FIDUCIA

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Non appena il ragazzo, divenuto solo da qualche anno abbastanza maturo per poter trattare gli affari di famiglia dopo la morte del padre, finì di scrivere l'ennesima lettera alla sua amata sorella, decise di recarsi nel palazzo dei Pazzi, oramai divenuto la bottega di Sandro Botticelli, per poter incontrare l'uomo a cui aveva riposto tutta la propria fiducia nel proteggere la loro città. Era ormai passato qualche anno prima che Il Magnifico avesse accennato a ricostituire il consilium priorum nella florida e maestosa Firenze. Infatti, quando l'uomo aveva dichiarato in sua presenza che, dopo il catasto, avrebbe trovato un modo per ridare diritti e libertà a pari modi a tutti i popolani, Tommaso non aveva potuto fare altro che rinnovare la propria devozione verso colui che aveva reso il luogo dove abitavano una culla artistica e culturale di quel periodo a loro contemporaneo.

Trasse un profondo respiro ed entrò nel luogo dove si trovavano molti degli artisti che probabilmente avrebbero intrapreso una strada ardua ma piena di successo. Venne immediatamente fermato dal giovane Medici, Piero, il quale senza aspettare troppo gli propose di iniziare il prima possibile a censire il popolo, proprio come i Priori avevano ordinato. Un leggero sorriso balenò sul viso dolce e pieno di vita di Peruzzi.

"Siete davvero entusiasta, lo vedo. Comunque Piero, per favore, prendete questo lavoro con più leggerezza. In fondo siete ancora giovane e vostro padre è nel pieno del vigore, avrete ancora molto tempo per prepararvi alla vostra futura vita da capofamiglia." Lo ammonì con nota soave il biondo.

"Certo Tommaso, comprendo perfettamente. Però ciò che voi non capite è che non è mai né troppo presto né troppo tardi per imparare." Rispose al biondo che, con un certo piacere, dovette ammettere l'arguzia del figlio di Lorenzo.

"Siete incredibilmente scaltro con le parole – lo elogiò – ma ciò che dovete ancora apprendere è la pazienza: dovete imparare a tacere nel momento opportuno e a parlare quando è necessario."

A queste parole il volto di Piero, prima rallegrato dalle parole del ragazzo per cui provava una tale devozione, divenne leggermente cupo, lasciando anche trapelare una sorta di delusione personale.

"Tuttavia, la vostra audacia ed il vostro coraggio sono di particolare impatto. Vi ho osservati a lungo, Messer, la vostra determinazione e devozione ai vostri ideali vi guiderà e si rivelerà un'arma molto potente, ma badate bene: la vostra è una lama a doppio taglio. Comunque - cambiò improvvisamente argomento - se vi rende più felice, sarei lieto di proseguire immediatamente l'impiego con voi iniziato. Andiamo"

Detto questo si voltò circondando le spalle di Piero con il proprio braccio, poi lo condusse nel palazzo dove molti uomini impiegati da Messer Peruzzi erano intenti ad organizzare e catalogare i libri contabili dei cittadini.

"Tommaso Peruzzi, Piero de Medici. Vi volevo avvisare che è pronto il resoconto da consegnare alla famiglia Ardinghelli." Si avvicinò un uomo anziano sulla sessantina.

"Andremo di persona, non è vero, Tommaso?" decise d'impulso Piero.

L'altro annuii in segno di approvazione ed insieme se ne andarono.

Ciò che successe poi nella dimora di Messer Ardinghelli lasciò entrambi i presenti perplessi, ma, in particolar modo, portò Tommaso a dubitare e a mettere in discussione la propria devozione fino a quel momento posta ciecamente a Lorenzo de Medici.

Di fatto, non appena arrivarono al cospetto dei padroni di casa, Messer Ardinghelli si permise addirittura di accusarlo di servire Lorenzo aiutandolo a celare la verità sui conti di Firenze e insinuando che lui, Tommaso Peruzzi, un forte sostenitore della Repubblica, si fosse convertito alle idee teocratiche del Magnifico lasciandosi persuadere dalla nota eloquenza di quest'ultimo.

"Tommaso riferisce dell'andamento a mio padre proprio come fa con voi" lo difese con tono doro e autoritario Piero. Appena si accorse di come si fosse abbandonato al momento trascurando la propria parte razionale, aggiunse: "Una forma di cortesia" nella speranza di rimediare alla propria esuberanza.

"Io servo Firenze, non Lorenzo. Servo i suoi cittadini e, per fare questo, devo ascoltarne i bisogni. Purtroppo questo è un lavoro che richiede chiaramente molto tempo e dedizione." Concluse in sua difesa il biondo per poi aprire la porta incitando il ragazzo a seguirlo fuori dalla dimora.

"In nome di Firenze – li richiamò Messer Ardinghelli – vi chiedo di ricordare a Lorenzo che questa un tempo era una Repubblica, e voi ne eravate un convinto difensore" aggiunse l'uomo, tentando per l'ennesimo volta di ritrarre la famiglia Medici come una nemica della libertà. Queste ultime parole, rimaste sospese nell'aria, si insinuarono nella mente di Tommaso come un pugnale dritto nel petto.

"Scusate, avrei dovuto tacere" si rivolse Piero mortificato all'amico non appena lasciarono la casa del mercante alle spalle.

"Non vi preoccupate – lo rassicurò l'altro – Messer Ardinghelli mi ha ricordato qualcosa che mi ero permesso di dimenticarmi. Vostro padre sarebbe fiero di voi, ora andate a riposare. Ci vedremo presto Piero".

Pose una mano sulla spalla del giovane Medici e sorrise lievemente. In poco tempo Piero si ritrovò solo, come se fosse stato nuovamente abbandonato. Passò qualche istante prima che un ragazzo sulla ventina vestito con abiti sgualciti gli si avvicinò chiedendo gli venisse concesso del tempo per parlargli. Ciò che in quel momento Piero sentì dire lo lasciò profondamente turbato: qual era lo scopo del Monte delle Doti? Perché i fondi di quella cassa non erano state date donate alla sorella di quel povero uomo? Soprattutto, in che modo poteva suo padre averne a che fare?

I Medici - Piero de MediciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora