la strinse tra le mani, portandosela al viso.
Profumava dello stesso odore che ha l'aria dopo un violento temporale: sapeva di fulmini.
Era strano aver ritrovato Talia qualche anno prima e poi averla persa di nuovo nemmeno qualche mese dopo.
Quando erano piccole e in fuga insieme a Luke per tutti gli Stati Uniti, un sacco di volte avevano fantasticato su un posto dove sarebbero potute stare insieme ed essere felici.
Entrambe venivano da situazioni familiari complicate e avevano bisogno di un posto sicuro, di un rifugio.
E quando finalmente era arrivato Grover era come se i loro sogni si fossero realizzati.
Le avrebbe portate in un posto per ragazzi come loro, per semidei.
E, a conti fatti, al Campo Mezzosangue non c'erano mai state insieme.
"Ehi Percy, io ho finito" Annabeth si infilò la maglietta e un paio di calzoncini, uscendo dal bagno.
"Sappi che morirò là sotto" Percy indicò con un cenno la doccia "non vedo l'ora di togliermi la bava di Delfine dai capelli"
Lei fece una smorfia, che però venne subito sostituita da un sorriso.
"Vai Testa d'Alghe vai!" gridò, mentre lui si chiudeva la porta alle soalle "Perchè non ho intenzione di baciarti se avrai ancora quella roba tra i capelli!"
"Sissignora"
Si girò ed osservò la loro camera.
Era una semplice stanza d'albergo, con un letto matrimoniale al centro di essa, posto contro il muro con una testata di legno.
Annabeth si avvicinò alla finestra con le tende bianche e le scostò, guardando fuori
La sera stava scendendo e avvolgeva Salem con i suoi toni scuri.
Nella penombra vide quella che doveva essere la facciata di una banca cittadina, che pareva l'ingresso di un tempio greco.
C'erano quattro colonne ioniche al cui interno c'era l'ingresso, sovrastato da un frontone che rappresentava delle scene di guerra troppo piccole perchè Annabeth potesse riconoscerle.
Le ricordò i lavori incompiuti sulla progettazione dell'Olimpo che aveva lasciato nella casa sei.
Non era preoccupata che andassero persi, perchè sapeva che Malcolm si sarebbe assicurato rimanessero incolumi.
Era più una cosa generale.
Durante l'ultimo mese era andata tutti i giorni sull'Empire State Building e aveva notato qualcosa di strano nel comportamento degli dei.
Non avrebbe saputo dire cosa, ma era come ciò che Talia aveva detto riguardo Artemide.
Non aveva detto delle sue supposizioni a nessuno: c'erano già troppi problemi al campo.
Con un sospiro, pensando a quanto avrebbe voluto l'aiuto di sua madre, si voltò.
Andò verso il comodino, dove c'era il suo zaino, e si sedette sul bordo del letto.
Estrasse una dracma dalla tasca in basso e se la rigirò tra le dita.
Per fortuna portava sempre con sè un prisma, pensò.
Creò un arcobaleno con la luce della lampada e poi evocò Iride.
"Oh dea dell'arcobaleno" declamò "mostrami Grover Underwood al Campo Mezzosangue"
L'arcobaleno le mostro il satiro che sonnecchiava bellamente nella sala ricreativa della casa grande, accanto a una manciata di lattine vuote.
"Ehi ragazzo-capra!" lo chiamò, sorridendo.
Era così felice di vederlo.
Grover mugugnò qualcosa.
"Grover! Forza, non ho tanto tempo!"
Il satiro aprì gli occhi, ancora assonnato.
Ci mise qualche istante a capire cosa stesse succedendo.
"Annabeeeth!" esclamò poi, quando la mise a fuoco "Per Pan! State bene?"
"Siamo a Salem" spiegò "in un hotel gestito dalle Cacciatrici di Artemide"
"Oh! Quindi c'è anche Talia?"
La figlia di Atena annuì.
"Stiamo bene" continuò "anche se abbiamo avuto un incontro con l'esercito di non morti di Minosse"
Grover prese una lattina e cominciò a smangiucchiarla.
"Qui invece è tutto tranquillo" fece un sospiro "per ora. Ma è solo la quiete prima della tempesta"
Annabeth si morse il labbro.
Sentiva ancora l'acqua scorrere in bagno e la voce di Percy che canticchiava qualcosa.
"Gli ultimi due versi della profezia mi proccupano" ammise quindi "succederà qualcosa al campo il giorno dell'equinozio d'autunno. Noi dobbiamo portare a termine questa impresa e poi tornare in tempo per aiutarvi"
"Ehi ce la farete. Nico e Percy hanno te"
"Non è questo, Grover" lei sospirò "siamo in questa impresa, ma non so nemmeno che senso abbia. Stiamo girando per il labirinto a che scopo?"
"Dovete sconfiggere Minosse"
Annabeth scosse la testa.
"Non so" mormorò "credo che il labirinto abbia altri piani"
Grover fece per dire qualcosa, ma il tempo per il messaggio-Iride si concluse e l'immagine del satiro scomaprve.
La figlia di Atena fece un sospiro.
"Ciao Grover" mormorò.
Proprio in quel momento Percy uscì dal bagno.
Aveva tentato di pettinarsi i capelli, di solito perennemmete scompigliati.
"Ti ho sentita parlare" disse.
Annabeth continuò a guardare fuori dalla finestra.
Ora la notte era scesa per davvero, avvolgendo i palazzi coloniali di Salem.
"Ho contattato Grover" spiegò "dice che al campo per ora è tutto tranquillo"
"Meno male. Almeno loro possono evitare di stare con il fiato sospeso"
Lei non rispose, giocando con l'orlo della maglietta di Talia.
Ad un certo punto sentì dei rumori e si voltò.
"Ma dove sei finito?" chiese.
La testa corvina di Percy comparve dall'altra parte del letto.
"Mi sto preparando per dormire" spiegò.
"Per terra?"
Il figlio di Poseidone rimase in silenzio.
Annabeth si rese conto di quello che stava succedendo.
Percy voleva lasciarle il letto, a costo di dormire per terra.
Un profondo senso di calore le si dilagò nel petto.
"Percy?" lo chiamò, picchiettando la mano sul copriletto davanti a lei.
Lui fece un sorriso dolce mentre rimetteva il cuscino al suo posto e si sedeva di fronte a lei.
"Sei sicura?" le chiese "Non è un problema se dormiamo nello stesso letto?"
Annabeth scosse la testa.
Si sporse in avanti e gli scompigliò i capelli scuri che erano quasi del tutto asciutti.
"Sai cosa?" gli disse "Mi piacciono di più così"
"Mi danno un'aria più sbarazzina?" replicò lui.
Lei rise.
Abbassò la mano e gli carezzò una guancia.
Percy chiuse per un istante gli occhi, come per godersi il momento.
Poi li riaprì e il verde mare dell'iride era quasi completamente inghiottito dal nero della pupilla.
Allungò una mano e le scostò un riccio biondo ormai asciutto dietro le orecchie.
"Ti conosco da tanti anni" mormorò "ma non ti ho mai detto che sei bellissima"
Lei non arrossì nemmeno.
Era come ipnotizzata.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da quello di Percy.
Sembrava che Zeus fosse nei paraggi perchè era certa di percepire dell'elettricità nello spazio che la separava dal ragazzo.
Annabeth, sempre con la mano posata sulla guancia di lui, lo avvicinò a sè.
Le loro labbra si toccarono, mentre Percy infilava le mani nei ricci biondi di lei.
Si baciarono a lungo, per molto tempo.
Si separarono solo quando il bisogno di respirare venne a bussare alle porte del loro cuore.
Annabeth aveva il respiro affannato, mentre teneva la sua fronte appoggiata a quella di Percy.
Gli prese le mani, non  riuscendo a smettere di sorridere.
"Molti anni fa avrei combattuto al tuo fianco perché eri mio amico" disse.
"Ma ora?"
Lei fece un respiro profondo, stringendo più forte le sue mani.
Alzò lo sguardo, costringendo quello di lui ad incatenarsi al suo.
"Ora perché ti amo"
Era la prima volta che uno dei due lo diceva.
E la figlia di Atena non si sarebbe mai aspettata di essere la prima a farlo.
Percy le fece il sorriso più dolce che gli avesse mai visto fare.
"Ti amo anch'io, Sapientona" sussurrò.
Poi si sporse in avanti, baciandola di nuovo.
La spinse in avanti e Annabeth finì sdraiata sul letto.
Gli allacciò le braccia al collo, dove i capelli gli si arricciavano morbidamente.
Adorava quel punto così vulnerabile alla base della nuca di lui.
La faceva sentire in dovere di proteggerlo.
Percy si chinò a baciarle il collo, reggendosi sui gomiti per evitare di schiacciarla.
All'improvviso si fermò di colpo.
Lei aprì gli occhi, confusa
"Perchè..." le mancarono le parole "perchè ti sei fermato?"
"Annabeth" disse Percy, la voce seria come mai l'aveva avuta "sicura di voler andare avanti?"
Annabeth lo guardò negli occhi.
"Non siamo in un tempio e tu non sei tuo padre" disse, facedo un timido sorriso "quindi non penso proprio che qualcuno mi maledirà facendo diventare i miei capelli dei serpenti che pietrificano le persone con un solo sguardo"
Si avvicinò al viso di Percy.
"Quindi sì" disse "sono sicura"
Lui le sorrise e poi la baciò, coprendo il suo corpo con il proprio.

***

Era ancora buio fuori dalla finestra della camera.
Ma Annabeth sapeva che il sole stava per spuntare: probabilmente mancavano pochi minuti.
Sospirò, chiudendo gli occhi.
Dopo che lei e Percy avevano fatto... quello che avevano fatto, era riuscita finalmente ad addormentarsi, ma la quiete era durata davvero poco.
Era quasi un'ora che si era risvegliata ed era quasi un'ora che continuava a ripensare alla loro impresa per cercare di capirci qualcosa.
Avrebbe tanto voluto continuare a dormire, cosicchè anche i problemi avrebbero aspettato fino all'indomani per ripresentarsi e bussare alla sua porta.
Ma ovviamente non poteva essere così fortunata.
Aprì gli occhi e sorrise istintivamente nell'osservare Percy che dormiva accanto a lei.
La sua mano destra era intrecciata con quella sinistra di lui, come se anche durante la notte si fossero cercati.
Il figlio di Poseidone pareva un angelo, il suo viso completamente vulnerabile e in pace con il mondo mentre riposava.
Sarebbe stata una visione degna di un quadro, se solo non stesse sbavando come se non ci fosse un domani.
Annabeth, ormai, la trovava una cosa dolce.
E guardare Percy le fece tornare in mente quando, due anni prima, proprio nel labirinto, aveva trovato il sarcofago di Crono.
Tutta quell'impresa continuava a farle ripensare a Luke e non era un bene.
Era passato quasi un mese dalla sua morte, ma continuava a farle male.
E come avrebbe potuto non soffrire?
Luke era stato presente nella sua vita fin da quando aveva sette anni.
Le mancava, così come a Nico mancava Bianca.
C'erano perdite che ti portavi dentro per sempre.
Si mise a pancia in su, con un lieve sospiro.
Osservò la carta da parati del soffitto che era color porpora come i corridoi.
"Ehi basta" disse Percy ad un tratto.
Annabeth quasi si prese un colpo, abituata com'era al silenzio e al rumore soltanto dei suoi pensieri.
Si girò e vide che il figlio di Poseidone aveva ancora gli occhi chiusi.
"Di fare cosa?" chiese.
"Qualsiasi cosa ti preoccupi" continuò lui "non pensarci più"
"Come facevi a sapere che ero preoccupata? Non hai nemmeno aperto gli occhi"
Questa volta Percy aprì gli occhi.
"Pensi davvero che abbia bisogno di guardarti per sapere se c'è qualcosa che non va?"
Annabeth fece un sorriso mesto.
"Su, vieni qui"
Aprì le braccia e lei vi si infilò, venendo racchiusa da esse.
Aveva la testa posata nell'incavo del collo di Percy, che prese ad accarezzarle i capelli.
"A cosa stavi pensando?" le chiese.
Lei rimase un attimo in silenzio.
Dopo quello che c'era stato tra loro due la notte prima, aveva quasi paura di dire quel nome.
Come se così avrebbe rovinato tutto.
Ma era Percy.
E se non si poteva fidare di Percy, allora non poteva fidarsi di nessuno.
"Pensavo a Luke" rispose.
Lui trattenne il fiato.
"Dalla sua morte, ho sempre voluto chiederti una cosa" iniziò, stringendola di più "come facevi a sapere che Luke era ancora là dentro, quando Crono si era impossessato del suo corpo?"
"Lo sapevo e basta" rispose lei, soppesando le parole "sapevo che una parte di Luke era ancora viva, da qualche parte. Poteva ancora tornare indietro, ritornare dalla parte giusta"
"Lo amavi?" chiese Percy.
Annabeth si tirò su, in modo che i loro sguardi fossero incatenati.
Gli occhi di Percy erano vulnerabili come mai lo erano stati.
Era strano vederli così.
Di solito erano sempre velati da ironia oppure divertimento.
L'unica altra volta che gli aveva visto quello sguardo era stato la sera prima, quando le aveva detto che l'amava.
"Sì" ammise, alzando lo sguardo "ma come un fratello. Lui è stato la prima persona a farmi sentire importante, parte di una famiglia. Lo amavo, ma non come amo te"
Il volto di Percy si aprì in un timido sorriso.
"Non mi abituerò mai a sentirtelo dire" disse, avvicinandosi al suo viso.
Lei fece un sorriso malizioso.
"Be' ci sono altri modi per dirtelo" disse "ad esempio, posso dimostrartelo"
Si sporse in avanti e lo baciò, allacciando le sue braccia intorno al collo di lui.
E proprio mentre il sole spuntava all'orizzonte illuminando la stanza con i suoi timidi raggi, Annabeth tirò su le coperte in modo che coprissero entrambi.

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