Capitolo 9

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CAPITOLO 9

Arrivati in ospedale ci dicono di aspettare in una saletta dove verremo presto chiamati.
Ci sediamo su delle sedie rivestite di velluto rosso, mentre Johanna è intenta a parlare -o meglio a discutere- con una delle tante infermiere che passano.
Tra me e Peeta regna ancora il silenzio, ma noto che la mia mano è ancora serrata intorno alle sue dita.
E sembra che nessuno dei due sia intenzionato a lasciare la presa.
Restiamo così finché un'infermiera non ci dice che possiamo andare. Stanza 108.
Apriamo la porta. E' seduta sul letto e tra le braccia tiene suo figlio. E' bellissimo.
Ha i lineamenti dolci di Annie ma gli occhi sono di Finnick. Di un verde indescrivibile. Profondi, capaci di raccontarti una vita.
Annie si volta dalla nostra parte rivolgendoci un sorriso.
Peeta lascia la mia mano e si dirige verso il bambino.
-Posso tenerlo in braccio?- chiede ad Annie.
Annie annuisce e dolcemente posa quel fagottino tra le sue braccia.
-Ciao piccolino- sussurra Peeta.
Io resto sullo stipite della porta ammirando quella scena, come se fossi un fantasma.
Sembra davvero felice.
-Dov'è Johanna?- mi chiede Annie.
-E' andata a casa per prendere qualche vestito di ricambio- dico avvicinandomi al suo letto e sedendomi su una sedia posta lì vicino.
La sera portano via il bambino per delle visite di routine e per tenerlo sotto osservazione questa la notte.
-Vado anch'io- ci dice Peeta, dileguandosi subito dietro l'infermiera. Così rimaniamo solo io ed Annie. Parliamo per un pò finchè lei non si addormenta.
Non ha alcuna espressione. Sembra un corpo privato della linfa vitale. Ogni tanto la sento rigirarsi nel letto e mormorare qualcosa nel sonno. Una preghiera, penso.
-Pronuncia ancora il mio nome- sussurra d'un tratto.
So con chi crede di parlare; così come so che può succedere solo nei suoi sogni.
-Annie- le rispondo, avvicinandomi al suo orecchio.
E quando mi allontano, vedo gli angoli della sua bocca incurvarsi lievemente.
-Quando vieni a prendermi?- farfuglia ancora.
Vorrei tanto dirle "presto", ma non ce la faccio. E poi ho un tale groppo in gola che non mi uscirebbe comunque una parola.
D'un tratto Annie apre gli occhi.
-Quando verrai a prendermi, Finn?- riformula la domanda, ma questa volta piantando il suo sguardo nel mio.
Non può credermi lui. Eppure continua a fissarmi.
-Mi avevi promesso che saremmo tornati a casa. Che saremmo andati a pesca.-
-Annie, non sono Finnick- dico, mentre la snsazione di vuoto mi divora dall'interno pezzo per pezzo.
-E poi hai detto che avremmo visto il solo inghiottito dal mare- dice, spostando i suo occhi in direzione della parete.
E' pallida e trema come una foglia.
-Sono Katniss, Annie- confesso ancora una volta. -Finnick non è...-
-Non è morto- urla Annie coprendosi le orecchie -Non è morto- ripete con più foga.
Vorrei tanto crederle.
-...qui- mormoro. -Finnick non è qui-
Abbasso lo sguardo.
Anch'io non riesco a crederci. Il ragazzo che mi ha offerto lo zucchero prima della sfilata, non è davvero morto. Non quel ragazzo che mi ha salvato la vita nell'arena.
Annie rimane immobile scuotendo la testa impercettibilmente.
-Ascolta- dico, afferrandole le mani che fino a poco fa continuavano ad essere incollate alla sua testa -Te lo ha promesso ricordi? Ha detto che sarebbe venuto a prenderti. Allora tu aspettalo.-
-Non posso andare io da lui?- dice senza particolari inflessioni.
Ho l'impressione che l'ossigeno all'interno della stanza sia completamente scomparso, perché non riesco più a respirare.
Il vuoto, la stanchezza, il disgusto di esistere che sbocca nel desiderio di morire.
Quante volte ho pensato la stessa cosa anch'io?
Ritornare da mio padre. Correre da Prim.
Stringo i pugni.
-Tu devi aspettarlo- replico -Devi prenderti cura di vostro figlio. Devi raccontargli del grande uomo che era suo padre.-
Annie mi guarda supplichevole.
-Tornerà da te.- continuo. -Ha sempre mantenuto le sue promesse-
L'abbraccio e lei, finalmente, scoppia in lacrime.
-Mi manca- dice singhiozzando.
Gli occhi mi fanno male. Non sanno più mettere a fuoco.
-Lo so- ammetto -manca tanto anche a me.-
E trascorriamo così la notte.
La sua testa poggiata sulle mia ginocchia e la mia mano intenta ad accarezzarle i capelli.

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