Capitolo 14

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-Meglio tirare a campare che tirare le cuoia.- fece con tono solenne Casalino, mentre impettito e fiero osservava dall'ampia finestra che affacciava su Piazza Colonna le numerose Guardie d'onore che circondavano costantemente il perimetro di palazzo Chigi illuminato dal Tricolore.
-Io non sono Giulio Andreotti.- ribadii prontamente, scoccandogli un'occhiata infastidita che tuttavia l'uomo non riuscì a captare poiché i suoi occhi vispi erano rivolti verso l'esterno.
-Andreotti, Moro o Berlinguer questo governo non cadrà nuovamente per colpa di uno stolto che non ha nemmeno la laurea.- sputò acido, scuotendo energicamente la testa con forte disappunto mentre borbottava qualche appellativo colorito fra sè e sè.
Potei giurare di aver addirittura sentito 'quel coglione sciacallo di Salvini...'
Per quanto potesse essere eccellente e impeccabile Rocco nel suo lavoro -non a caso rientrava nella cerchia ristretta dei miei collaboratori più fidati- in certi momenti la sua caparbietà mi faceva letteralmente salire degli istinti omicidi.
Sbuffai, lasciando cadere sulla scrivania in stile barocco di quel lussuosissimo ufficio i documenti dell'ennesimo, irrealistico e inconcludente DDL che mi era stato presentato poche ore prima dalle forze d'opposizione, mentre mi pizzicavo la punta del naso fra il pollice e l'indice della mano sinistra.
Guardai il pendolo dell'antico orologio che oscillava lentamente sotto ai miei occhi, realizzando solo in quel momento di quante ore di prezioso lavoro mi erano state brutalmente sottratte da quel futile confronto serale con i partiti di centro-destra.
Mi alzai, lisciandomi la cravatta blu sulla quale avevo fieramente fatto cucire una minuscola bandiera italiana, per poi afferrare ed indossare il pesante cappotto nero che in quelle gelide giornate invernali era stato il mio più fedele compagno contro il freddo pungente che spesso mi irritava e faceva lacrimare gli occhi.
-Non devi preoccuparti, li abbiano sotto controllo come sempre. Adesso è tempo di farli scannare fra di loro, Rocco, al resto ci penserà l'opinione pubblica. Per quanto possa valere, d'altronde sei stato proprio tu a dirmi che su quel social con l'uccellino blu...-
-Twitter, Giuse', Twitter! Non è così difficile.- mi interruppe.
-Sì, beh, su Twitter- imitai il suo tono di voce facendo delle virgolette immaginarie con le dita -i nostri sondaggi crescono a dismisura.-
Seguì qualche secondo di silenzio.
-Beh, più che altro crescono a dismisura le fantasie erotiche che le donne di ogni età si fanno quotidianamente su di te.- scoppiò a ridere -Hanno un fetish per le tue mani.-
-Beh, non ci si lamenta mica!-
Gli feci l'occhiolino e uscii rapidamente dalla stanza.

-Presidente, presidente!- si udivano tante voci sovrapposte, la folla scalpitava.
-Solo una foto!-
-Ci conceda qualche domanda.-
Mi avvicinai ai fastidiosissimi giornalisti che consideravo i miei nemici più feroci e temibili.
La mia vita privata era stata completamente cancellata.
-Prego.- mi dimostrai cordiale e disponibile, non lasciando intravedere la noia e il nervosismo.
-Si avvicini, non la mangiamo mica.-
-Vi temo.- rivolsi un sorriso falso alla giornalista che aveva  lanciato quella provocazione.
-È preoccupato dalle recenti affermazioni di Salvini?-
-Quali affermazioni?- sorrisi furbamente -Sa, l'attività di governo mi tiene particolarmente impegnato. Non ho tempo per i pettegolezzi e le dicerie.- l'intervistatrice si zittì.
Concessi poche ulteriori domande e rivelai qualche dettaglio della futura manovra economica.
Prima che potessi andare via, sentii qualcuno urlare.
-Renzi ha detto che lei è un collega, non è stato votato nemmeno lei alle elezioni.-
-È professore lui?- risposi con tono di sfida, per poi sparire velocemente nell'auto blu che mi attendeva.

Roma caput mundi.
Era proprio in quell'assordante silenzio notturno, che accompagnava le mie solite passeggiate solitarie per il centro storico della città, che capivo appieno quanto quelle parole potessero essere veritiere.
Erano ormai anni e anni che risiedevo nella Capitale, ne avevo scoperto -grazie soprattutto alla mia posizione di prestigio- segreti e misteri più profondi, avevo avuto accesso ai luoghi più remoti e irraggiungibili per il pubblico, ne avevo ammirato bellezza e virtù, ma nonostante ciò puntualmente mi sembrava di riscoprirla per la prima volta.
I monumenti, le sculture, le opere d'arte e perfino le epigrafi e le targhette commemorative mi suscitavano un profondo senso di fierezza e commozione.
Mi fermai di fronte Fontana di Trevi, chiudendo gli occhi e lasciandomi cullare dal rilassante gorgoglio dell'acqua che scorreva lentamente.
Il vento leggero mi scompigliava i capelli, l'ormai familiare bruciore agli occhi iniziava rapidamente a farsi sentire, ma in quel momento non me ne importava.
Da quando ero entrato nel mondo della politica, mio figlio mi continuava a ripetere che ero cambiato radicalmente.
-Non hai più sentimenti, pa'- sentivo la sua voce rimbombarmi nelle orecchie.
Quanto era vero.
Tuttavia, quella era la mia piccola dose di normalità, di spensieratezza, e niente e nessuno me l'avrebbe rovinata o portata via. L'avrei difesa a spada tratta.
Automaticamente, allungai la mano nella tasca destra del pantalone di velluto blu e ne estrassi qualche monetina che lanciai verso il centro della vasca.
Contrariamente alla maggior parte dei turisti e dei visitatori, contrariamente alla leggenda, io non esprimevo alcun desiderio.
Ormai non ne avevo più.
O meglio, l'unico che custodivo da quasi quindici anni era irrealizzabile, e restava freddamente sepolto nei meandri più oscuri del mio ormai vecchio cuore trasandato.
Riaprii gli occhi e li portai verso il limpido cielo sfavillante di stelle, mi impegnai a cercare la più luminosa.
Mi piaceva pensare che proprio quella stella in realtà fosse il mio piccolo angelo custode, strappato barbaramente alla vita e al seno della madre nel fiore dell'età.
Continuai rapidamente la mia passeggiata, fermandomi in un piccolo chiosco ventiquattr'ore che vendeva fiori, al bancone non c'era nessuno.
Premetti il campanello color argento sperando di attirare l'attenzione di qualcuno.
Passò qualche secondo, stavo per ritornare sui miei passi con lo sguardo basso.
-Siamo chius...- sentii una voce profonda e intravidi una figura spuntare da una porticina verde.
-Oh...-  l'uomo spalancò la bocca e mi osservò per qualche istante. Mi aveva sicuramente riconosciuto.
-Presidente! A sua completa disposizione, per lei posso sicuramente fare qualche straordinario in più.- mi rivolse un caloroso sorriso, che ricambiai flebilmente.
-Grazie, signor...?-
-Mimmo!- mi allungò la mano.
-Cercava qualcosa in particolare?-
-Hmm...- mugugnai.
Lasciai scorrere per qualche minuto lo sguardo sui fiori, con fare vago, mentre il commerciante mi spiegava le caratteristiche di ognuno di essi.
In realtà avevo le idee ben chiare, sapevo perfettamente ciò che volevo.
-Mi dia quei giacinti blu, per favore.-
Gli lasciai la mancia.

Arrivai a Parco degli Acquedotti, ad ogni passo il cuore diventava sempre più pesante, gli occhi sempre più lucidi.
Mi inoltrai nel cuore del parco, fitto di alberi e cespugli.
Mi inginocchiai di fronte all'epitaffio in marmo ben nascosto in un angolino e allungai una mano per levare la patina di polvere che ricopriva la fotografia della bambina, accarezzandone la superficie.
Poggiai il mazzo di fiori per terra e mi lasciai cadere di fianco ad esso, sospirando.
24 aprile 2014.
Era il quattordicesimo anniversario della sua morte, e come ogni anno ero accorso in onore alla sua memoria.
Lasciai che una fredda lacrima solitaria bagnasse la mia guancia, per poi finire lungo il mio collo. Quello era l'unico momento dell'anno in cui mi concedevo un attimo di debolezza debolezza, in cui mi concedevo il lusso di essere umano, un uomo come tanti altri.
-Dindi...- singhiozzai.
Passò mezz'ora, le mie lacrime ancora non si erano arrestate e il mio petto si alzava e abbassava velocemente.
La vibrazione del cellulare nel taschino interno della giacca mi costrinse ad aprire gli occhi, estrarre un piccolo fazzoletto di stoffa e cercare di darmi un contegno. Mi soffiai il naso.
Era Niccolò.
Sospirai e premetti il tastino verde.
-Arrivo.-

Stappai l'Ichnusa e gliela passai, prima di sedermi sulla seggiola in plastica posizionata fuori al terrazzo che affacciava sul Colosseo.
Era notte fonda, gli unici suoni udibili erano quelli qualche macchina o scooter che sfrecciavano veloci, inferociti.
Di tanto in tanto qualche schiamazzo di giovani che facevano serata.
-Quante volte ti ho detto che devi smetterla con questa robaccia?- afferrai il pacchetto di Marlboro Gold e gli sfilai l'accendino dalle mani.
Ne accesi una anche io e iniziai a fumare con Niccolò.
-Avrei voluto sposarla...- esordì improvvisamente il ragazzo con voce estremamente bassa -era il mio più grande sogno da bambino.-
Buttai la cicca nel posacenere e mi alzai.
-Io avrei voluto sposare sua madre.- ammisi per la prima volta dopo tanti lunghi anni, prima di scomparire nella mia camera da letto.
Silenzio.

NDA: SE VI VA DI SCAMBIARE DUE CHIACCHIERE, IL MIO NICK SU TWITTER È: @ matteomapippi
Come al solito, se vi va un commento con la vostra opinione e una stellina sono sempre ben accetti.
Colgo l'occasione per ringraziarvi per tutti i complimenti, vi leggo tutti!
Un grazie anche ai lettori silenziosi.
Alla prossima!

L'avvocato ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora