sette

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Ore 00:25

Castel Sant'Angelo era apparso davanti a noi colossale e silenzioso come la fortezza volante di un film fantasy, con la statua dell'Arcangelo Michele, ritta in cima, che sfoderava la spada nel suo eterno atto di sfida. Entrambi avevamo smesso di cantare per ammirarlo in silenzio, mentre Fabrizio rallentava prima di svoltare sul lungotevere.

A quel punto, ci eravamo lasciati il castello e San Pietro alle spalle, costeggiando il fiume e prendendo sempre più velocità — sbalorditivo che quel catorcio non fosse ancora crollato a pezzi sotto lo sforzo. Girando la testa a sinistra, potevo ammirare lo sfilare dei ponti, lo scorrere del Tevere in fondo agli argini, gli edifici del centro storico sull'altra riva.

Andarsene in giro così, senza che ci fosse anima viva in giro, era come muoversi all'interno di un dipinto di Roma, e mi trovai a desiderare che quel viaggio durasse il più possibile. Il Quarantena Party, e perfino Alessandra, si erano rimpiccioliti nella mia mente fin quasi a sparire. Sorrisi beato e allargai le braccia come ali, spostando lo sguardo alle cime degli alberi che bordeggiavano il lungotevere, i cui rami nascondevano e rivelavano più e più volte un buco fra le nuvole, al quale stava appesa una falce di luna calante.

Fabrizio alzò un pugno e ululò al cielo come una sirena.

Subito dopo, il motorino diede un secco colpo di tosse dalla marmitta, poi un altro, poi un altro ancora e poi cominciò a sputacchiare e a perdere giri. Avevamo appena passato Ponte Sisto.

"Ahò, che cazzo succede?" esclamai.

Fabrizio diede gas più volte e il motorino scartò e sobbalzò come un puledro imbizzarrito. Poi, cominciò a rallentare e mi trovai avvolto da una nube di fumo puzzolente che si stava sollevando dal motore.

"Ferma! Ferma!" strillai.

Fabrizio frenò in maniera così brusca che per poco non finimmo a gambe all'aria. Ripreso il controllo del mezzo mettendo un piede a terra, il mio amico spense il motore, girò la testa e sbarrò gli occhi. "Se sta a fonde, scendi presto!"

Non ci fu bisogno di insistere. Smontammo entrambi, ci allontanammo di due passi e guardammo il motorino agonizzare a terra. Una cinquantina di metri più avanti (eravamo quasi riusciti a raggiungere Piazza Giuseppe Gioachino Belli), la statua del sommo poeta romano osservava anch'essa, da sotto il cappello a cilindro di marmo, quella scena sconfortante.

"Ma che, è schioppato?" domandai, nonostante la risposta fosse più che ovvia.

"Me sa de sì," rispose fra i denti Fabrizio.

"E mo'?"

"E mo' lo prendemo e lo spignemo."

Fabrizio si chinò, afferrò il manubrio e sollevò il motorino gonfiando i muscoli delle braccia e ringhiando dal fondo della gola.

"Fino a casa? Ma è lontanissimo a piedi!" esclamai. Nello spazio di qualche secondo, mi raggiunse la consapevolezza che le implicazioni di quell'incidente andavano ben oltre l'essere costretti a perderci la festa. Eravamo bloccati a qualcosa come cinque chilometri dalle nostre case, di notte, senza che i nostri genitori sapessero dove eravamo, senza che nessuno potesse uscire di casa per darci una mano, senza nessun carro attrezzi a prestare servizio per via della quarantena, con il rischio di essere beccati e arrestati dalla prima pattuglia che ci avesse scoperti ad arrancare per Roma trascinando un motorino inutilizzabile.

"E ce lo so, Savi'," ribatté Fabrizio, cominciando a suonare spazientito, se non proprio arrabbiato. Cazzo, lo avevo trascinato io in quel macello, se non fosse stato per me e quello stupido Quarantena Party in quel momento sarebbe stato tranquillo a casa sua. Mi sentii un verme. "Intanto cercamo de portallo fino a Piazza Belli, non lo possiamo lascia' in mezzo alla strada."

Fabrizio iniziò a marciare, con il manubrio stretto fra le mani e masticando un rosario di imprecazioni, mentre io reggevo il motorino per il sedile. Se le bestemmie fossero state in grado di aggiustare i motori, saremmo certamente ripartiti nel giro due minuti.

Una festa per la fine del mondoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora