Capitolo 2

646 158 145
                                    

Natalie







Dopo tre episodi di Riverdale, uno di Sex Education e uno sregolato cazzeggiamento su internet, mi ritrovo con la batteria del cellulare a terra e il cavetto per la carica all'interno della valigia riposta nel baule.

Dovevo aspettarmelo, ovviamente. Con la sfortuna a perseguitarmi, è già un bene che il telefono non mi sia esploso tra le mani dopo appena dieci minuti di viaggio.

Col desiderio impellente di buttarmi dall'auto in corsa, pur di non sostenere una conversazione col donatore di sperma denominato "padre" seduto al mio fianco, cerco di mantenere la calma e do uno sguardo al navigatore.

Ci troviamo quasi ad Amden. Mi volto verso il finestrino e rimango a bocca aperta, scorgo il Mount Carmel, una montagna di traprok non molto distante da qui. Essendo abituata al Vermont, rimango piacevolmente colpita dal paesaggio del Connecticut. È sorprendente come tutto possa cambiare in una manciata di miglia.

In prossimità di un'area di sosta sento Richard che mi dice: «Devo bere assolutamente un caffè, sarà meglio fermarsi per fare una piccola pausa.»

«Mm, va bene» rispondo indifferente. Anche se dentro di me sto esultando: mi stava venendo il culo quadrato.

A dirla tutta, mi è venuto il forte desiderio di fumare una sigaretta. Anche se non sono una fumatrice ogni tanto me ne concedo una, soprattutto in momenti stressanti come questo.

Richard parcheggia la sua Chevrolet Tahoe nera e si avvia verso l'entrata della tavola calda. Mentre io, con la scusa di sgranchirmi un po' le gambe, mi avvio verso un piccolo muretto che si trova al lato opposto del locale.

L'aria pungente mi sferza il viso. È già maggio, ma sono una persona piuttosto freddolosa e per me quest'aria è molto fastidiosa. Mi siedo sul muretto appoggiandoci sopra i piedi, porto le ginocchia verso di me e mi raggomitolo più che posso.

Una strana sensazione di inquietudine mi attanaglia lo stomaco. Sento il freddo fino nelle ossa, e non a causa del vento.

Finalmente accendo la mia Lucky Strike e tiro la prima boccata: la nicotina entra velocemente in circolo e mi sento subito più sollevata.

Comincio a pensare a tutto quello che mi sto lasciando alle spalle: i ricordi, i miei posti, la mia intera vita era lì. Come posso ricominciare da capo se non riesco a lasciarli andare?

Ho fatto la scelta giusta a partire con Richard? D'altronde non avevo alternative, l'unica cosa che avrei potuto fare sarebbe stata la barbona, vivendo nella mia auto con i pochi risparmi che ho a disposizione.

Presa dal nervosismo scatto in piedi cominciando a camminare avanti e indietro di fronte al muretto per cercare di scacciare la tensione. Troppe volte, presa da questo stato d'animo, ho fatto scelte sbagliate nella mia vita. Devo assolutamente riprendere il controllo.

D'un tratto, una mano si posa delicata sulla mia spalla. Mi volto di scatto e una ragazza mora dall'aria imbarazzata mi sta osservando:

«Scusa il disturbo, ma... hai i jeans tutti sporchi di bianco.»

«Dove?»

«Sul sedere», dice indicando il mio fondoschiena.

Allungo la gamba e stendo i jeans per trovare la macchia. «Oh merda!»

Sollevo nuovamente lo sguardo per posarlo sulla ragazza, ma questa se n'è già andata.

Torno a osservare il pantalone lercio, poi guardo il muretto. Un enorme cacca, di quello che penso sia un piccione, è spalmata nel punto in cui ero seduta fino a poco fa.

"Merda!", ripeto a me stessa. Devo trovare immediatamente una soluzione!

Mi guardo intorno e scorgo una piccola fontanella a ridosso del parcheggio: comincio a prendere manciate d'acqua, e sfregare freneticamente la parte posteriore dei miei jeans. Poco dopo mi rendo conto che la cacca si è espansa ancora di più e oltretutto mi ritrovo col sedere zuppo come se fossi un incontinente.

Con i passanti che mi guardano divertiti, prendo la drastica decisione di togliermi la felpa e legarla intorno alla vita per coprire quell'enorme chiazza. Per poi fiondarmi dentro al bar alla ricerca di mio padre.

Appena entro mi trovo davanti alla classica tavola calda un po' datata: i muri sono color panna, tappezzati di fotografie e il bancone rosso porpora crea un forte contrasto con i tavoli e le poltrone verdi. L'intenso aroma di caffè e pancakes mi mette subito di buon umore, nonostante l'enorme cacata di piccione e la chiazza bagnata stampate sul sedere.

Richard è intento a leggere il giornale, mi siedo al suo tavolo rivolgendomi a lui «Che ne pensi se finisci il tuo caffè, ne prendiamo un paio da portare via, qualche ciambella e ce ne andiamo subito?»

Mi guarda con un'aria quasi divertita, alzando un sopracciglio risponde: «Cosa hai combinato, Natalie? Quando sei così gentile solitamente è perché hai combinato qualche guaio.»

Sfodero il più innocente dei miei sorrisi e alzando le spalle dico: «Niente, ho solo fretta di arrivare a Baltimora.»

«Che strano. Credevo che non ti andasse molto a genio l'idea di trasferirci, ma evidentemente mi sbagliavo. Poi non capisco come voi ragazzi moderni riusciate a stare in maniche corte con questo freddo.»

"Sì anche io me lo chiedo Richard" penso furiosa.

Detto questo si alza e fa come ho chiesto, che miracolo! Magari cambiare aria gli ha fatto bene.

Usciamo da lì mentre tengo stretto il mio piccolo tesoro tra le mani, non posso vivere senza caffeina e dolci.

Mentre siamo già per strada, dopo essermi ingozzata come se non ci fosse un domani, "non posso resistere al richiamo delle ciambelle glassate" il mio cervello ricomincia a connettere. Mi viene in mente che ho dimenticato di prendere il cavo dalla valigia, accidenti a me, sono la solita sfigata.

Mentre guardo fuori dal finestrino il paesaggio che muta col susseguirsi delle miglia, ripenso a ciò che è accaduto prima e alla mia vita in generale.

Nonostante stia percorrendo centinaia di chilometri, l'unica cosa che proprio non mi abbandona è la sfortuna. Cosa che avrei lasciato più che volentieri in Vermont.

Ripenso anche a mia madre e a tutto quello che mi sto lasciando alle spalle. Mi sento come se l'avessi abbandonata... Solo a questo pensiero, un forte senso di nausea prende il sopravvento.

Socchiudo gli occhi e faccio un respiro profondo per cercare di calmarmi.

Non capisco da dove arrivi tutta questa angoscia che mi destabilizza, come se qualcosa, inconsapevolmente, si stia abbattendo sulla mia vita.

Tormentata dai miei pensieri, scorgo davanti a noi un cartello "BALTIMORA 10 MIGLIA".

La mia vecchia vita impacchettata nel bagagliaio in pochi scatoloni.

La mia nuova vita ad attendermi.

Una nuova vita che, in realtà, non sono per niente pronta ad affrontare.

Soprattutto con la cacata di un piccione incollata al sedere e i pantaloni che potrebbero essere di un incontinente.




Angolo autrici
Si autrici 😁 perché questo è un libro scritto a quattro mani, per ora due ma quando arriveranno i capitoli dal punto di vista del protagonista maschile li scriverà mia sorella.
Volevo dire che mi farebbe piacere sapere la vostra opinione, non esitate a commentare e dare consigli sono bene accetti.
Alla prossima 😘😘😘😘

I see you (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora