La teoria degli alieni

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«Com'è che si faceva il do?» Jason si rigira la chitarra tra le mani, cercando di ricordare la posizione giusta delle dita. Prova di nuovo a far suonare l'accordo, ma niente.

«Ma che ti ha insegnato Adie in questi giorni?» John si alza dalla sua postazione dietro alla batteria e lo raggiunge; alzando gli occhiali da sole sulla testa, si sofferma a osservare i tentativi dell'amico, sempre più scoraggiato. Poi picchietta un dito sul pollice della sua mano sinistra: «Questa corda qui non deve suonare».

Jason finge di non aver sentito la prima frase del batterista. Dopo il concerto dei Twisted Mistress, quasi una settimana prima, Adrienne era passata un paio di volte da lui e aveva iniziato a dargli qualche lezione di chitarra. La situazione era parecchio imbarazzante tra loro, almeno dal punto di vista di Jason, e tutte le sue energie le aveva usate nel cercare di sembrare il più socievole e divertente possibile, anziché focalizzarsi sull'imparare gli accordi e sul coordinare le due mani.

Un vero disastro.

Jason prova di nuovo a far suonare la nota, le dita della mano sinistra quasi tremano per lo sforzo di restare in posizione, e tutto ciò che ne esce è il suono del plettro contro le corde mute.

«Fanculo,» borbotta a denti stretti, lanciando poi il plettro per terra.

«Se stai iniziando a impazzire ti conviene fare una pausa,» ride John, poi prende sigarette e accendino dalla tasca dei jeans, decretando così la pausa fumo. All'inizio delle prove, Jason aveva imposto una regola: davanti al garage si fumano solo sigarette. Questo perché sua madre, quella santa donna di Meredith Pratt, per poco non gli era svenuta addosso quando era stata messa al corrente della band e di John Chapman, e alla fine aveva acconsentito solo perché non aveva mai visto suo figlio prendere l'iniziativa per qualcosa, mostrare effettivo interesse e voglia di fare.

Evitarle un altro shock è il minimo.

John gironzola per il garage, inquieto, scalciando bulloni e sassolini ogni tanto.

«E questo?» borbotta con la sigaretta in bocca. Prende un quadernino abbandonato su uno scaffale metallico del garage, tra cassette degli attrezzi e chiavi inglesi, e inizia a sfogliarlo.

«Ci ho scritto qualcosa con Adrienne, l'altro giorno,» risponde imbarazzato Jason.

Fortuna che il quaderno con i testi è nella mia camera, pensa. Insieme all'amica ha provato ad abbozzare qualche poesia da trasformare in testo per canzone, ma il solo pensiero di farle leggere a John gli fa venire voglia di sotterrarsi.

John annuisce, si appoggia allo scaffale, continuando a sfogliare il quadernetto.

«Guarda qua, tre accordi che suonano bene insieme? Ma allora l'hai fatto, qualche progresso,» esclama, cogliendo Jason di sorpresa, che sussulta e per poco non si fa cadere la chitarra sui piedi.

«No, è solo una prova, per ora,» sbuffa Jason. «Mi sono allenato tutta la notte per impararli e creare qualcosa di accettabile.»

Poi, dopo qualche secondo di riflessione, aggiunge con aria frustrata: «Eppure non riesco ancora a fare il do».

«Lascia perdere il do e fammi sentire come suoni questo giro di accordi,» lo incoraggia John, prendendo le bacchette in mano. «Potrebbe essere la genesi della nostra prima canzone.»

Jason accenna un sorriso incerto, mentre l'altro, ancora con la sigaretta tra le labbra, torna di corsa a sedersi dietro la batteria.

«Non ci sperare troppo, Chapman,» esclama lui, imitando il tono di voce da gradasso che John usa sempre quando parla con lui. Inizia a suonare quella progressione di accordi prima sfiorando appena le corde, poi con più forza, troncando i suoni col palmo della mano destra subito dopo averli fatti risuonare. Cambia accordo – dal mi al la, e con qualche piccola incertezza arriva anche il re. Per quella progressione ha scelto tre degli accordi più facili di proposito, in modo da riuscire ad allenarsi anche sulla velocità.

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