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Passate a leggere le note finali.Era sabato, ed era il terzo giorno consecutivo che mi assentavo a lavoro a causa di quei lancinanti dolori alle tempie che segnalavano l'imminente arrivo di febbre e influenza decisamente fuori stagione.
Alle 12:15, orario della pausa pranzo, Matteo e Rachele, precisi come degli orologi svizzeri, mi chiamavano per cercare di tenermi aggiornata su tutte le novità dello studio, o almeno quelle più importanti.
Si preoccupavano per me e avevano deciso di farlo di loro spontanea volontà, gesto che apprezzavo davvero molto.
Quei due sembravano come una manna scesa dal cielo, mandati da un entità superiore per aiutarmi a sopportare, senza avere crisi isteriche, tutti i drammi che dovevo affrontare quotidianamente in quello studio, a partire dai due Conte, a finire con quel bastardo di Torres, mio superiore.-Ehi! Come state? Come ve la passate senza...-
-Tu. non. hai. la. minima. idea. Tieniti pronta, darling, siediti o aggrappati a qualcosa perché non so se riuscirai a reggere quello che sto per dirti.- mi interruppe la voce eccitata e squillante di Matteo, che sembrava quasi stesse per avere una fibrillazione atriale.
Sentii Rachele ridacchiare.
-Matte' però calmati, va a finire ci resti secco e io non voglio averti sulla coscienza.- Scherzai.
-Ok, ok, allora... Conte-
-Quale dei due?- lo interruppi bruscamente con un cipiglio irritato ma che lasciava intravedere al contempo una nota di tristezza e nostalgia.
Erano esattamente tre giorni e mezzo che non lo vedevo, e anche se mi costava terribilmente ammetterlo, un minimo sentivo la sua mancanza.
Forse più di un minimo, ma l'orgoglio e la realtà erano più forti di quegli sciocchi sentimenti da ragazzina: era stato chiaro, non c'era nient'altro oltre al rapporto professionale, e mai ci sarebbe stato.
-Il tuo fidanzatino- rispose ironicamente Matteo
-Non è il mio fidanzatino- sbuffai -e me l'ha sbattuto in faccia fin troppo.-
-Sì, come vuoi, ma intanto oggi- fece una pausa, forse per mettermi ancora più ansia di quanta non ne avessi già, gustandosi il suono del mio respiro accelerato -oggi ci ha chiesto di te. Voleva sapere che fine avessi fatto, come se non fosse lui il capo e non li avesse firmati di suo pugno questi giorni che hai richiesto.-
Mugugnai.
-E questa sarebbe l'eclatante notizia che non avrei retto? Matteo, svegliati!- alzai la voce irritata -si tratta semplicemente del classico caso del datore di lavoro a cui, giustamente, secca pagare una dipendente che non fa altro che restare a casa!- mi fermai per riprendere fiato.
-Quella che dovrebbe svegliarsi qui sei tu, Carla- ribattè prontamente Rachele con tono serio -in tanti anni che lavoro qui non glien'è mai fregato nulla dei giorni di malattia di nessuno di noi, mai. Per me questo è un chiaro segnale di interesse.-
-Invece per me questo è un chiaro segnale, ma tutt'altro che di interesse: in poche parole vuole farmi capire "Alza il culo e torna a lavoro, perché di certo non ti pago per restare a casa a non fare nulla!"- esclamai esasperata.
-Vabbè Ca', noi ci abbiamo provato...- il suono del campanello sovrastò la voce di Matteo.
-Scusate, hanno bussato. Devo andare, ci sentiamo più tardi.- attaccai frettolosamente la chiamata, curiosa di sapere chi vi fosse al di fuori la porta.
Non aspettavo nessuno.
Aprii, e la prima cosa che vidi furono due piccole figure sgattaiolare velocemente dentro casa mentre si rincorrevano. Dindi e Niccolò.
Appoggiato allo stipite della porta vi era Giuseppe, che mi stava guardando con un sorriso imbarazzato.
"Com'è tenero e carino." Pensai, passando qualche secondo ad osservarlo con la bocca leggermente socchiusa.
"No, no. Sciocca."
Mi destai immediatamente da quei pensieri, scostandomi dalla porta per invitarlo ad entrare.
-Mi scusi il disordine, non aspettavo visite.- sussurrai.
Entrò lentamente guardandosi intorno.
"Che imbarazzo, dannata me e il mio disordine!"
Vi erano dei libri e documenti sparsi ovunque, il mio ridicolo pigiama rosa poggiato sul bracciolo del divano e dei piatti sporchi della sera precedente ancora nel lavello.
Cercai di mettere in ordine alla bell'e meglio.
-Non si preoccupi, è molto più accogliente qui che nella mia casa vuota e spoglia.- disse con un sorriso malinconico mentre scuoteva il capo.
Si girò verso di me, facendo scorrere gli occhi su tutta la mia figura.
Mi sentii avvampare.
Indossavo una vecchia tuta Adidas di almeno tre taglie più grandi della mia e i capelli erano più scombinati del solito: i miei abiti non erano di certo formali, ma a mia discolpa potevo affermare che quella visita era del tutto inaspettata.
Girò lo sguardo sospirando. Sembrava stanco e malnutrito, chissà quanti giorni erano che non consumava un pasto completo.
-Non volevo disturbarla, ma dato che mi hanno informato dalla sua malattia ho pensato di farle un favore accompagnando anche Dindi... Lidia- si corresse immediatamente -tanto ero di passaggio- concluse con una scrollata di spalle e un tono disinteressato.
-Non disturba affatto, si figuri... anzi, devo ringraziarla ancora una volta.- dissi, cercando di incrociare i suoi occhi che fuggivano velocemente dai miei.
Non rispose, indicando con la mano la finestra che dava sul balcone chiedendomi silenziosamente il consenso per uscire.
Si avviò in quella direzione, e persi qualche secondo ad osservare la sua figura da dietro.
Per quanto le sue spalle non apparissero possenti, trasmettevano comunque la sensazione di forza e protezione. Le gambe snelle fasciate perfettamente dai pantaloni dei suoi tipici completi eleganti si muovevano con una grazia innata, tanto da sembrare che levitasse, al posto di camminare.
Vidi il suo sguardo interrogativo posarsi su di me, e mi avvicinai immediatamente a lui.
Notai che aveva una sigaretta stretta fra le labbra-quelle meravigliose labbra sottili- e un piccolo bic giallo fra le mani.
-Non sapevo fumasse...- mi lasciai sfuggire pentendomene subito dopo.
-Non che è tenuto a dirmelo, ovviam...- cercai di rimediare, mentre nella mia mente rimbombava la sua voce che ripeteva 'rapporto professionale'.
-Lo faccio solo quando sono nervoso o sotto stress, di norma un pacchetto mi dura un mese.- mi interruppe osservando il panorama davanti a sè.
-Quello però mi sembra vuoto.- dissi indicando il pacchetto di Marlboro poggiato sul tavolino di plastica.
Sospirò affranto per l'ennesima volta.
Le risate dei bambini dall'altro lato della stanza riempivano quel silenzio assordante che non faceva altro che far sorgere ulteriori domande e confusione.
Allungai la mano verso la sigaretta e vidi i suoi occhi saettare finalmente contro i miei.
Quanto mi era mancato quel contatto.
-Non sapevo fumasse...- disse, mentre imitava la mia vocina e scoppiava a ridere.
Mugolai per il disappunto avvicinando la sigaretta alle labbra e facendo un tiro.
Tossii, era dai tempi del liceo che non fumavo.
Sentii la sua risata accentuarsi e finalmente vidi quelle meravigliose fossette spuntargli ai lati del volto.
-Non si ride dei mali altrui.- mi lamentai.
-A tal proposito- ritornò immediatamente serio.
"Eccolo che adesso mi ordina di rientrare assolutamente a lavoro: lo rinfaccerò a vita a Matteo e Rachele. Bei segnali."
-Come sta?- chiese semplicemente, con tono preoccupato -La vedo particolarmente pallida e scavata.-
Boccheggiai, presa completamente alla sprovvista: mi aspettavo un richiamo formale, un tono freddo e solenne.
Quelle erano forse le semplici preoccupazioni di un datore di lavoro?
-La febbre sta passando, mi sto riprendendo, ma non potrei affermare lo stesso per lei.- dissi, abbassando leggermente il tono alle ultime parole.
-È un periodo difficile, Carla...- sussurrò avvicinandosi al mio corpo.
Sentii il cuore scalpitarmi nel petto per quella vicinanza improvvisa e per il suono paradisiaco della sua voce che accarezzava elegantemente il mio nome.
-C'entra per caso l'improvviso arrivo di suo fratello?- chiesi preoccupata, decisa a voler indagare più a fondo sulla questione: c'erano ancora troppe cose che non riuscivo a spiegarmi.
Il suo sguardo si rabbuiò e si scostò bruscamente.
"Perché è così maledettamente lunatico?!"
-Vedo che mio fratello occupa buona parte dei suoi pensieri- sputò acido -magari le combino un appuntamento a lume di candela, se tanto lo desidera!- urlò irritato, mentre il suo petto si alzava e si abbassava velocemente.
Quelle parole accesero un fuoco che iniziò velocemente a divampare dentro di me, partendo dall'altezza dello stomaco.
-Oppure non so, forse è lei che è paranoico e geloso?!- urlai di rimando, non rendendomi conto del fiume di parole che mi stavano uscendo dalla bocca senza controllo. Sgranò gli occhi.
"No, Carla, dimmi che non lo hai detto davvero."
Si avvicinò minaccioso alla mia figura.
-Geloso di cosa?- sussurrò a denti stretti ad un soffio dalle mie labbra -Di un essere ignobile che non si avvicina neanche lontanamente alla definizione di 'uomo''?- concluse rabbioso.
Deglutii, facendo scivolare il mio sguardo fra le sue labbra e le sue pupille scure dilatate.
Mi aggrappai istintivamente al suo braccio e a quel movimento il suo volto scattò immediatamente contro il mio.
Le nostre labbra si toccarono, timidamente, fino a quando non sentii la sua lingua picchettare delicatamente contro il mio labbro superiore.
Le nostre bocche e le nostre lingue diedero il via a delle danze meravigliose, giocando a nascondersi e a rincorrersi. Affondai le mani in quei capelli che tante volte avevo sognato di accarezzare e sentii le sue mani scendere sui miei fianchi per attirarmi maggiormente a sè, desideroso di un contatto più ravvicinato.
Mi sentivo letteralmente in paradiso.
Ci staccammo lentamente per riprendere fiato, continuando a guardarci intensamente negli occhi.
Avvicinò una mano al mio volto, scostandomi una ciocca ribelle dietro l'orecchio.
Chiusi gli occhi alla dolce sensazione del calore emanato dalla sua grande mano contro la mia pelle, e spinsi maggiormente la mia guancia contro il suo palmo.
Percepii un sorriso nascere sul suo volto.
-Papà!- sentii la voce di Niccolò avvicinarsi al balcone, mentre Giuseppe si staccava velocemente da me ricomponendosi.
La magia si spezzò.
-Io devo andare al doposcuola, lo hai forse dimenticato?- chiese facendo scorrere velocemente lo sguardo confuso fra me e suo padre.
-No, piccolo, non l'ho dimenticato.- affermò sicuro, mentendo chiaramente.
Tipica dote di un buon avvocato.
-Beh, allora noi andiamo...- affermò afferrando la mano del piccolo mentre mi guardava intensamente negli occhi.
-Nic saluta la zia Carla.- disse scherzosamente, marcando la parola 'zia' facendo un riferimento indiretto alla piccola bugia che avevo dovuto dire
per accontentare Lidia.
-Ciao zia.- mi stampò un bacio sulla guancia, proprio dove poco prima erano ferme le mani di suo padre.
-Ciao Nic...- sussurrai scivolando con la schiena contro la porta chiusa, mentre sentivo i loro passi allontanarsi velocemente."Che diamine è successo?"
NDA: Ehilà, come state?
In questi giorni sono stata assente perché sto lavorando ad un'altra fanfiction, sempre sul nostro Giuseppi, che troverete a breve sul mio profilo.
Come al solito, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate con un commento e magari una stellina.
Alla prossima!
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L'avvocato Conte
Fanfiction"Gentilissima sig.ra Carla Pontillo, in seguito al Suo brillante percorso di laurea cum laude presso la facoltà di giurisprudenza all'università "La sapienza" di Roma in data 14/05/1990, vista la Sua rilevante attività di tirocinio e presa in consid...