11. Dead cat

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Anne Barrett lasciò Bill in mezzo al prato del proprio giardino e corse in casa. Si fiondò per le scale, raggiungendo la camera abbastanza in fretta da non essere intercettata. Quando si richiuse la porta alle spalle tutto le cadde addosso. Pianse. Pianse in silenzio. Non un pianto disperato, quelli che si riservano ai veri drammi della vita, ma una semplice leggera cascata di frustrazione sotto forma di piccole gocce salate. Il modo in cui Billie l'aveva guardata, i suoi occhi color mare, la malcelata speranza l'avevano colpita come un pugno. Il peggio era che, se avesse potuto, gli avrebbe detto di sì. Lei voleva uscire con Billie. Voleva fermarsi con lui davanti ad un tramonto mozzafiato, essere baciata nello splendore del momento e registrare ricordi da tenere per sempre nella memoria. Voleva tutte queste cose, ma le circostanze non erano a suo favore.

Cercò una cassetta di Bowie per calmarsi i nervi e, una volta trovata, la inserì nello stereo. Le note di Ziggy Stardust riempirono la stanza. Anne si appoggiò al muro, rilassandosi un poco, anche se ancora non abbastanza. Continuava a pensare che lo aveva ferito, aveva ferito Bill. Non avrebbe mai voluto che accadesse, eppure eccola lì, a piangere sul latte versato. Si sentiva cattiva, insensibile, nei confronti del ragazzo più gentile del mondo. Forse, caro lettore, non aveva tutti i torti, però non ebbe il tempo per finire di maledirsi.

Il padre irruppe nella stanza, senza bussare, e con un gesto brusco staccò dalla presa la spina dello stereo. David smise di cantare.
«Chi era?» le chiese con tono duro e insistente.
«Te l'ho detto, papà. È il fratello di Sonia»
«Sì, e io sono un completo deficiente, secondo te? -urlò allora il padre- Perché stai piangendo?».

Anne ebbe un attimo di esitazione, che sfruttò per asciugarsi le lacrime con il bordo della manica, poi rispose:«Il loro gatto -singhiozzò- è stato investito».

Il padre la guardò con un espressione minacciosa, sospettosa e scettica:«Annie, quanto credi che io possa essere stupido?».
Il suo viso, in quel momento soprattutto, era terrificante; gli occhi, enormi come i suoi, erano leggermente arrossati e pieni di collera. La bocca, avvolta dalla barba non rasata, era distorta in una smorfia. Anne non ebbe il coraggio di rispondere e, in silenzio, lo guardò esplodere.

«VAFFANCULO, ANNE -gridò- Vaffanculo a te, a tua madre, a Chicago, a quel ragazzino e al suo fottuto gatto». Tirò un calcio ad uno degli scatoloni appoggiati per terra, poi aggiunse:«Non mi vuoi dire che ti ha fatto quel piccolo bastardo? Benissimo. Ma non ti aspettare di uscire tanto presto da qui».

L'uomo uscì dalla stanza, sbattendo la porta con forza, ed Anne rimase solas a piangere nel rumore della pioggia.

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Contemporaneamente, Stanley Uris si proteggeva dall'acqua grondante dal cielo sotto un ombrello malmesso camminando verso casa Desborough. Teneva sotto alla maglia un contenitore di plastica in cui, secoli prima, la madre di Bill gli aveva portato dei biscotti. La signora Uris lo aveva trovato per caso in un cassetto e, presa dalla sua solita ansia, aveva spedito il figlio sotto la tempesta del secolo per riportarlo, allegando scuse infinite per la propria sbadataggine.

Stan raggiunse la sua destinazione proprio mentre Billie scendeva dalla bicicletta, abbandonandola sul prato bagnato. Si accorse subito che l'amico era a terra come la ruota di una bici davanti a un chiodo bastardo. Puntava i grandi occhi acquamarina alla punta delle scarpe fradice ed era evidente che stesse cercando di evitare il contatto visivo con lui.

«Che è successo, amico?» gli chiese, mettendo il microscopico ombrello malconcio anche sopra di lui, nonostante fosse ormai completamente inutile.
Si accorse allora che Bill aveva gli occhi lucidi. Se ne stupì forse più del dovuto, tanto era abituato a vederlo a capo del gruppo, nella sua aura di timido ed educato coraggio.

Bill scosse la testa. Non aveva voglia di parlarne, ma Stan capì lo stesso:«Anne, vero?».
L'amico alzò le spalle:«N-non importa» sospirò. Il ragazzo uscì dalla protezione dell'ombrello amico, incamminandosi sotto l'acqua cascante verso l'ingresso della sua casa. 

Stan pensò che dovessero aver litigato o qualcosa del genere; magari Anne non apprezzava abbastanza la pura arte che stava dietro ad ogni episodio delle Tartarughe Ninja, oppure aveva osato criticare l'adorata bicicletta di Bill.

In realtà, caro lettore, Stan non immaginava ancora il mondo oltre i  cartoni e l'orgoglio infantile. Qualche anno dopo avrebbe capito che anche lui aveva la sua "persona speciale", ma all'epoca era convinto di poter vivere lontano da quel campo fiorito, pieno di mine, che è l'amore.

Con cura sistemò Silver sotto al portico, al sicuro dal temporale. Appoggiò sui gradine il contenitore da restituire alla signora Denbrough e si diresse verso casa sua.

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🏳‍🌈Spazio autrice🏳‍🌈

Ciao a tutti, come vi sta andando l'estate?

⚠AVVISO⚠

Perdonate se non ho aggiornato per così tanto, ma sto facendo un esperimento sociale: attualmente il mio telefono smartphone è chiuso nella sua scatola, mentre io tiro avanti con un Nokia a tasti (sì, lo so, sono matta). Quindi, se vedete che rispondo meno ai commenti e che in generale sono meno presente, non offendetevi :(

Alla prossima❤

ɴᴏᴛʜɪɴɢ ɢᴏʟᴅ ᴄᴀɴ sᴛᴀʏDove le storie prendono vita. Scoprilo ora