Epilogo. Lo giuro

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Nel momento stesso in cui Minosse cadde a terra, senza vita, anche i suoi automi e non morti scomparvero: i primi rompendosi in mille pezzi, i secondi diventando cenere.
Ce l'avevano fatta, pensò Annabeth, ce l'avevano fatta davvero.
Il Campo Mezzosangue, la sua casa, il suo rifugio, era salvo.
La folla di semidei esplose in un boato di felicità, nonostante fossero tutti malconci e feriti.
Annabeth si sciolse in un sorriso e, per la prima volta da una settimana, il costante peso che si sentiva sul cuore se ne andò, finalmente scomparso.
Si voltò, alla ricerca di Percy, dimenticandosi per un istante di ciò che si erano detti qualche ora prima.
Lo trovò che la guardava, gli occhi verdi spalancati e il petto che si alzava e si abbassava all'impazzata.
Senza pensare gli corse incontro e giurò di avergli visto gli occhi lucidi.
La guardava come se non fosse reale, come se non credesse che lei fosse davvero lì.
Per una volta nella sua vita, Annabeth Chase non pensò a nulla.
Lo abbracciò, sorridendo e mettendo per un istante l'orgoglio da parte.
Era solamente contenta di essere lì, del fatto che Percy stesse bene.
Lui la strinse come mai aveva fatto, come se ne andasse della sua stessa vita.
"Oh Annabeth..." bisbigliò tra i suoi capelli.
Lei si allontanò da lui, guardandolo negli occhi.
Sembrava che entrambi volessero dire qualcosa, ma nessuno dei due trovava le parole.
Avrebbe voluto dirgli di dimenticare ciò che si erano detti, perchè lei lo amava davvero.
Ma non riuscì.
In seguito, avrebbe dato la colpa al suo maledetto orgoglio, al suo difetto fatale.
In seguito, pensò che il suo difetto fu davvero fatale, ma non per lei.
Ma in quel momento no.
In quel momento l'armatura che aveva indossato per tutti quegli anni, quell'armatura che l'aveva sempre protetta, ce l'aveva addosso e non era ancora pronta a toglierla di nuovo.
Perciò abbassò lo sguardo, deglutendo.
Poi lo rialzò e scosse leggermente la testa, come se improvvisamente le mancasse l'aria.
Esitò per un solo isatnte, poi si voltò e senza dire una parola se ne andò.
"Annabeth, aspetta!" sentì Percy dire.
Forse quel giorno entrambi fecero uno sbaglio di cui si sarebbero pentiti per sempre.
Lei non aspettò e lui non la raggiunse.

***

Percy era girato di spalle, sul ciglio della collina.
Annabeth si fermò, osservandolo.
Si era resa conto di essere stata davvero dura con lui.
Le aveva chiesto di non combattere per la sua sicurezza, forse aveva sbagliato a dubitare delle sue capacità ma in fondo la figlia di Atena sapeva che non era quello il motivo.
Doveva avere una buona ragione per chiederle di non combattere, ed era estremamente convinta fosse collegata alle ore che avevano passato separati quando lui era scomparso.
Ma che cosa poteva essere successo?
Si rese conto che ora come ora non le importava.
Perchè Percy le mancava.
Le mancava come l'aria e aveva bisogno di lui.
Non importava cosa si fossero detti, cosa ci fosse di vero o cosa no.
Voleva solamente tornare da lui, stare con lui, baciarsi fino a che non avrebbero perso il conto dei baci.
"Percy?" gli disse.
Percy si voltò e quando vide che era lei le sorrise.
"Annabeth" disse.
Le tese la mano, come per invitarla ad avvicinarsi.
Annabeth gli fece un dolce sorriso, mentre tendeva anche la sua.
Fu in quel momento che una forza invisibile sollevò Percy e lo allontanò bruscamente da lei.
Era scomparso nel nulla, come se non fosse mai stato lì su quella collina.
"Percy!" proruppe in  un grido "Percy!"
Si guardò disperatamente intorno.
"Cosa gli avete fatto?" gridò al cielo, perchè in qualche modo sapeva che c'entravano gli dei.
Nessuno le rispose.
Annabeth scattò a sedere, il fiato affannato e I capelli arruffati.
Era nella casa sei, nel suo letto accostato alla parete.
Sentiva i respiri regolari degli altri figli di Atena che dormivano tranquillamente.
Fece un respiro per calmarsi, cercando di fare il punto della situazione.
Per fortuna era stato solo un sogno, pensò, Percy era al Campo, al sicuro.
E allora perchè continuava ad avere uno strano presentimento?
I sogni dei semidei hanno sempre un significato.
Si passò una mano sul viso, sospirando.
Vide che il sole stava per sorgere oltre la baia di Long Island, perciò dovevano essere più o meno le sei del mattino.
Il cielo era ancora scuro, ma si intravedevano all'orizzonte pennellate rosse.
Si alzò e si diresse in bagno, per sciacquarsi il viso.
Doveva togliersi quei brutti pensieri dalla testa.
Percy stava bene, nella casa tre, perchè non avrebbe dovuto?
Cerca il ragazzo con una scarpa sola al Grand Canyon, bisbigliò una voce al suo orecchio, è lui la chiave.
Annabeth si guardò intorno, credendo di impazzire.
Cosa stava succedendo?
Qualcuno aveva parlato, una voce femminile.
L'aveva già sentita, ma non ricordava dove.
Uscì dalla casa sei, attenta a non far rumore per non svegliare i suoi fratelli e sorelle.
Si diresse al Padiglione della mensa, sperando di poter riflettere.
La testa le stava per scoppiare.
Pensava che sarebbe stata da sola, ma invece non lo fu.
Nico era seduto ad un tavolo, in un angolo, e mangiava dei chicchi di melograno.
"Nico" disse, sorpresa.
Lui la guardò, accennando un cenno con il capo come saluto.
Ricordò la sera prima, dopo la vittoria contro Minosse, il discorso che Chirone aveva fatto intorno al falò.
Aveva lodato Nico per il suo coraggio.
Il figlio di Ade non aveva mai ricevuto così tante pacche sulla schiena e così tante esclamazioni di affetto, se non forse soltanto dopo la battaglia di Manhattan.
Annabeth si sedette davanti a lui.
"Allora, come ci si sente ad essere un eroe?" gli chiese "Hai salvato il Campo"
"Non mi sento un eroe" ammise Nico, abbassando lo sguardo "ho sconfitto Minosse, ma non ce l'avrei mai fatta senza di voi. Il pensiero di salvarvi, di riscattarmi per tutte le cose brutte che ho fatto... quello mi ha permesso di vincere"
Annabeth pensò che fosse proprio qualcosa che un eroe avrebbe potuto dire, ma non glielo fece notare: aveva il sospetto che non avrebbe voluto sentirselo dire.
"Credo che il vero eroe sia Percy, in realtà" ammise Nico, dopo un po'.
Lei alzò lo sguardo.
"Affrontre Pasifae da solo" continuò "quella sì che è un'impresa! Le maghe sono le persone più infide in tutta la mitologia greca, a mio parere. Gli dei sono pericolosi, certo, ma le maghe ancora di più"
"Pasifae?" ripetè la figlia di Atena "Quando avrebbe incontrato Pasifae?"
Nico la guardò confuso, gli occhi scuri ancora più scuri.
"Non te l'ha detto?" replicò.
"Detto cosa?"
Il cuore della semidea aveva cominciato a battere all'impazzata.
"Ieri sera mi ha raccontato dov'è stato quando è sparito" raccontò lui "credevo fossi stata la prima persona a cui l'avesse detto. Ha incontrato Pasifae alla reggia di Creta, in qualche modo"
"E cosa si sono detti?"
"Be'... non è stato molto preciso, riguardo questo"
Il figlio di Ade prese a spiluccare il melograno.
"Sembrava che parlarne lo facesse stare male" rispose "ma da quello che sono riuscito ad intuire, Pasifae gli ha predetto qualcosa di brutto. E penso su di te"
Annabeth non sentì più la terra sotto i piedi.
Ecco perchè l'aveva guardata in quel modo dopo la morte di Minosse, ecco perchè non voleva che combattesse.
Perchè molto probabilmente Pasifae, in quanto figlia di Elios, gli aveva predetto che Annabeth sarebbe morta in quella battaglia.
Ma la domanda era: perchè era ancora viva?
"Di Immortales..." mormorò "che cos'ho fatto?"
Si sentiva terribilmente in colpa.
Forse non ti amo nello stesso modo, perchè non ti capisco.
Come aveva potuto dirgli quelle cose?
Percy voleva solo proteggerla, ora ne aveva la prova.
Doveva assolutamente rimediare.
"Devo andare"
Annabeth corse via, diretta verso la casa tre.
Non sapeva se ridere o piangere, proprio come quando hai troppe emozioni che si agitano dentro di te.
Non bussò nemmeno, senza pensare che molto probabilmente Percy stava ancora dormendo.
Voleva solo vederlo e baciarlo.
"Percy?" lo chiamò, entrando nella casa dedicata a Poseidone "Percy? Dove sei?"
Si guardò intorno, mentre lentamente il suo sorriso svaniva.
Il letto era disfatto, ma del figlio di Poseidone non c'era nessuna traccia.
"No..." mormorò, mentre gli occhi cominciavano a pungerle "no, no"
Le tornò in mente il suo sogno, quando Percy le veniva strappato via.
No, doveva toglierselo dalla testa.
Era solo un sogno.
Percy... doveva essere da qualche parte, pensò, per forza.
Magari era andato ad allenarsi nell'Arena perchè non risciva a dormire, com'era già successo.
Sì, doveva essere per forza lì.
Ma Percy Jackson sembrava sparito dalla faccia della terra.
Non era da nessuna parte al Campo Mezzosangue e nessuno l'aveva visto.
Annabeth tornò al punto di partenza, nella casa tre.
Voleva piangere, lo voleva davvero, ma non lo avrebbe fatto.
Doveva essere forte.
Prese una maglietta che si trovava ai piedi del letto, riuscendo quasi a sorridere al pensiero di quanto Percy fosse disordinato.
Uscì dalla capanna, trascinandosi fino alla baia delle canoe.
Un singhiozzo sfuggì al suo controllo, mentre crollava in ginocchio, stringendo a sè la maglietta arancione e inspirando il profumo di Percy.
Rifiutava di credere che fosse l'ultima cosa che le sarebbe rimasta di lui.
"Dove sei, Percy?" sussurrò, mentre le lacrime le solcavano le guance "Dove sei?"
Guardò l'acqua cristallina e ricordò quando Clarisse e gli altri li avevano spinti dentro di essa, un mese prima, e loro si erano baciati dopo che Percy aveva creato una bolla d'aria per respirare.
"Mi dispiace tanto" mormorò, con la voce spezzata "mi dispiace così tanto"
Alzò lo sguardo verso il cielo, come se così potesse raggiungere con gli occhi l'Olimpo ed interrogare uno per uno gli dei sulla scomparsa del figlio di Poseidone.
Ricordò quando Percy le aveva chiesto di ballare, al solstizio di inverno di due anni prima.
"Perchè me lo avete portato via?"
Ricordò come si era sentita nelle due settimane dell'anno prima, quando lo aveva creduto morto dopo l'esplosione sul Monte sant'Elena.
Chiuse gli occhi, facendo un respiro profondo.
Annabeth.
Per un istante quansi le sembrò di sentire Percy accanto a lei, di sentire la sua voce.
Lo immaginò che le prendeva la mano e le diceva che l'amava.
Era così che ci si sentiva a perdere qualcuno che amavi più di te stessa?
Ricordò di una volta di qualche anno prima, quando la protagonista di un libro che stava leggendo veniva lascaita dall'amato.
Il narratore descriveva la sensazione che la ragazza provava, sottolienando come il suo cuore si fosse spezzato in tanti frammenti.
Annabeth aveva trovato il paragone un'esagerazione.
Troverà un'altra ragione per vivere, aveva pensato, s'innamorerà di nuovo.
Come può un cuore spezzarsi in tanti frammenti?
In quel momento scoprì che era possibile.
Il suo cuore si era spezzato e non aveva idea di dove i pezzi fossero finiti, come se essi si fossero incosciamente dispersi in giro per il mondo affinchè Percy li potesse trovare e poi potesse tornare da lei.
"Ti amo anch'io come mi ami tu, Percy" disse al vento.
Forse, in qualche modo, sperava che quelle parole gli arrivassero, dovunque lui fosse.
Si alzò, raddrizzando le spalle.
Annabeth strinse più forte la maglietta.
Il suo sguardo grigio divenne affilato come la lama del suo pugnale, mentre osservava il sole sorgere all'orizzonte ed illuminare con i suoi raggi dorati l'acqua limpida della baia delle canoe.
"Io ti troverò, Percy" mormorò "lo giuro sullo Stige"

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