Tre: Once in a lifetime

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Erano circa le sei e venti quando per l'ennesima volta Louis si stava rigirando nel letto di quello sporco motel nel quale si era ritrovato qualche ora prima, appena atterrato dal suo volo, perchè era stato il primo che aveva trovato ed era convinto che ci sarebbe rimasto ben poco perché poi si sarebbe trovato un appartamento molto presto. Decise che nonostante avesse dormito poco e fosse abbastanza presto, forse la cosa migliore era alzarsi e uscire da quella camera asfissiante.

Si vestì semplicemente come era vestito il giorno prima e cominciò a camminare per una città che non era la sua, completamente diversa, strana, sconosciuta.

E questo gli piaceva. Il non conoscere niente, il non conoscere nessuno lo intrigava da matti, dava quella scossa alla sua vita che da anni avrebbe voluto ricevere.

Passò accanto ad un caffè, si chiamava 'Félicité' ed entrò semplicemente perchè il nome esprimeva il suo attuale stato d'animo, la felicità.

Si sedette all'unico tavolino libero, era sorprendente come fosse già gremito di gente a quell'ora del mattino, e si mise ad osservare il locale: le pareti rosa pastello ti trasmettevano calma e la musica dolce di sottofondo armonizzava piacevolmente l'inizio della giornata.

Louis chiuse gli occhi ed inspirò profondamente tutti gli odori che si racchiudevano in quel posto e ne percepì l'aroma di ognuno di essi, dal più intenso a quello che si stava affievolendo piano piano.

Era come caduto in una sorta di trance, ogni singolo muscolo del suo corpo era rilassato e il cervello aveva staccato la spina finalmente, nessun pensiero gli passava per la testa e si sentiva libero, senza catene, come non succedeva da tanto tempo.

Il suonare della campanellina attaccata alla porta che avvisava che questa si fosse aperta, lo risvegliò dalla sua adorazione e per poco non imprecò. Stava così bene, una persona che doveva essere appena entrata era la causa del suo risveglio, di sicuro.

Aprì gli occhi e scrutò chi potesse essere la causa della sua interruzione. Niente, non capiva, c'era troppa gente ai tavoli, troppa gente in giro, più di quanta ne ricordasse e troppa gente in coda, se ne era sicuramente aggiunta qualcuna.

Una persona attirò il suo sguardo. Non l'aveva vista quando era entrato. Era un ragazzo alto, capelli ricci e scomposti, fissava il cellulare, ma non digitava niente, lo guardava insistentemente e basta.

A tracolla portava una macchina fotografica di quelle professionali. Louis ispezionò quella figura a lungo, fino a quando questa non fu la prima della fila e sorrise alla cassiera del caffè prendendo la sua ordinazione.

Cavolo, che sorriso. Altro che armonia di quel posto, il sorriso di quel ragazzo scombussolava tutto. Era bianco, perfetto e..caldo. Sì, caldo, ti faceva sentire accolto, in un certo senso.

Stava finalmente bene per una volta nella sua vita.

Teneva sempre i suoi occhietti azzurri su quel ragazzo quando lui si girò per uscire dal locale e lo vide, lo vide che lo stava guardando e si bloccò sul posto. Sembrò un po' incerto su cosa fare esattamente, ma poi parve sciogliersi e gli sorrise, sorrise in quel modo che già piaceva tanto a Louis. E mentre contemplava la sua bellezza, lo sconosciuto si voltò e si diresse fuori dal locale, lasciando Louis a bocca aperta e senza pensieri in testa, ma se prima credeva che il suo cervello avesse staccato la spina, ora era sicuro che il sorriso di quel ragazzo gli aveva mandato in corto circuito tutto ciò che aveva per vivere, tra cui polmoni, cervello e cuore.

Avrebbe voluto raggiungerlo, da una parte, magari con una scusa del tipo che non voleva fissarlo, non voleva metterlo in imbarazzo, ma magari lo avrebbe fatto risultare più ridicolo e patetico di quanto non fosse già, quindi forse era meglio di no. E poi le sue gambe non rispondevano ancora al suo cervello. Niente, tutto staccato.

Provava decisamente attrazione fisica per quel ragazzo.

Louis era attratto dai ragazzi praticamente da sempre, da quando a undici anni aveva baciato Mary, una sua compagna di classe, e gli aveva fatto schifo, allora aveva baciato anche Laura, ma pure quello non gli era piaciuto, così una sera, ritrovatosi con i suoi amici, aveva accidentalmente baciato Jeremy, il suo migliore amico e gli era piaciuto, forse anche più della panna sulle fragole.

Così aveva capito di essere gay, una cosa precoce, ma comunque sicura, non lo aveva pensato di certo per moda, ma perchè era vero e quella storia andava avanti da nove anni.

Quando era uscito allo scoperto, attorno ai sedici anni, molti suoi amici lo avevano abbandonato, tra cui proprio Jeremy. Fu un duro colpo per lui, perchè il suo migliore amico negli anni era diventato la sua cotta, la persona per cui stravedeva e vederlo andarsene perchè gli faceva schifo, beh, era..umiliante, deprimente, triste.

La sua vita in tre aggettivi.

Da quando Jeremy era uscito dalla sua vita, Louis non era più lo stesso, aveva cominciato ad essere ribelle, era stato bocciato un anno in terza superiore, non ascoltava la madre, beveva, fumava sigarette e non piangeva, ma si autocommiserava, non aveva più avuto veri amici, perchè tanto secondo lui se ne sarebbero andati sempre tutti. In fondo gli piaceva stare da solo, ma una presenza gradita nella sua vita non gli avrebbe di certo fatto male.

Non sapeva come capacitarsi della cosa, ma in un certo senso il sorriso del riccio aveva colmato una minuscola, quasi invisibile parte di quella voragine che lo possedeva e sentiva di averne ancora bisogno, sentiva che questo vuoto non poteva essere colmato così poco, ne voleva ancora e ancora e ancora, solo che non sapeva come avrebbe fatto. Si rassegnò e prese la decisione che non era successo niente, non aveva visto niente, stava esattamente come un paio di ore prima.

Sbuffò, stufo di tutto ciò che lo assillava in testa, a quanto pareva la spina ora era attaccata e funzionava tutto benissimo.

Si alzò e uscì da quel locale diventato improvvisamente soffocante.

Sunflower - Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora