Sette: Stockholm syndrome

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Il vento soffiava. Non si riusciva esattamente a capire se fosse caldo o freddo, era più sul tiepidino, quasi piacevole.

Saranno state all'incirca le nove quando Harry intravide in lontananza una figura avvicinarsi, l'unica che sapeva che lì l'avrebbe trovato.

La sua pelle chiara e i lineamenti leggermente scavati, le dita delle mani affusolate, da pianista, le gambe esili e fin troppo magre per un ragazzo della sua età; era uno spettacolo perfetto nella sua imperfezione, che Harry avrebbe fotografato migliaia e migliaia di volte.

Lo ammirò avvicinarsi lento e cauto, con passi piccoli e leggeri, il fiato quasi sospeso, il battito irregolare che il riccio poteva percepire anche a distanza; avrebbe tanto voluto mettergli una mano su quel suo petto da ragazzino e dirgli di stare calmo, che con lui non doveva più preoccuparsi di niente, i problemi li avevano entrambi lasciati in Inghilterra e ognuno dei due voleva solo ed unicamente cambiare vita, stando lì.

Nella notte appena trascorsa aveva riflettutto molto sul ragazzo dagli occhi blu che gli avevano immediatamente rubato il cuore e si era reso conto di qualcosa, un qualcosa di strano, di quelle cose che nascono senza che tu conosca bene una persona, di quelle che logorano l'anima fino a farti credere di stare impazzendo, di quelle che allo stesso tempo sono così piacevoli, ma così dolorosi. Quel qualcosa era qualcosa di strano persino per lui, perchè mai era riuscito a provare un sentimento così forte per una persona, in così poco tempo, tra l'altro.

Lui per primo era stato scettico sulla cosa: se lo era negato più e più volte, ma solo quello per lui riusciva a spiegare tutti gli atteggiamenti che lo avevano caratterizzato in quei giorni, tutte le sue decisoni, le sue scelte.

E quindi capì che se ne era innamorato. Nulla da dire, nulla da spiegare, nulla da comprendere. Se ne era innamorato e basta. Non c'è un perchè quando ami.

-Ciao.

-Ciao.

Una semplice parola che peró per Harry significava tutto, significava l'inizio di una giornata, di un momento, magari di una vita.

-È davvero bello qui.

-Già, ti ho già detto che scelgo bene i miei soggetti. -rispose con un sorrisino appena accennato, ma con gli occhi persi dentro quegli oceani.

-Sì, e hai proprio ragione.

Si sedette di fronte a lui e si osservarono a lungo, i soliti silenzi piacevoli a prendere posto nelle loro conversazioni, gli sguardi profondi ma al contempo timidi, i sorrisi sinceri che si rivolgevano tanto per rompere la monotonia.

-Questo posto sembra fatto esattamente per te, il verde si abbina molto bene al blu dei tuoi occhi.

Gote leggermente più rosee, incuvarsi delle labbra imbarazzato, Louis che abbassava la testa per non fargli notare il suo evidente arrossamento e un -Verde, come i tuoi occhi -appena sussurrato, fiatato via, che se Harry non si fosse impegnato, non sarebbe stato in grado di cogliere.

Louis rialzò la testa, come ad essersi ripreso, e a voce più chiara -Mi racconti qualcosa di Parigi? -gli chiese.

Harry sorrise perchè aveva sempre avuto nel suo cuore la risposta a quella domanda, la sapeva dal momento in cui aveva messo piede in quel posto. -Parigi è come l'amore: non si può spiegare, ma soltanto vivere.

Il castano non rispose a quell'affermazione, si limitò ad annuire, ma poi -E qual è la cosa che ti colpisce di più?

-Non ce ne è solo una, in realtà. Amo la gente, ti guarda, ma allo stesso tempo non ti giudica; amo il clima che si respira, è di pace; e adoro i monumenti, le grandi costruzioni. Sono sempre state una mia passione e di certo la Torre Eiffel è quella che batte tutti.

Sunflower - Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora