Capitolo 13

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Roma, 8/12/1999
Ridacchiai tra me e me scuotendo la testa divertita, mentre mi appoggiavo allo stipite della porta per godermi  il dolce siparietto che mi si presentava davanti agli occhi, gustandomi soprattutto lo sguardo esasperato e stanco di Giuseppe.
-Secondo me ci va quella dorata.- fece Niccolò, allungando il braccio verso uno di quei tanti rami finti del vecchio albero di Natale che avevano comprato i miei genitori almeno venticinque anni prima.
Come da tradizione tipica della famiglia Pontillo -e ormai, a quanto pare, anche di quella Conte- ogni anno bisognava tassativamente fare l'albero l'8 dicembre, non un giorno prima, non un giorno dopo.
"O l'8 o mai più." mi ripeteva sempre mio padre con tono solenne, mentre trascinava i grossi scatoloni da un pianerottolo all'altro.
-No, è meglio questa blu!- lo spinse via la piccola Lidia, rigirandosi la pallina tra le mani mentre si concentrava per capire in quale lato dell'albero fosse meglio posizionarla.
-Che ne dite se invece le mettiamo entrambe, proprio qui?- tentò speranzoso Giuseppe, cercando di placare i loro spiriti ribelli e di dissipare le loro continue sfide.
Quelle due piccole pesti erano una vera e propria bomba ad orologeria, e in quei due mesi di convivenza a casa mia (diventata ben presto anche dei Conte, le cravatte e i calzini sparsi in giro lo confermavano abbondantemente) ne avevano combinate di tutti i colori: dai muri sporcati con gli acquerelli, ai fortini costruiti nel bel mezzo della notte, per poi finire con le Girella rubacchiate dalla credenza mentre io e Giuseppe ci concedevamo un bel sonnellino pomeridiano post pranzo domenicale.
-No!- urlarono entrambi all'unisono, voltandosi a guardarlo torvi.
Erano più o meno due ore abbondanti che si ripeteva sempre la stessa scena come una moviola e l'uomo stava per perdere anche l'ultimo briciolo di quella famosa placidità che lo aveva reso rinomato fra i tribunali della Capitale e che gli aveva consentito di vincere numerose cause.
Balzò all'impiedi girandosi minaccioso verso la mia direzione, puntandomi un dito contro.
-Io mi ritiro, non ce la faccio più.- sbuffò allargando le braccia, passandosi poi una mano sulla fronte sudaticcia, cercando di riacquistare un tono e di riassestarsi.
-Oh andiamo, avvocato, direi che ha superato prove ben peggiori di questa!- mi avvicinai per lasciargli un casto bacio sulle labbra e tirarlo leggermente per il colletto della camicia.
Ci voltammo entrambi ad osservare i due bambini battibeccare fra loro, come facevano spesso, ma eravamo perfettamente consapevoli che da lì a poco uno dei due avrebbe ceduto gettandosi a capofitto fra le braccia dell'altro, non riuscendo a stare per troppo tempo distanti.
-Secondo me un giorno si sposeranno...- sussurrò Giuseppe mentre faceva scorrere delicatamente le dita lungo il mio braccio  -come faremo noi...- si girò lentamente per scrutare il mio volto, sul quale era nato un sorriso a trentadue denti, per cercare di captare qualche segnale positivo o negativo.
Lo abbracciai di slancio, appoggiando l'orecchio sul suo petto per farmi cullare dal soave ritmo del suo battito cardiaco. Era un gesto che mi tranquillizzava, mi infondeva un senso di protezione e sicurezza, e che facevo soprattutto dopo aver fatto l'amore.
-In teoria però sarebbe un incesto...- scoppiai a ridere.
-Papà!- urlò Niccolò sull'orlo di una crisi isterica, mentre Giuseppe alzava gli occhi al cielo.
-Ti prego, vai tu. Ti adorano e sicuramente riuscirai a metterli d'accordo.-
-Scordatelo.-
Mi afferrò saldamente per i fianchi facendo combaciare perfettamente i nostri corpi e strofinò il suo volto contro l'incavo del mio collo, mugugnando parole di dissenso sconnesse fra loro.
-Eddai Ca'...- iniziò a lasciarmi una lunga scia di baci umidi -sapeva che erano il mio punto debole- in un disperato tentativo di corruzione.
-Alt! Non ci provare nemmeno.- mi allontanai velocemente rimbeccandolo con la cucchiarella che mi sarebbe servita per girare il delizioso ragù che stava cuocendo ormai dall'alba, come indicava la preziosa ricetta di mia nonna.
-Vado ad apparecchiare, fra poco tutti a tavola.- sgattaiolai velocemente verso la cucina non lasciandogli nemmeno il tempo di replicare.


24/04/2000
Un fragile vaso, un bicchiere di cristallo, un piatto di porcellana antica...
Ecco, immaginate anche solo per un istante le irreversibili conseguenze dello schianto dall'ultimo piano di un mastodontico grattacielo, come ad esempio il Burj Khalifa, di uno di questi delicatissimi oggetti pregiati.
Esattamente.
È proprio questa la metafora più adatta per poter descrivere e comprendere appieno il pietoso stato in cui si trovava l'ormai gelida, vuota, morta anima di Carla in seguito a quella maledettissima domenica del 24 aprile del nuovo millennio, il famoso 2000, che per la donna non poteva essere rappresentato con nessun altro aggettivo se non disgraziato.
Erano esattamente le 16:17, non un minuto in più, non un minuto in meno, quando la vita dell'allora giovane donna venne completamente travolta, distrutta, scagliata crudelmente in un profondissimo baratro di disperazione, un cieco tunnel infinito, nel labirinto del Minotauro del leggendario Palazzo di Cnosso.
Nell'Inferno di Dante.
Stavano passeggiando per uno degli innumerevoli paradisiaci parchi di Roma come un'allegra famigliola, una di quelle che sembrava essere uscita da uno di quegli spot della Mulino Bianco a cui ormai nessuno credeva più, nemmeno i bambini.
Giuseppe e Carla camminavano mano nella mano, Niccolò e Lidia poco distanti da loro rincorrevano a perdi fiato un pallone, giocando come sempre a sfidarsi fra di loro fino all'ultimo sangue. In quell'infausto caso, letteralmente fino all'ultimo sangue.
Un bacio, una carezza, una fugace occhiata innamorata.
Un solo attimo di distrazione.
Il pallone rotolò velocemente lungo la strada asfaltata dove le macchine sfrecciavano pericolosamente veloci, incuranti, imperdonabili.
La piccola Lidia si gettò a capofitto, con l'innocente irresponsabilità non imputabile per via della tenera età, a recuperare l'oggetto e portarsi in vantaggio di un punto per poter chiudere e vincere definitivamente la partita contro il fratellino.
Carla se lo ricordava ancora, eccome se lo ricordava, il terrificante stridio delle ruote inchiodate sull'asfalto, che l'avrebbe assalita tutte le notti, per dieci lunghissimi anni, levandole anche l'ultimo tetro briciolo di sonno.
Sangue, tanto sangue.
Un urlo disperato.
L'urlo nero* di una madre che andava incontro alla figlioletta uccisa, ormai priva di quel tipico barlume di spensieratezza e speranza che caratterizzava gli occhi sfavillanti e giocosi dei bambini.
Carla inginocchiata, il viso grondante di lacrime e sudore.
Il caos più totale.
Decine di persone che si accalcavano in cerchio, chi preoccupato, chi soltanto disgustosamente curioso, che chiamavano soccorsi e cercavano in qualche modo di rendersi utili.
C'era anche un medico, fra quelli. Lo ricorda perfettamente.
Ce l'ha tatuata nella mente l'espressione incrinata e addolorata che aveva fatto l'uomo dopo aver tentato di prenderle il battito cardiaco, ormai fermo, arrestato.
Il corpo pietrificato della bambina.
Fu esattamente quello il momento in cui capì, in cui i sensi di colpa per la sua distrazione iniziarono a divorarla viva.
Un conato di vomito si fece strada e si impossessò violentemente del corpo di Carla.
Giuseppe le teneva i capelli.
Gli occhi di Niccolò straripavano di lacrime come un fiume in piena.

Fu quello l'inizio della fine.

NDA: Letteralmente la sinestesia più famosa della letteratura italiana, è presa della poesia "Alle fronde dei salici" di Quasimodo, che descrive proprio la disperazione di una madre per la morte del figlio soldato.
Mi sembrava perfetta per descrivere la situazione.

Perdonatemi, davvero.
Lo so, mi sto sentendo male anch'io, per me è stata veramente difficilissima la stesura di questo capitolo che è, ahimè, uno dei più importanti della storia, che segna la fine della prima parte della trama.
Da qui in poi ovviamente le cose si complicheranno di parecchio.
Come al solito fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti (siate buoni) e se vi va lasciate una stellina!
Alla prossima!

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