Capitolo 4

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POV ROSS

Laura ha appena chiuso con il suo ragazzo, è sconvolta, anche se ho la sensazione che io abbia contribuito in particolar modo a farla stare così e che il suo ragazzo non sia l'unica persona con cui ha chiuso. Entrata in casa è corsa di sopra e si è chiusa in camera: ora non vuole vedere nessuno, eccetto Rydel. Dopotutto, chi può biasimarla, sono praticamente sorelle, quando una sta male, sta male anche l'altra e si comprendono come nessuno sa fare al mondo. A loro non servono le parole. Vorrei capire anche io una persona in questo modo, ma non ne ho mai avuto l'occasione. Eppure anche io ho un migliore amico, Dean, ma il nostro rapporto è debole, siamo compagni di classe, ci conosciamo da anni, ma non parliamo mai di cose veramente serie e di sicuro non abbiamo l'intesa che hanne quelle due. Quando stiamo insieme pensiamo solo a divertirci, senza responsabilità o problemi. Mi sento in colpa per non essere come Rydel.

Decido di sedermi accanto alla porta della camera di Laura ed aspettare che esca. Voglio aiutarla.

Come sta? Cosa sta facendo?

Cosa mi sta succedendo? Perché provo queste sensazioni?

Le domande assalgono la mia mente come un mare in tempesta ed io ho solo una zattera, nient'altro. Ultimamente mi capita spesso di essere preoccupato per lei, di difenderla, di rassicurarla, di proteggerla. Non voglio che sia così, ma è un istinto e non so controllarlo. In questo momento voglio starle vicino, accarezzarle le guance rosee, sfiorare la sua pelle morbida e tenera. Lo vorrei così tanto. Ma che cazzo dico? Basta pensare a queste stronzate, non è da me. Porca puttana. I miei pensieri vengono fortunatamente interrotti da un rumore.

Rydel esce dalla camera di Laura: sembra turbata. È passata circa un'ora da quando è successo quel casino ed in questo lasso di tempo loro due sono rimaste chiuse là dentro a fare non so cosa.

–– Che hai? –– gli chiedo fingendo di non essere interessato a Laura.

–– Laura è molto scossa. Non emette alcun suono se non quello dei singhiozzi. Sai, dovresti parlarle e non fare finta di niente. Se volevi risultare indifferente, potevi evitare di metterti davanti alla sua porta ad aspettarla.

Giustamente.

–– Okay... –– mi faccio coraggio e, alzandomi in piedi, busso alla porta.

–– Avanti –– dice una voce debole e tremolante.

–– Tutto okay? –– le chiedo entrando.

–– Come dovrei sentirmi?

–– Non so, forse dovresti essere un po' tranquilla, se non felice.

–– Felice?! Felice?! –– le parole le escono a malapena e sono sottili, fioche. Il tono sembra trasmettere stupore, ma la debole voce le impedisce di esprimere le emozioni che dovrebbe manifestare, le troppe lacrime e i singhiozzi non le permettono di parlare bene. Che pena vederla così...

–– Si, insomma, hai lasciato quel cretino, dovresti sentirti almeno sollevata...

–– Sollevata... non credo. Nick ti sarà potuto sembrare spregevole ma prima che cominciasse a... beh... era un ragazzo d'oro, tutto qui. Sempre felice, dolce, simpatico e a modo. Il fatto che tu lo insulti sempre non mi piace molto.

–– Okay, scusa, ma cosa dovrei fare allora? Descriverlo come un tesoro? Considerarlo un bravo ragazzo? Io non lo conoscevo prima che accadesse tutto questo e non puoi chiedermi di rispettarlo, perché considerato il modo in cui lo conosco, fa schifo ed è l'opposto di quello che hai detto –– alzo leggermente il tono della voce.

–– Non ti sto chiedendo di adorarlo o di dire che è fantastico. Sto dicendo che, proprio perché non lo conosci, tu non puoi permetterti di parlare così di lui. Nessuno te ne dà il diritto.

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