Capitolo 6

1K 60 25
                                    

-Nic', vieni un po' qua.- urlai dalla cabina armadio mentre mi aggiustavo i capelli e osservavo le due piccole "G" e "C" ricamate finemente a mano sulla camicia che avevo deciso di indossare quel giorno.
-Guarda- dissi sollevando il braccio e mostrandogli le due cravatte che avevo in mano -rossa o blu?-
Lui mi guardò per qualche secondo fingendo di pensarci su, con uno sguardo molto concentrato.
-Papi...- disse incrociando le braccia al petto e avvicinandosi pericolosamente allo specchio dove ormai non vi si rifletteva più soltanto il mio riflesso -perché stamattina hai messo la tua camicia preferita e ti interessa così tanto sapere quale cravatta ci va meglio?- chiese alzando un sopracciglio con un sorrisetto sornione stampato in faccia, mentre esaminava la mia figura dall'alto verso il basso.
"Già. Perché sto facendo tutto questo?"
L'astuzia di quel bambino e la sua capacità di metterti alle strette in qualsiasi situazione -dote da avvocato ereditata interamente da suo padre- si stavano rivelando un'arma a doppio taglio.
Nei miei confronti però.
-Beh, perché devo incontrare un cliente importante stamattina e devo stilare una serie... ma scusa, a te che ti frega!?- esclamai, cercando di evitare in tutti i modi il suo sguardo inquisitore.
"Pessima mossa, Giuseppe, pessima mossa."
Il primo trucchetto del mestiere che gli avevo insegnato fin da bambino era: per capire se una persona ti sta dicendo la verità oppure mente,
osserva il suo atteggiamento ma soprattutto nota se ti guarda negli occhi o tende ad evitare il tuo sguardo.
-E per caso- mi guardò dritto negli occhi, avvicinandosi ancora di più e impedendomi di sfuggirgli -questo cliente si chiama Carla?-
Boccheggiai.
Colpito e affondato. Letteralmente affondato.
Rimasi in silenzio per qualche minuto osservando la punta delle mie scarpe lucide che in quel momento appariva molto più interessante della domanda che mi aveva fatto e giocherellai con l'orlo della cravatta.
"Al diavolo. Cosa diamine sto facendo? Sembro un liceale disgraziato alle prese con i primi ormoni."
"Ma poi, figurati se una donna così guarda un vecchio come me. Che stupido che sono."
Lanciai nervoso le due cravatte sul letto, decidendo che per quel giorno avrei potuto anche farne a meno.
D'altronde quello era un giorno come tanti altri, no?
-E comunque io preferivo la rossa...- sussurrò il bambino, ma questo Giuseppe non potè sentirlo perché, come una furia, era uscito dall'appartamento ed era corso in garage a prendere l'auto.

7:30
7:31
7:32
Sbuffai, sbattendo la mano sul clacson e distogliendo lo sguardo dall'orologio che scandiva, oltre che il tempo, la calma e la pazienza che stavano velocemente defluendo dal mio corpo.
-Papà calmati, siamo qui soltanto da due minuti!- mi rimproverò il bambino, dimostrandosi in quel momento molto più maturo di me.
-Senti, oggi stai parlando tro...- avevo l'indice puntato contro di lui, quando vidi in lontananza due splendide figure avvicinarsi velocemente all'auto -oh, eccole-.
Inevitabilmente mi illuminai e sia sul mio volto, sia su quello di Niccolò spuntò un largo e caloroso sorriso, nonostante stessimo guardando due soggetti diversi.
-Buongiorno...- disse la donna rivolgendomi un timido sorriso mentre potevo sentire la sua essenza alla vaniglia inondare le mie narici e diffondersi velocemente in tutto il veicolo.
-Buongiorno, signorina Carla.- ricambiai il saluto guardandola dritto negli occhi per poi lasciar scorrere implicitamente lo sguardo lungo tutta la sua figura.
Sentii le braccia di Dindi cingermi le spalle.
-Ciao zio!- esclamò felice, mi girai e le lasciai un delicato bacio sulle guance.
-Ciao piccola.-
Misi in moto e mi diressi verso il bar che si trovava di fronte alla scuola, scelto esclusivamente per questioni di tempistiche: fosse stato per me, infatti, le avrei portate allo Sciascia Cafè, il mio preferito e a mio parere migliore di tutta Roma, ma non avevamo tutta la mattinata a disposizione.
Concentrarmi alla guida fu molto difficile e più volte dovetti rimproverarmi mentalmente.
Le gambe snelle e affusolate della donna quel giorno erano lasciate scoperte dalla gonna nera che le arrivava fin sopra il ginocchio ed erano un continuo richiamo e una grossa fonte distrazione.
Le sue curve sinuose risaltavano maggiormente sotto quegli abiti che non le avevo mai visto indossare e le sue sottili labbra ricoperte da uno strato di lucido apparivano ancora più succulenti; tanto da farmi fantasticare di poterle accarezzare e assaporare con le mie.
Sbuffai sonoramente catturando la sua attenzione e mi passai le dita fra i capelli, frustrato.
-Siamo arrivati.- spensi l'auto e feci cenno ai bambini di scendere.
Non se lo fecero ripetere due volte.
Prima che potessi imitarli, sentii una piccola mano poggiarsi sulla mia spalla.
-Mi rendo conto di quanto surreale possa essere questa situazione e mi dispiace doverle arrecare così tanto disturbo. Glielo prometto, non succederà più.- disse con un tono grave mentre abbassava lo sguardo.
Iniziò a mordicchiarsi le labbra, gesto che le avevo notato fare spesso quando si trovava in imbarazzo.
Istintivamente, portai due dita sotto al suo mento e le alzai il viso. I suoi meravigliosi occhi azzurri si incontrarono e scontrarono violentemente contro i miei. Erano indecifrabili, sembravano esprimere tante emozioni diverse contemporaneamente.
Felicità, paura, imbarazzo, nervosismo...
Rendendomi conto del gesto azzardato che avevo appena compiuto, ritirai velocemente la mano.
-Per me è un piacere, Dindi è una bambina meravigliosa... e poi, così è felice anche Niccolò.-sorrisi, per poi slacciare la cintura e scendere dalla macchina.
Avevo omesso, sia a lei che a me stesso, il particolare più importante: ero felice anch'io, come non lo ero ormai da parecchio.

L'avvocato ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora