14. Emergency meeting (pt.1): the Arrival

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Derry, Losers Club
8-08-1989
10:00

Il narratore si scusa di aver ritardato la continuazione per così tanto tempo. Ciò detto, procediamo. Dove eravamo rimasti? Ah, ecco: William Denbrough stava leccando le ferite del suo cuore spezzato, abbandonando i compagni di merende al loro destino. Richie aveva fatto arrabbiare Eddie con una battuta di troppo. E Stan aveva chiamato una riunione di emergenza. Ora possiamo riprendere.

Stanley Uris era seduto nella penombra del Club. Indossava una camicia di lino a righe verticali, abbottonata fino al colletto e accuratamente infilata nei pantaloncini di jeans. Una cuffia da bagno a fiori violacei gli copriva la testa fino ad un paio di centimetri dalle sopracciglia sottili e bionde.  Avrei voluto, caro lettore, scrivere che ricordava un funghetto incamiciato o un'altra sciocchezza del genere, ma la sua espressione si mostrava fin troppo seria, ed irritata, perché io possa scherzarci giocosamente sopra. 

Ogni paio di minuti sbirciava l'orario sul suo orologio da polso e scuoteva la testa sbuffando. "Dov'erano tutti? Perché non erano capaci di essere puntuali ad un incontro d'emergenza?" si chiedeva nel silenzio inquietante dei boschi di Derry.

Non aveva nemmeno finito di lamentarsi, che il soffitto del Club fu scosso da passi pesanti ed affrettati. Stan era stato in anticipo a tante di quelle riunioni da riuscire a riconoscere il passo di ogni membro del club in pochi secondi. Perciò, prima ancora di vederlo, salutò Ben Hanscom.

«Ehi, Stan -rispose al saluto- Gli altri non sono ancora arrivati, eh?» disse prima di sedersi goffamente per terra. Il suo respiro era affannato per la corsa e la maglietta estiva presentava diversi aloni di sudore. Stan, nel suo ordine meticoloso e la sua igiene maniacale, ne fu disgustato, ma non commentò.

«Certo che no, quando mai si sono presentati in orario?» ribatté l'altro, palesemente inacidito.
Ben ridacchiò alle sue parole, ma non tentò di portare avanti una discussione; intuiva che Stan 1) non era dell'umore per una chiacchierata leggera e 2) voleva aspettare che gli altri fossero arrivati prima di spiegare perché avesse convocato una riunione.

~•~

Intanto al "piano di sopra", in mezzo al bosco, Eddie Kaspbrak camminava a passo rapido verso il Club. Teneva lo sguardo fisso sugli aghi di pino ingialliti e le mani nelle tasche dei pantaloncini corti. Aveva un'aria tutt'altro che allegra, infatti, ricorderai caro lettore che il segreto centro dei suoi pensieri non si era comportato nel migliore dei modi. Ed eccolo, appunto, ad inseguirlo una decina di passi indietro.

 Richie Tozier comparve al suo fianco col fiato corto. «Eds, ti ho rincorso per due miglia, porca miseria» si lamentò ansimante. Apparentemente sembrava esasperato e, vagamente, in atto di supplica, ma sotto sotto era indispettito. Indispettito, perché era colpa sua se Eddie aveva un caratteraccio intollerabile ed era più permaloso delle femmine? In fondo che cosa aveva fatto di così terribile? Una battuta? Okay, forse aveva un po' esagerato, però Eds lo avrebbe dovuto capire, no? Non lo conosceva?

Al solo pensare la parola "Eds", tuttavia, l'irritazione iniziò a scemare, lasciando spazio ad un sentimento più dolce e benevolo, che gli riportò in mente immagini e sensazioni della notte precedente. Forse era il caso di chiedere scusa.

Eddie non aveva ancora detto una parola, anzi, aveva velocizzato l'andatura e si fingeva indifferente, pur essendo decisamente stizzito, indignato dall'incostanza di Richie.

L'altro, osservandolo, ridacchiò. «Ma dove pensi di scappare con quelle gambine?» si lasciò scappare, ma se ne pentì all'istante in un gemito di esasperazione. Incapace di ottenere la sua attenzione, afferrò Eddie per un polso prima che riuscisse a scappare per davvero.

«Eddie, mi dispiace, okay? -esclamò, riuscendo finalmente ad incontrare i suoi occhi- Sono un coglione. Non faccio apposta: mi viene naturale dire delle stronzate». Si interruppe per indagare lo sguardo del compagno, il quale, a sua volta, indagava il suo, diffidente. Richie riprese: «Mi dispiace per prima, mi dispiace per adesso e anche per quel che dirò più avanti. Mi credi?». 

Eddie sbuffò e mal celò un sorriso: «Ti credo, ma sei uno stronzo» sbuffò lui abbassando lo sguardo. Era vero, gli credeva, meno vero era che lo considerasse un autentico stronzo. Era certo che Richie non avrebbe mai cercato di ferirlo, volutamente. Il rischio stava nelle ferite involontarie, le quali potevano benissimo essere numerose, dato che Richie apriva bocca solo per darle aria, senza mai pensare prima di farlo.

Nonostante ciò, si accorse di volerlo baciare, e non poco, ma non osava nemmeno tentare dopo il risultato disastroso della sera prima. A quel pensiero le guance gli si colorarono di rosso vivo ed abbassò il viso in un vano tentativo di nasconderlo.

Richie lo notò subito, ma, per la prima volta, si trattenne dal riderne. Invece, sorrise teneramente e, portando di nuovo lo sguardo di Eddie verso di sé,  sussurrò: «Niente asma 'sta volta».

~•~

I due scesero al Club pochi minuti dopo, inventando assurde scuse per giustificare il ritardo e finendo per essere molto più sospetti di quanto sarebbero sembrati se non avessero spicciato parola. 

Per fortuna, Ben e Stan non gli prestavano una gran attenzione; Ben perché non avrebbe mai osato sfottere Richie "Boccaccia" Tozier e Stan perché era troppo impegnato a contare i secondi di ritardo di ognuno per preoccuparsi del loro imbarazzo, qualunque fosse la causa.

«Accipicchia, che coincidenza averti trovato all'entrata, Eds...» continuava a blaterare il moro, con sdrammatizzanti risatine ansiose. Perdona la ripetizione, caro lettore, ma era davvero una fortuna che Ben e Stan non gli prestassero una gran attenzione, perché anche solo guardandoli ci si rendeva conto che c'era qualcosa di altamente sospetto. Eddie continuava a scuotere la testa, arrossendo e sospirando esasperato. Richie per l'agitazione non riusciva a chiudere la bocca. Eddie non gli stava augurando di strozzarsi. Richie non gli dava dello gnomo. Erano tanto vicini da fondere insieme e pareva che a nessuno dei due dispiacesse.

Passi, lievi e svogliati, fecero cadere terriccio ed aghi di pino dal soffitto del Club. Stan alzò il capo di scatto. I suoi occhi lasciarono trapelare la sorpresa, mista a sollievo: era venuto davvero. Bill Denbrough, cupo, si calò nell'entrata pericolante della loro tana. Una volta sceso alzò gli occhi verso gli amici, ma non coronato dalla sua tipica aura di taciturna autorità, bensì in atteggiamento di umiltà e ricerca di assoluzione.

Forse voleva dire qualcosa, ma non ebbe il tempo. Richie uscì in un sol colpo dal suo stato di imbarazzo, per entrare in quello di seccata ostilità e sibilare: «Ci degni della tua presenza, Big Bill?»

✨Spazio Autrice✨

Sì, non ho aggiornato per secoli e sono pessima. Amen to that. Fatto sta che rieccomi nel mondo di wattpad, popolo. 

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento; lasciate un'opinione se avete il tempo, o la voglia, di scriverne una, mi farebbe piacere.

Alla prossima, carissimi.

-Linda🌻

ɴᴏᴛʜɪɴɢ ɢᴏʟᴅ ᴄᴀɴ sᴛᴀʏDove le storie prendono vita. Scoprilo ora