quattro

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Ore 23:52

Fabrizio spronava il motorino a tutto gas, come se avessimo appena guadagnato la posizione di testa a un Grand Prix motociclistico. Il vento mi gonfiava la giacca e si insinuava freddo sotto i vestiti, mentre tutt'intorno macchine parcheggiate, palazzi, cartelloni pubblicitari, alberi e lampioni sfilavano velocissimi, come risucchiati da un invisibile buco nero alle mie spalle. In quei dieci giorni, mi ero quasi dimenticato quanto fosse grande Roma, come il mondo non si esaurisse nel mio appartamento, nei giardinetti e i cortili di Villa Riccio e nei centocinquanta metri di strada che dovevo percorrere per andare al minimarket. No, Roma era enorme ed era vuota e nostra, tutta nostra.

Reggendomi forte alle spalle muscolose di Fabrizio, alzai lo sguardo al cielo e con meraviglia mi accorsi che c'erano più stelle in cielo di quante ne ricordassi: negli squarci fra le nuvole, vedevo il velluto nero della volta celeste e piccole scaglie di luce dove, nelle serate precedenti alla quarantena, non c'era stato niente. La cupola di smog che racchiudeva Roma si era sollevata; rimanevano le luci della città a impedire di vedere la maggior parte delle stelle.

Se ci fosse anche un blackout totale, questo scenario post-apocalittico sarebbe davvero perfetto, mi sorpresi a pensare. Peccato per Rebecca, dovrebbe smettere di girare il suo film...

Cosa stava facendo, in quel momento, la ragazza che avevo lasciato al cancello di Villa Riccio? La immaginai fra gli alberi e le panchine del cortile, con il cellulare teso davanti a sé per inseguire un'inquadratura che la ispirava, la fronte aggrottata per la concentrazione. Finito di riprendere, quell'espressione avrebbe di sicuro ceduto al passo a uno dei suoi sorrisi soddisfatti. Potevo quasi vedere il luccichio dei suoi occhi dietro le lenti.

Avvertii l'elastico di poco prima dare un'altra energica tirata, da qualche parte sotto lo sterno. Respinsi quella sensazione. Mica è davvero la fine del mondo, finché dura questo cavolo di lockdown ho tutto il tempo che voglio per parlare con Rebecca. Il Quarantena Party è stasera, e non ci saranno repliche.

Dopo aver percorso Viale Mazzini come un proiettile nella canna di una pistola, Fabrizio svoltò a sinistra su Piazzale Clodio, ignorando l'inutile semaforo che continuava ad alternare i suoi colori in mezzo al nulla.

"Stamo contromano!" mi informò ridendo il mio amico. Nessuna macchina ci venne incontro dall'altro verso per sfracellarci. Quando passammo Via Riboty, scorsi per un attimo un uomo incappottato che portava a spasso un cagnetto — probabilmente per la quindicesima volta quel giorno.

"E sticazzi!" urlai nell'orecchio di Fabrizio, che rise più forte. L'uomo con il cane alzò la testa per guardarci schizzare via. Il motorino eseguì una virata a destra e imboccò la Circonvallazione nel giusto senso di marcia — neanche Fabrizio era così pazzo da sfidare la sorte per più di poche centinaia di metri.

Mentre risalivamo lo stradone verso Via Cipro, mi venne l'improvvisa paranoia di essere seguiti da una macchina della polizia — ma quando torsi il collo per guardare, vidi che dietro di noi non c'era nessuno. Nonostante il fracasso assordante del motorino, eravamo riusciti a percorrere quel tragitto in barba a tutti.

Fabrizio frenò quando giungemmo davanti alla stazione della metropolitana di Cipro. Fra la sua guida spericolata e le strade vuote, giudicai che il viaggio fosse durato poco più di dieci minuti. Doveva essere mezzanotte, o giù di lì. Misi d'istinto una mano nella tasca dei pantaloni per prendere il telefono e controllare l'ora, ma il cellulare non era lì, com'era ovvio. Mi sentii stranamente nudo e perso, nel ricordarmi della sua assenza. Da quanto tempo era che non uscivo di casa senza telefono? Di sicuro da quando i miei me l'avevano comprato, qualche anno prima. Mi venne in mente all'improvviso l'elenco di cose che davo per scontate e in quel momento non potevo fare: controllare l'indirizzo su Google Maps, ricevere aggiornamenti sulla festa, sapere l'ora, fare una foto per immortalare un momento (nella mia mente risuonò limpida la voce di Rebecca: Non postate online le foto che vi farete a 'sta cazzo di festa!)...

"Ma allora 'sta via della Malora o come se chiama?" domandò Fabrizio, strappandomi alle mie riflessioni. Mise giù il cavalletto, smontò dal motorino e tolse il casco.

"Puoi controllare su Google Maps? I miei mi hanno sequestrato il telefono, come ti dicevo prima..."

Fabrizio prese il cellulare e iniziò a scrutare la mappa, grattandosi pensieroso una chiazza di barba ispida che aveva iniziato a crescergli sul mento. Io ero ancora sfornito di peluria facciale, tranne che per una rada lanugine bionda sopra il labbro, ma del resto Fabrizio era più vecchio di me: io nato a novembre, lui ai primi di gennaio dello stesso anno. Poi i mori in questo partono avvantaggiati sui biondi, si sa.

"Ci sta Via della Meloria da quella parte," annunciò il mio amico, indicando con il braccio la direzione che Google Maps gli mostrava.

"Dev'essere quella!" esclamai.

"Numero civico?"

"Ehm..."

Fabrizio alzò gli occhi dallo schermo per fissarmi. "Non ce l'hai."

"Veramente no," confessai. "Pensavo di chiamare Alessandra una volta sotto casa di suo fratello."

"La chiamo io, te lo ricordi er numero?"

"No che non me lo ricordo," ribattei, iniziando a sentirmi un po' stupido. "Hanno inventato la rubrica del cellulare proprio per non dover ricordare i numeri a memoria!"

"Beh, almeno er mio te lo ricordavi," sorrise Fabrizio. "Me fa piacere. Comunque, c'hai qualche idea de come possiamo sape' dove fanno 'sta festa?"

Iniziai a camminare avanti e indietro con una mano sulla tempia, come facevo sempre quando mi spremevo le meningi per trovare la soluzione a un problema. Tirò un soffio di vento e mi strinsi nella giacca jeans, desiderando indossare qualcosa di più pesante: la notte stava diventando fredda.

La proverbiale lampadina, infine, si accese. "M'ha detto Alessandra che è il portone accanto a un elettricista con l'insegna blu," dissi, trionfante. "Dobbiamo solo farci tutta la strada avanti e indietro finché non lo trovamo."

Fabrizio fece spallucce. "Mentre annamo, puoi raccontarmi della tua fuga, ok?"

Una festa per la fine del mondoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora