24 Ottobre 1917
Tardo pomeriggio. Base aerea di Santa Caterina, sede della 91esima Squadriglia Caccia, nei pressi di Campoformido, Udine
Il maggiore Baracca era chino alla sua scrivania. Spostava la penna dal calamaio al foglio senza scrivere nulla, gli occhi fissi sul testo già scritto. Ruffo di Calabria aprì la porta senza bussare.
— Novità? — chiese.
Tutti volevano avere novità. L'attacco degli austriaci avrebbe dovuto cominciare quella mattina, ben prima dell'alba, ma non era arrivata alcuna comunicazione. Il telefono, appeso alla parete non lontano dalla porta, aveva taciuto per tutto il giorno.
— Macché!
— Hai finito la lettera per i genitori di Gigi?
Francesco alzò gli occhi dal suo scritto e fisso l'amico. Aveva una carnagione pallida, quasi grigiastra, gli occhi arrossati e le occhiaia di chi non aveva chiuso occhio.
— Credo di sì. Non so cos'altro aggiungere.
Ruffo si avvicinò alla scrivania e allungò una mano. — Posso?
Baracca annuì, e gli passò la lettera. Poi si alzò e si diresse verso la finestra. Fuori, mulinelli di foglie secche si inseguivano sul prato, seguendo percorsi ora rigorosamente rettilinei ora erratici, con pause e svolte inaspettate.
— È bella. Scrivi molto bene, Cecchino.
— Non sai quanta fatica mi è costata!
— Lo so. Si vede: è una lettera che viene dal cuore. Credo che i genitori di Gigi proveranno orgoglio nel leggerla. E forse un po' di sollievo, anche.
— Aggiungeresti qualcosa?
— No. È finita così. La porto a Rosato? — chiese, già sulla porta.
— Grazie, sì. — Baracca non spostò gli occhi dal cielo, fuori dalla finestra. L'acquazzone che era durato per quasi tutta la giornata sembrava essersi esaurito lasciando il posto a un vento violento e rabbioso. Se non altro, forse si sarebbe portato via le nuvole.
— Ha smesso di piovere, vero? — chiese Ruffo rientrando nell'ufficio e accomodandosi alla scrivania del Comandante. Cominciò a rollare sigarette e ad allinearle nel suo portasigarette d'argento.
— Sì. Mi chiedo: col tempo di oggi, avranno sospeso l'attacco? — chiese Baracca, senza distogliere lo sguardo dal vetro.
— Non credo. Non capisco, però, perché non si sappia nulla.
— Non sono tranquillo, — mormorò Baracca, dopo alcuni minuti di pesante silenzio.
— Comunque, — suggerì il Principe, alzandosi. — Se ha smesso di piovere...
— Neanche per sogno, — brontolò Francesco. — Ora tira un vento spaventoso. Non si può volare.
I due uomini tornarono a sedersi. L'ufficio era piccolo, arredato solo con una scrivania, un paio di seggiole e un armadio. Baracca l'aveva poi decorato con alcune fotografie della squadriglia e con qualche cimelio raccolto dai numerosi aeroplani che aveva abbattuto. La maggior parte di questi trofei, però, era finito al circolo ufficiali. Un quadrato di tela color ocra, con stampigliati in caratteri enormi i numeri 61.57, era appeso alla parete dietro la scrivania.
Lo sguardo di Ruffo di Calabria si fermò sul pezzo di tela. — Ne è passato di tempo, da quella volta, eh?
Baracca sapeva a cosa il compagno si stesse riferendo, ma si voltò a osservare a sua volta il cimelio. — Un anno e mezzo, — mormorò. — Lo sai che me lo sogno ancora?
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Il Cavaliere
Historical FictionUn romanzo storico sulle imprese dell'asso dell'aviazione italiana, Francesco Baracca. Sfide, battaglie avventure sui biplani caccia della prima guerra mondiale. La storia narrata si svolge prevalentemente nelle settimane a cavallo della battaglia d...