Capitolo 3

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Sabato 11/09/99
13:10
-Maledizione- Imprecai tra me e me.
Quel giorno faceva terribilmente caldo, le strade asfaltate di Roma-sovraffollate come al solito- sembravano quasi bruciare e come se non bastasse ero in ritardo per andare a prendere mia figlia, che era uscita da scuola ormai già da qualche minuto.
Dopo aver lanciato uno sguardo verso la lunga coda dalla quale si levava il fastidiosissimo strepitio dei clacson, abbandonai immediatamente l'idea di usare l'auto: era fuori discussione, ci avrei messo un secolo.
Rendendomi effettivamente conto di quanto fosse tardi, iniziai letteralmente a correre verso la scuola di Dindi, preoccupata, mentre mille scenari diversi iniziavano a prendere forma nella mia mente: la bambina che iniziava a correre da sola in mezzo alla strada, le auto in corsa che non la vedevano e non riuscivano a frenare in tempo, gli sconosciuti, i pazzi di quartiere di cui ogni giorno leggeva le misfatte sui quotidiani...
Accelerai, e insieme ai miei passi aumentava anche la mia agitazione e il mio battito cardiaco; iniziai a sentire calore al viso e le mani erano diventate improvvisamente sudaticce.
Arrivata fuori scuola, mi si gelò il sangue nelle vene e quasi ebbi un mancamento alla vista di un uomo accovacciato davanti alla mia piccola Dindi: cosa diamine stava facendo?
Mi diressi infuriata verso lo sconosciuto.

Mio figlio era quanto di più prezioso avessi al mondo.
È stato grazie a lui se sono riuscito a superare il fallimento del mio matrimonio senza precipitare nel baratro della disperazione più totale e sono riuscito finalmente a dare un senso alla mia esistenza.
Ogni giorno ringraziavo il Signore -o chi per lui- per averlo mandato nella mia vita ad illuminare e alleggerire il mio cammino, quasi come se fosse un angelo caduto dal cielo.
In quei due giorni in cui non ero riuscito a vederlo poiché era via con la madre, mi era mancato parecchio.
Avevamo un rapporto unico, speciale, e la sua assenza nella nostra grande casa si sentiva in modo gravoso, facendola sembrare ancora più vuota e spoglia di quanto già non fosse realmente.
Arrivato fuori scuola, lo scorsi in lontananza mentre giocava con una bambina di cui riuscivo ad intravedere soltanto una lunga chioma bionda.
Mi avvicinai di soppiatto, per fargli una sorpresa, e rimasi poco distante da lui.
-Allora, chi è questa bella fanciulla? Non me la presenti?- esclamai ridacchiando, per poi prenderlo in braccio facendolo ruotare velocemente su se stesso. Ci salutavamo sempre così, era quasi una formula magica, per noi due.
-Papà!- urlò gettandomi le braccia al collo e stringendomi, se possibile, ancora di più a sè.
Gli scompigliai giocosamente i capelli e gli lasciai bacio sulla tempia per poi farlo riatterrare con i piedi per terra.
-Papà, lei è Lidia, la mia fidanzata- rispose Niccolò afferrando teneramente la mano della bambina -Lidia, lui è Giuseppe, il papà migliore del mondo!-
-Ah però! La fidanzata dopo nemmeno una settimana di scuola...- ridacchiai. Effettivamente, aveva preso proprio tutto da me.
La bambina si avvicinò lentamente, sembrava che mi stesse analizzando nei minimi dettagli con il suo sguardo vispo.
I suoi occhioni azzurri -che in quel momento non mi sembravano del tutto sconosciuti, ma non ricordavo minimamente dove avessi potuto già incontrarli- slittavano per tutta la mia figura, fermandosi in particolare sul mio viso.
Improvvisamente, mi gettò le braccia al collo stringendomi forte e iniziò a giocare con le mie profonde fossette, mettendoci le dita dentro e accarezzandole.
Rimasi inizialmente colpito dalla facilità con cui la bambina riusciva a legarsi ad un perfetto sconosciuto, in maniera così rapida, ma poi ricambiai l'abbraccio e le diedi un bacio sulla guancia.
Perché questa meravigliosa bimba è qui tutta sola?
-Lidia, dov'è la tua mamma? O il tuo papà?- chiesi staccandomi e accovacciandomi di fronte a lei.
Il suo sguardo rabbuiò.
-È...-
Non ebbi modo di finire di ascoltare la sua risposta, che mi ritrovai investito dal peso di una donna sul mio corpo e dalle sue urla.
Un leggero profumo di vaniglia inebriò le mie narici, e data la vicinanza riuscivo perfino a sentire la sodezza di due piccoli seni che premevano contro il mio petto.
Due cosce snelle si erano incastrate in mezzo alle mie, e un bacino premeva contro il mio ginocchio.
"Giuseppe, vedi di controllare tuoi istinti animali che potresti essere accusato di atti osceni in luogo pubblico." mi ripetevo fra me e me, cercando in tutti i modi di staccarmi.
-Brutto bastardo, giù le mani da...- stava per arrivarmi un ceffone, quando alzai lo sguardo ed incontrai due occhioni azzurri come il ghiaccio.
Carla Pontillo.
Ancora lei.
"Questa donna è una spina nel fianco."
Spalancai la bocca e impiegai pochi secondi a fare due più due, e finalmente riuscii a capire perché gli occhi della bambina mi sembravano tanto familiari.
-Oh, mi scusi io...- le parole le morirono velocemente in bocca.
Osservai le sue gote tingersi di un rosso acceso, e il mio sguardo cadde inevitabilmente sulle sue labbra che aveva iniziato a mordicchiare.
"Diamine, devo sbrigarmi ad alzarmi."
-E così, non solo decide di distruggermi l'auto, ma tenta anche di attentare alla mia incolumità...- dissi, mentre tornavo all'impiedi e le allungavo una mano per aiutarla a fare lo stesso.
-No, no! Io l'avevo vista accovacciato davanti a mia figlia, non l'avevo riconosciuta e... e con tutto quello che si sente in giro, mi sono preoccupata, sa...- sbuffò sonoramente spostando una ciocca di capelli che le era caduta sul viso e afferrò saldamente la mia mano, rinunciando alle spiegazioni che in quella situazione surreale suonavano quasi ridicole.
I nostri occhi si incontrarono ancora una volta, intensamente.
Probabilmente, se non fosse stato per Niccolò che aveva iniziato a tirarmi per la manica della giacca, non mi sarei neanche accorto che le nostre mani erano ancora intrecciate.
"Giuseppe, svegliati."
-Papà, noi abbiamo fame.- si lamentò il bambino indicando anche la piccola Lidia.
Tossii e mi sistemai la giacca spiegazzata.
"Cosa dovrei fare? Invitarle a pranzo? No, troppo invadente, e poi magari hanno già degli impegni."
-Mami, possiamo mangiare la pizza con Niccolò e Giuseppe?- mi precedette la bambina, chiedendo il permesso alla donna facendole gli occhi dolci.
Carla sospirando si girò verso di me, chiedendomi tacitamente con lo sguardo di accettare l'invito di Lidia e di non farla rattristire reclinandolo.
"Diamine."
-Ok, d'accordo, ma offriamo noi.- disse Niccolò approfittando del silenzio del papà, per poi ricominciare a correre con la bambina.
Si, quel bambino aveva preso tutto da me.

-Qualche anno fa io e Tommaso, il papà di Lidia, abbiamo divorziato e per lei è stato un duro colpo.
È stato difficile spiegarle cosa stesse accadendo e le conseguenze della nostra separazione, ma inizialmente sembrava aver perso perfino la voglia di giocare.- dissi sorseggiando il caffè che avevamo ordinato per concludere il nostro pranzo, che, ammetto, era stato davvero piacevole.
I bambini stavano giocando nel parchetto fuori la pizzeria e riuscivo ad intravedere Niccolò che spingeva Dindi sull'altalena.
Erano carinissimi, quasi mi si scioglieva il cuore a vederli così felici e spensierati.
-La capisco, anch'io mi sono separato qualche anno fa, e non è stato per niente facile gestire Niccolò. Crescendo, però, sembra aver capito e accettato la situazione.- sospirò, passandosi le dita fra i capelli scuri.
A vederlo con quell'aria triste nel parlarle di quell'argomento tanto delicato, senza giacca, con le maniche della camicia tirate su e la cravatta allentata, quasi mi faceva tenerezza e mi veniva voglia di abbracciarlo. Abbracciarlo stretto.
Cristo Carla, contieniti! Sembri una ragazzina.
Destandosi dai propri pensieri, Giuseppe si alzò silenziosamente e andò a chiedere il conto, inutile dire che fu completamente inutile proporgli di fare a metà.
-Lo ha detto Niccolò: offriamo noi. Se scopre che la mamma della sua fidanzata ha pagato, saranno guai per me. Meglio evitare.- ridacchiò.

Uscimmo dal locale e richiamammo i due che ci raggiunsero contenti.
-Lidia, saluta Niccolò e ringrazia suo padre, dobbiamo andare. Si è fatto tardi.-
La bambina si avvicinò con un sorriso a trentadue denti e saltò in braccio a Giuseppe.
Quella scena fu un duro colpo al cuore.
A Dindi mancava una figura paterna, lo sapevo, ma me ne rendevo realmente conto mentre osservavo come si comportava con Giuseppe, affezionandosi velocemente a lui, che sembrava altrettanto felice con lei.
-Lo vuoi fare un giro nella mia macchina? Ti accompagno a casa. Su, chiedi il permesso alla mamma.- le propose accarezzandole i capelli e poggiandola delicatamente con i piedi per terra.
Si era ripresentata la scena di quella mattina, ma in quel momento era l'uomo a chiederle tacitamente il consenso.
Sorrisi.
-Mmh però una passeggiata per smaltire tutto quello che abbiamo mangiato...- finsi di pensarci su, accarezzandomi il mento mentre Lidia mi faceva i soliti occhioni a cui non sapevo resistere -d'accordo, va bene! Ma solo perché non mi va di camminare così tanto.-
D'altronde non dispiaceva nemmeno a me.

Fra chiacchiere e risate arrivarono a casa, forse troppo velocemente. Magari avrebbero potuto fare la strada più lunga.
La Jeep nera che le aveva riaccompagnate era rigorosamente intatta, non come pochi giorni prima.
Quella sera, senza nemmeno rendersene conto, Carla si addormentò col sorriso stampato in faccia.

NDA: Ehilà! Finalmente qualcosa, piano piano, si sta smuovendo per questi due. Che ne pensate? Vi sta piacendo?
Fatemi sapere con un commento, se vi va, e magari una stellina. Il vostro parere è importante.
PS: Ho una domanda da farvi: leggete con la modalità "scorrimento" o "paginazione"?
Io con la prima, non riuscirei a leggere altrimenti.
Fatemi sapere, sono curiosa

L'avvocato ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora