Capitolo 11

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"Buongiorno, salvo ulteriori preoccupazioni o imprevisti." 

(Lily Rose)

    Sono le sette. Non sono riuscita a chiudere occhio. Mi sono girata e rigirata nel letto come se fossi una cotoletta da impanare, cercando di soffocare le lacrime. La notte rabbuia qualsiasi pensiero, tutto sembra infinitamente più difficile da superare. Ho avuto la sensazione di precipitare all'interno di un pozzo. Ho impiegato anni per riuscire a vincere quella sensazione, che spesso si manifestava nei miei sogni e nella mia testa, come un tarlo invadente. Da piccola, capitava di svegliarmi spesso nel cuore della notte, di soprassalto, con la fronte imperlata di sudore e il corpo gelido. Quando ritrovavo in tale stato, ero inconsolabile. Persino mia madre era incapace di lenire le mie angosce. L'unica cosa che riusciva a rassicurarmi, era intrufolarmi tra le morbide lenzuola del suo letto e stringermi al suo petto in uno stretto abbraccio per poi iniziare la conta delle pecorelle per cercare di addormentarmi. Preoccupata e in ansia per i frequenti incubi in cui mi imbattevo, mi portò da uno psicologo. Uno di quei psicologi con i capelli arruffati, gli occhiali sulla punta del naso e la pipa in bocca. Ricordo ancora l'odore acre della stanza. Mi intimoriva. Ogni volta facevo i capricci per andare da lui, ma quello era l'unico psicologo disponibile e gratuito con l'assistenza sanitaria di cui potevamo beneficiare. Potevi permetterti un professionista solo se il tuo portafogli era gonfio, ma di certo non era il caso nostro. Giunse alla conclusione che gli incubi esprimevano la mia angoscia per una situazione di difficoltà dovuta probabilmente all'abbandono subìto. Col senno di poi, mia madre avrebbe potuto risparmiarmi le sedute dal maleodorante psicologo. Chiunque conoscendo il mio passato, avrebbe potuto trarre una simile conclusione. Mio padre ha rovinato la mia esistenza e continua a farlo. Si intrufola con prepotenza nella mia mente spaventata. Non si presenta mai di persona, ma lo fa sotto mentite spoglie. Questa volta però il problema non è mio padre, ormai sono una donna matura ed ho superato la fase dell'abbandono. Ora il problema è rappresentato dagli scheletri del passato, che a quanto pare si sono palesati ferocemente nella mia "nuova" vita.

Finalmente Andrew apre gli occhi al suono della sveglia alquanto assordante e fastidiosa. La spegne, si volta verso di me con gli occhi ancora semichiusi ed esordisce con: «Sogno o son desto?» Mi osserva stralunato, poggia il gomito sul letto trattenendo il viso con una mano. Mi osserva con lo stesso sguardo di felicità misto a golosità con il quale fisso sempre i pasticcini esposti nelle vetrine. Giuro, mi sto impegnando tantissimo per cercare di seguire una dieta sana ed equilibrata. Ho perso circa tre,

quattro chili, ma l'obiettivo prefissato è ben lontano, specialmente se continuo a sognare dei pasticcini ovunque! A ogni modo, dopo avermi guardata in quel modo, mi sussurra:

«Viv, non sai da quanto tempo sognavo questo momento! Risvegliarmi con te al mio fianco!» Sorride, scosta con le dita della mano destra l'ingestibile ciuffo dei miei capelli, dopodiché schiocca un tenero bacio sfiorandomi le labbra. È un momento che racchiude un'infinita dolcezza, peccato rovinarlo con il pensiero di ciò che è successo ieri. Ci godiamo questi istanti, fissandoci intensamente e consapevoli che oggi dovremo affrontare questo nuovo "imprevisto".

Ci vestiamo e decidiamo di andare assieme a casa nostra per incontrare Jacob. Non ho voglia di rimanere lì, così decido di chiamare la mamma per invitarla a pranzo fuori. Non le dirò nulla di ciò che è successo. Non voglio arrecarle ulteriori pensieri. Si è spaventata molto quando ha saputo che ero in coma in ospedale. Poco dopo aver appreso la notizia, ha avuto un malore ed è finita al pronto soccorso. Il cuore della mamma è un po' affaticato. Ha sofferto della sindrome dal nome quasi impronunciabile tako tsuboi, o più comunemente detta cardiomiopatia da stress, conosciuta ai più come sindrome del crepacuore. La causa ovviamente dello scompenso cardiaco sono io, i miei segreti e le mie bugie. Ho giurato solennemente, inizialmente sulle mie preziosissime scarpe di Laboutin, che non avrei più ferito mamma raccontandole ulteriori bugie. Ho impiegato un giorno intero per capire che non si può giurare su un paio di scarpe, non sarebbe eticamente corretto, troppo facile! Pensandoci bene però, un giuramento non è altro che una successione di parole che una volta pronunciate si dissolvono nell'aria disperdendo il loro significato. Ho deciso che non avrei più giurato su nulla, ma sarei rimasta un'inguaribile bugiarda, dispensatrice di mezze verità o "bugie bianche", come piace chiamarle a me. Del resto, tutti quanti abbiamo un capitolo della nostra vita o brevi episodi che non vorremmo mai raccontare agli altri ad alta voce e che chiudiamo a chiave in qualche cassetto della nostra memoria.

La metamorfosi di VivienneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora