VII. Il Mattatoio

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Il passaggio andava via via facendosi sempre più largo e il gruppo formato dai tre ragazzi si ritrovó in una fitta rete di gallerie, il vento sibilava con impetuosità tra quei cunicoli bui, trasportando con sè grida e urla strazianti.

Imboccarono uno dei passaggi e proseguendo in avanti raggiunsero un basso corridoio.
Ai lati, a poca distanza una dall'altra, vi erano delle anguste celle chiuse con piccole porte di legno con delle grate all'estremità di ognuna di esse.

Volrath si mise in punta di piedi e si affacciò ad uno degli spioncini per guardare cosa c'era all'interno; nel piccolo ambiente accanto alla parete, accovacciato a terra e rivolto di schiena, un pallido essere ossuto respirava a fatica: era così magro che si potevano distinguere uno ad uno ogni singolo osso del suo esile corpo.

Ad un tratto la creatura deforme smise di respirare, si voltó di scatto e si lanció improvvisamente in direzione della fessura della porta per poi andarvi a sbattere contro con ferocia, dalla sua bocca spalancata fuoriuscì un viscido rivolo di saliva verdastro.

Volrath sobbalzó e cadde a terra, andando a sbattere la schiena sulle lastre di pietra irregolari che una accanto all'altra andavano a formare il camminamento sotto ai suoi piedi, poi si rialzó velocemente e corse via nella direzione opposta, mentre gli altri lo seguirono di scatto, senza avere il tempo di dire nulla.

In fondo al corridoio, in una grande stanzone, illuminato soltanto da qualche fiaccola, imprigionati alle pareti con delle vecchie catene arrugginite, c'erano dei ragazzi di diverse età.
Quando si fermarono per osservarli meglio si accorsero che non erano dei normali fanciulli, non più: ad uno di essi avevano amputato le braccia di netto e, legato per le caviglie strisciava inquieto a terra come una serpe aiutandosi con i moncherini. Accanto a lui, ad un altro bimbo erano state cucite grossolanamente sul torso due grosse chele che muoveva ritmicamente in direzione circolare e dalle cicatrici infettate e marcescenti, saliva un fetore nauseabondo di ossa e carne in decomposizione.

Improvvisamente, uno dei prigionieri appoggiato in un angolo della parete distese un braccio verso l'alto e quando si voltó verso di loro, notarono che al posto del naso aveva un pezzo di ferro arrugginito sapientemente incurvato e a tratti seghettato che lo faceva assomigliare ad un animale selvatico, poi un secondo essere completamente nudo, gli si gettó addosso mordendolo al collo con ferocia, ma quando spalancó nuovamente la bocca, con sollievo notarono che gli erano stati asportati tutti i denti.

Da lì a poco accorse velocemente, allarmato da quello strepitio di catene, un uomo muscoloso a torso nudo, ricoperto soltanto da due grandi cinture che portava con le fibie incrociate sul petto.
Quando lo videro arrivare, Volrath e l'altro ragazzo si nascosero rapidamente in una delle vasche usate come mangiatoia ricolma di avanzi , mentre il terzo ragazzo che si era unito a loro in quella folle impresa fu più lento e quando l'aguzzino lo vide, lo afferró velocemente per una gamba, facendolo cadere bruscamente a terra, poi gli salì con le ginocchia sul petto per immobilizzarlo.

«E tu brutto schifoso da dove sei scappato?!», disse mentre lo teneva disteso al suolo, stringendogli con una mano la gola per non farlo respirare, poi usando l'altro braccio sollevó con vigore il ragazzino terrorizzato e dopo avere estratto dalla cintura un grosso pugnale d'acciaio acuminato, lo trafisse e lo aprì con un taglio perpendicolare che andava dal torace fin sotto la pancia. Ci fu un rivolo di sangue e ricaddero a terra viscere e pezzi di interiora policromo, poi lanció il corpo privo di vita in uno dei trogoli, sferró un calcio ad uno dei prigionieri e lasció la stanza.

Quando i due ragazzi uscirono dalle greppie erano cosparsi dalla testa ai piedi da un liquido giallognolo, da avanzi di cibo ed ossa maleodoranti e rimasero per un istante a fissarsi atterriti.

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