Capitolo 11 seconda parte

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CAPITOLO 11
seconda parte

Faccio marcia indietro allontanandomi dal suo viso.
I miei occhi lo scrutano e per un attimo lo vedo assurdamente felice, poi la confusione lo travolge.
-Peeta- sussurro, allungando la mia mano in direzione della sua spalla. Ma lui subito si ritrae.
Gli occhi persi nel vuoto e le braccia penzolanti lungo i fianchi. Somiglia ad un burattino senza burattinaio. Un oggetto inanimato, immobile. Sembra perfino che non respiri.
Ho paura. Cosa ho fatto? Cosa diamine ho fatto?
Stupida. Stupida. Stupida.
-Peeta.- Riprovo a chiamarlo, ma anche questa volta non mi risponde.
In compenso resta a fissarmi. Mi sembra perfino di potergli leggere nel pensiero. Di poter scandire ogni singola nota di dolore che lo attraverso dietro quegli occhi appannati che prima risplendevano di un azzurro intenso ma che ora sono iniettati di sangue.
Ho paura. Non per il fatto che lui possa affogarmi in mare da un momento all'altro, ma per la semplice consapevolezza di avergli fatto del male.
Ho paura di me stessa. Delle mie parole. Dei miei gesti. Dei miei pensieri.
Sono io quella sbagliata.
Io, non faccio altro che provocare dolore. Ho paura per questo; ho paura e mi odio.
Nella luce arancione del tramonto, mi accorgo dei cerchi che ha sotto gli occhi. Probabilmente anche lui stanotte non ha dormito.
La calura della giornata sta lasciando posto alla brezza fredda della sera. E io sono sul punto di piangere.
Ripenso alle parole del dottor Aurelius: "La frequenza dei flashback è diminuita."
Giusto. E' diminuita; ma non scomparsa. Eppure mi ero illusa. Lo avevo dato per scontato.
Certo, sapevo che alcuni ricordi di me lo confondevano ancora, ma lo rifiutavo. Non potevo sopportare un simile pensiero.
Faccio scivolare la mano nella tasca dei pantaloni e subito dopo la ricaccio fuori.
-La ricordi?- domando, mostrandogli al centro del palmo una piccola sfera, perfetta, iridescente alla luce della luna.
Peeta sembra riluttante ma poi un lieve "sì" esce dalla sua bocca.
-Sai, la porto sempre con me- dico rigirandomi la perla tra le dita, come ipnotizzata.
-Perché?- continua con aria interrogativa.
-Così non mi sento sola- concludo distogliendo lo sguardo.
Vorrei piangere, urlare, scappare e non ritornare più.
"E' un incubo"continuo a ripetermi. "E' solo un altro incubo. Fra poco mi sveglierò e mi troverò immersa tra le sue braccia."
Ma, come temevo, non succede nulla.
Inizio a sentirmi travolta da una sorta di confusione intossicante.
Sono arrabbiata. Sono disperata. Sono disposta a tutto pur di non lasciarlo andare.
Così gli prendo il viso fra le mani nonostante lui continui a opporre resistenza.
-Peeta, ti prego, guardami- lo imploro. -Me lo avevi giurato. Resta con me, Peeta. Resta con me.-
E in quel che mi sembra un tempo infinito, vedo gli occhi di Peeta farsi più dolci, i muscoli rilassarsi.
-Sempre- mormora, infilandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Lo abbraccio perché è l'unica cosa razionale che penso. Premo la faccia contro l'incavo del suo collo, le mani stringono convulsamente la sua maglia per paura che lui possa volatilizzarsi da un momento all'altro.
Il suo corpo contro il mio: vivo e familiare e rassicurante.
Inevitabilmente mi torna alla mente un'altra promessa.. la stessa promessa.
"Non permettergli di portarti via da me."
Ma stavolta non fa male. Stavolta, quel ricordo mi fa stare bene. Mi conferma che nonostante i flashback, i sentimenti di Peeta per me non sono cambiati.
Così quando mi sussurra: -Tu mi ami. Vero o falso?-, io gli rispondo -Vero.-

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