Capitolo 3

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Guardo l'orario sul display del mio telefono: le 3 a.m. Sono passati solo cinque minuti da quando sono entrata, la preoccupazione e l'ansia sono diventate ormai parte di me. Nella mia testa fluttuano mille domande. Mi chiedo cosa si stiano dicendo quei due, sento delle urla ma non riesco a distinguere le parole, non posso neppure sapere cosa stanno facendo o se si stanno picchiando, dato che le tapparelle sono abbassate e se le tirassi su sveglierei qualcuno con il frastuono. Ho paura di cosa possano combinare quei due, Nick è un barile di dinamite, pronto ad esplodere, mentre Ross non è altro che una piccola scintilla, sufficiente abbastanza da innescare la reazione.

Forse avrei fatto meglio ad entrare in compagnia di Ross e cacciare via Nick. Continuo a tormentarmi con questo pensiero, con il peso di averlo lasciato lì da solo senza controbattere e, se si prendessero a botte, la colpa sarebbe solo mia. Mi distolgo dai pensieri, le urla si sono placate: c'è troppo silenzio. Decido di uscire per controllare che nessuno dei due fosse morto, ma prima che potessi afferrare la maniglia il silenzio viene interrotto dallo scattare della serratura. La porta si apre piano, rivelando dapprima una chioma biondo chiaro che si distingue dalle tenebre, poi una sagoma alta, sul metro e ottanta, e un viso angelico. Ross. Mi guarda mentre chiude la porta dietro di lui. I capelli gli ricadono in parte sulla fronte, un po' scompigliati come sempre, e gli donano un'aria dolce e tenera. I suoi occhi marroni sembrano riflettere di luce propria. Anche al buio riesce a spiccare come la speranza in un lungo e brutto periodo di tristezza. Mi si avvicina, accostando le sue labbra al mio orecchio. Faccio per ritrarmi, incerta su cosa voglia fare.
–– Come stai? –– sussurra dolcemente. Quando parla in questo modo mi fa impazzire, provo sempre una sensazione piacevole: i nervi mi si irrigidiscono e un brivido mi percorre la schiena. Che strano effetto che fa, si è ripetuto solo un'altra volta quest'episodio, ieri pomeriggio in piscina, quindi non ne sono del tutto estranea, ma so che non dovrebbe essere così.

Rimango spiazzata da quella domanda, non lo ha mai chiesto... non a me... non come sto.
–– Bene –– mento, so che l'ha chiesto solo per educazione e non perché gli interessi qualcosa di me e poi non voglio fare la figura della stupida che si mette a piangere, tanto meno davanti alla persona che me lo rinfaccerebbe tutta la vita.
–– No, non stai bene, hai appena litigato con il tuo ragazzo. Ti ha fatto del male?

Mi aspettavo che lui se ne andasse annuendo, invece mi ha capita, come fa sempre Rydel, che anche quando sorrido sa che sto male. Mi guarda con uno sguardo penetrante, uno sguardo che non ho mai visto sulla sua faccia: compassione. La compassione non è affatto da lui, uno sbruffone arrogante e presuntuoso.
–– No, non proprio.

–– Cosa ti ha fatto? Laura, dimmelo, ti prego.

Non voglio metterlo in mezzo a questa storia, ma non capisco come mai lui voglia starci.

–– Prima, per l'appuntamento, mi ha portata ad una stupida festa liceale piena di alcool, di droga e ovviamente lui dopo cinque minuti era già ubriaco. Ha cercato di... –– mi fermo per riprendere fiato, non riuscendo ad andare oltre. Impiega un attimo per intuire ciò che ho lasciato in sospeso.

–– Giuro che adesso torno lì fuori e lo vado a cercare, ovunque sia. Quel... lo ammazzo... –– lo interrompo prendendo parola.
–– Ehi, è tutto okay, Ross... non serve. Grazie di tutto, ti sono grata. Ora vai a riposarti –– parlo a bassa voce e con gentilezza. Lui esita, ma poi annuisce. Fa qualche passo e si ferma voltandosi verso di me.
–– Sei sicura? Posso fare qualcos'altro per aiutarti?

–– Hai già fatto tanto per me, più di chiunque altro avrebbe fatto in una situazione del genere. Grazie –– gli sorrido e lui ricambia. Sale le scale e scompare dalla mia vista. Che strano... tutta questa premura all'improvviso.

Prendo un bicchiere d'acqua, poi un altro e un altro ancora. Un po' per la sete e un po' per mandare giù l'alcool, di cui sento ancora il sapore. Rimango a riflettere a lungo, in piedi, con le mani appoggiate sulla lastra di marmo del tavolo della cucina, gelida e dura, rabbrividisco per il freddo. Chiudo gli occhi e li tengo così fin quando le lacrime non cominciano a rigarmi il viso e sotto le palpebre sento un pizzicore. Percepisco una sorta di fiamma accendersi, farsi strada nel mio petto, salire fino alla gola e bruciare. Mi accorgo di aver trattenuto il respiro quando tento di prendere fiato, e comincio a singhiozzare. Cerco di reprimere i singhiozzi ma è difficile, li soffoco bloccando il respiro. Mi lascio sprofondare nel divano del soggiorno, è morbido e ricoperto di un soffice velo color panna che dà la sensazione di essere sopra una nuvola. Buffo, penso, eppure spesso mi ci sono seduta, ma non ho mai provato alcuna sensazione del genere. Afferro il primo cuscino che mi capita, anch'esso morbidissimo e gradevole e lo stringo cercando conforto. Ora capisco perché Ross adora questo cuscino e lo tratta come fosse suo figlio.

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