Derry
4-08-1989
7:45Il giorno seguente Billie Denbrough si svegliò presto per essere una mattina estiva. A dir la verità, non aveva dormito granché e decise di alzarsi indipendentemente dall'orario segnato dalla sua sveglia digitale. Aveva passato quasi tutta la notte pensando ad Anne e dandosi dell'idiota; alla Cava era stato così vicino alle sue labbra, ma non aveva osato profanare tanta bellezza con i suoi modi timidi ed impacciati.
"Bravo scemo, Bill" continuava a dirsi. Quella poteva essere stata l'unica sua occasione di baciarla, sprecata miseramente per vigliaccheria.Alle ore otto precise, dopo essersi vestito e aver fatto rifornimento di caffeina, si era seduto sul dondolo nel portico della casa, circondato da pile di libri polverosi. La sera prima aveva scavato nelle miniere cartacee che suo padre aveva abbandonato in cantina, ed aveva trovato proprio ciò di cui aveva bisogno: poesia.
C'era di tutto. Da Saffo a Catullo, da Chauser a Shakespeare, dalla Dickinson a Masters. Con espressione tremendamente concentrata, sfogliava le pagine, umidicce e prossime alla muffa, alla ricerca di passi evidenziati o note che attirassero la sua attenzione.
Rimase così per delle ore. La madre aveva provato a chiamarlo per il pranzo, ma lui non si era mosso di un centimetro, troppo preso da Keats per dedicarsi ad attività prosaiche quali nutrirsi.
«Si può sapere cosa stai facendo?» gli chiese poi la signora Denbrough, affacciatasi alla finestra del salotto.Bill alzò gli occhi a fatica da un verso particolarmente affascinante di Whitman.
«Non l-lo so» rispose sincero. E in effetti non aveva la benché minima idea di cosa stesse cercando o facendo.
Quello non era un compito estivo di inglese, né un modo di impressionare Anne. Semplicemente, sentiva di dover cercare tra quelle parole antiche qualcosa che lo rassicurasse, che gli spiegasse cosa gli stesse succedendo. Aveva bisogno di sapere che qualcun'altro si era sentito come lui. Ma apparentemente nessuno aveva scritto di sentire troppo. Era sottinteso che i poeti sentissero troppo, o non sarebbero stati ciò che erano.Alle tre e un quarto del pomeriggio si arrese e richiuse la raccolta di capolavori firmati Dylan Thomas, sospirando. Si mise ad osservare il cielo grigio, colmo di gonfie nuvole tuonanti e minacciose. "A cosa ti serve sapere cosa provi per Anne?" si chiese stanco, senza trovare una risposta. Di certo non sarebbe cambiato nulla anche se avesse esplorato tutti i versi della letteratura mondiale. La soluzione ai suoi problemi non era lì. Se voleva conquistarla doveva agire nel concreto, fare qualcosa di vero.
Saltò in piedi, investito dall'improvvisa forza di volontà. Radunò in fretta i libri sparpagliati sulle assi consumate del portico e li appoggiò sul davanzale della finestra. Poi scese di corsa i gradini e partì con la sua adorata Silver verso quello che gli pareva un futuro roseo e di certa vittoria.
«William! -lo chiamò la madre- Dove vai?».
Il ragazzo non le rispose e continuò a pedalare nel labirinto di stradine periferiche, sentendosi infinitamente vivo ed entusiasta.
Una volta raggiunta la casa di Anne, abbandonò la bicicletta in mezzo al prato del giardino. Arrivò alla porta di ingresso e si bloccò per prendere un respiro di preparazione psicologica.
Si sistemò il ciuffo ramato, suonò il campanello con il cuore che gli batteva forte nel petto e attese in silenzio.Passi pesanti scossero la casa. La porta fu aperta da un uomo alto, dall'aria tutt'altro che amichevole. Era impensabile che un essere così minaccioso avesse generato Anne, tanto che Bill sospettò di aver sbagliato abitazione. Ma dato che aveva accompagnato la ragazza proprio davanti a quella stessa porta, disse:«B-b-buonasera, signore. C-cerco Anne».
L'uomo lo trapassò con uno sguardo omicida:«Cosa vuoi da mia figlia?».
Bill dovette racimolare un bel po' di coraggio per rispondergli:«S-so-solo p-parlarle, signore».
Non era del tutto vero. Voleva baciarla, ma non gli sembrò il caso di farlo sapere a suo padre.«Mi hai preso per stupido?» chiese l'uomo, iniziando ad alterarsi.
«A-affatto, signore» rispose Bill, mentre l'ansia gli esplorava le viscere.
«Invece sì, ragazzino. -ribatté- Quelli come voi non vogliono solo parlare. Non mi trattare come se fossi un imbecille».
«N-non e-era mia in-intenzione, signore».Bill era ormai pronto a prendersi un cazzotto sul naso, ma la voce di Anne gli venne in aiuto.
«Ciao, Bill» lo salutò, comparendo accanto al padre. «Papà, ti presento Bill Waters. È il fratello di Sonia, ti ricordi di lei? La mia amica di scuola?» spiegò con tutta la naturalezza di questo mondo. Dato che il padre non rispondeva, proseguì:«Ehm... I Waters hanno il telefono rotto da un paio di giorni e Sonia ha la febbre. Bill deve essere venuto qui per dirmi qualcosa da parte sua, non è così Billie?».Bill, sorpreso, si ritrovò ad annuire energicamente:«E-esattamente».
Il padre non sembrava convinto:«Se è un messaggio da una tua amica, non vedo perché non possa ascoltare anche io».Bill ebbe un'idea.
«Nemmeno io s-so co-cosa sia, si-signore. M-mia sorella ha s-scritto un me-messaggio». Tirò fuori dalla tasca della felpa il foglietto piegato su cui Ben aveva scritto la poesia di Frost e lo mostrò, chiuso, al padre di Anne. «Ha d-detto di no-no-non leggerlo p-perché sono p-problemi d-da f-femmine».Bill aveva detto le parole magiche. Il signor Barret li scrutò con sguardo sospettoso ed indagatore, poi disse:«Vi concedo tre minuti, non un secondo di più». Socchiuse la porta e sparì all'interno della casa.
Anne si guardò intorno e gli prese la mano, portandolo lontano dalla finestra che dava sul giardino.
«Che diamine ti è saltato in mente?» gli chiese in un sussurro arrabbiato.
Bill alzò lo sguardo su di lei; gli occhi avevano assunto il colore del cielo in tempesta. In quel preciso istante un tuono fortissimo scosse il cielo e le prime gocce bagnarono la terra.«D-dov-dovevo p-parlarti» le rispose.
Anne lo guardò, più calma:«Ti ascolto».
«B-be', ecco. Vedi...» incespicò, mentre la pioggia diventava sempre più fitta. «Usciresti con me? -le chiese tutto d'un fiato- P-potremmo a-andare al c-cinema, o do-dove v-vuoi tu...».Bill avrebbe continuato a parlare, ma dall'espressione di Anne decise che era il momento di smettere. Teneva gli occhi bassi e tristi, come se Bill le avesse portato una notizia tremendamente tragica. Il ragazzo rimase in silenzio per un paio di secondi. Poi, un luccichio malinconico lo allarmò.
«Ho d-detto qua-qualcosa di m-male?» le domandò perplesso e preoccupato.
Lei non rispose e lo abbracciò forte, appoggiando la testa al suo petto ed intrecciando le mani dietro la sua schiena.Bill rimase immobile, mentre lei mormorava con voce spezzata:«Mi dispiace tanto, Billie. Mi dispiace così tanto».
«Non capisco» disse lui, trovando il coraggio di posarle una mano sulla curva della spina dorsale.
Lei si staccò da lui lentamente e fece incontrare i propri occhi con quelli di lui. «Non posso farti questo» mormorò.
Stava piangendo. Le lacrime leggere e silenziose le rigavano le guance e le arrossavano il viso. Bill si sentiva estremamente confuso. Perché Anne piangeva? Semmai era lui a dover piangere. Cosa significava "non posso farti questo"? Lui voleva che gli facesse questo.Anne tornò in casa, lasciandolo solo sotto la pioggia, ormai diventata un'acquazzone.
Bill, deluso e triste, rimase in piedi sotto la pioggia battente. Aveva davvero voglia di piangere. E poi nessuno sa quando piangi sotto la pioggia. Le tue lacrime sono gocce del cielo e il sole nascosto non illumina il tuo dolore.
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𝚂𝚘𝚗𝚐:
Mary Jane's last dance
-Tom Petty and the Heartbreakers🦋Spazio autrice🦋
Ciao a tutti, grazie mille per aver letto il capito.
Ditemi un po' cosa pensate della storia, ora che siete arrivati al decimo capitolo🦄Alla prossima♡
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ɴᴏᴛʜɪɴɢ ɢᴏʟᴅ ᴄᴀɴ sᴛᴀʏ
Fanfiction1989, 𝐃𝐞𝐫𝐫𝐲 ❁❁❁ Come l'Eden affondò nel dolore Così oggi affonda l'Aurora. Niente che sia d'oro resta. ❁❁❁ {𝖡𝗂𝗅𝗅 𝖣𝖾𝗇𝖻𝗋𝗈𝗎𝗀𝗁 × 𝖿𝖾𝗆!𝗈𝖼} [boy×girl, boy×boy] N.B. contiene scene Reddie; se sei omofobo, togli il disturbo. Grazie🌈😊...