Bisogno

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Mi manca il respiro, la realtà perde di significato. In che stanza sono? Non importa, non la vedo. Sono oggetti indistinti, insignificanti. L'unica cosa reale è il buco nero che ho nello stomaco e che mi vuole divorare.
Pesa come un macigno.
Schiaccia come la gravità.
È ampio quanto lo spazio stesso.
Uccide come la lama di un assassino.
No, se fosse morte non sarebbe così doloroso. Annienta. Non esisto più.

Eppure mi tocco, eccomi. Poso le mani sullo stomaco, esisto. Colpisco. Deve cessare. Il dolore sostituirà quel vuoto. Colpisco ancora, lo stesso punto, ma l'ansia rimane, il respiro non torna. Inspirare. Espirare. So come si fa tuttavia l'aria continua a mancare.
Voglio svanire, essere cenere. Supplico «ti prego basta, fermati». Non voglio sentire più nulla. Non voglio essere, non voglio vivere.

Tremo, mi sento un tossico in crisi d'astinenza. Non valgo nulla. Ti chiamo, ho bisogno di te.
«Ti prego, fammi fare qualcosa di umiliante».
Non chiedi spiegazioni, accetti. Forse semplicemente non ti interessa quello che sto passando. Ascolto la tua voce, prendo una penna. Troia su un braccio, puttana sull'altro. Ti mando le foto. Sono stata brava dici, ti piace, ma non basta. Ancora. Zoccola sulla mia coscia, marchi delebili che stanotte diranno chi sono. L'ultimo ordine e torno a vivere. Il tuo nome sul mio sesso. Lo scrivo con sacralità, adoro ogni lettera. Non potevi darmi ordine migliore. Sì, sono tua, lo sento. L'ultima foto. Mi dici di ricordarlo. Ti appartengo. «Sei mia, non puoi essere sola. Guardati e ricordalo».

Torno ad esistere, ad essere vera. Crisi ai limiti dell'autolesionismo mi ricordano che per me non c'è salvezza. Ho troppo da dare, mi è stato dato troppo poco. Non sopravvivrò a questo mondo. Mi toglieranno ogni brandello.
Anche tu lo farai, so che è così.

Forse è colpa mia. Sono troppo viva. Se non esplodo di sensazioni positive mi lascio attanagliare da quelle negative.
Sono fatta così, che posso farci. Brucio, mi concedo fino all'ultima fibra. Non risparmio nulla di me. Voglio vivere, sentire. Tutto. E se per ora la vita mi ha riservato solo dolore lo accetto, perché accetterei ogni cosa pur di non limitarmi ad esistere.
Forse è colpa mia, che so amare tutto meno che me stessa.

Ma no, che dico. Ricordo la mia vita fino a qualche mese fa. Esistevo, semplicemente esistevo, nulla di più. Avevo toccato solo il dolore e lo avevo accantonato nell'angolo più remoto del mio essere. Fingevo di amare e sognavo un amore più profondo. Dicevo ti amo, consapevole che in verità una rottura non mi avrebbe ferita poi tanto. Così è stato. Poche settimane di agonia in confronto agli anni vissuti assieme, poi il cuore è tornato a battere regolare.

Non posso però tornare a quei giorni. Avevo paura, mentivo, sopprimevo me stessa. Ho aperto quella porta ora ed è impossibile chiuderla. Una volta aperto il mio cuore è difficile frenarlo. Perché non conosco un modo lieve di amare. Il mio cuore è come un fiume impetuoso, un incendio che divampa in un bosco, un feroce temporale estivo che si abbatte su case, alberi e campi devastando ogni cosa. E dopo aver fatto crollare i muri, dopo aver aperto la diga, non conosco un modo per fermarla. Mi terrorizza.

Sopravvivrò.

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