Capitolo 7

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Lei... lei non è come gli altri. Cattiva, buona, sono tutte cazzate. Lei è molto di più. L'ho saputo appena l'ho vista.

Okay, okay, magari ho notato altro, appena l'ho vista, ma puoi biasimarmi? Non la conoscevo mica, ci vuole tempo per capire certe cose. È cambiata così tanto, rispetto a quei giorni. Era una vera stronza, ma di quelle che mentre le odi non riesci a pensare ad altro che ad andarci a letto insieme. Certo che è imbarazzante ammetterlo, ma te l'ho detto, non voglio più mentire a me stessa. L'ho fatto per troppo tempo, ed è per questo che ho perso tutto. Lei non l'ho persa solo perché non l'ho mai avuta. In ogni caso, non puoi possederla, una persona in generale, ma una come lei soprattutto. Ma è quello il bello, no?

Aspettavo che facesse lei la prima mossa. Che idiota! Come si può pretendere una cosa del genere? Dico, come se non avessi imparato da quando avevo tre anni che se vuoi qualcosa, devi prendertela, e non aspettare invano che qualcuno ti faccia il favore e te la regali. Avrei semplicemente dovuto chiederle di uscire con me. Era semplice. Lo sarebbe stato.

Mi ha sempre capita, forse è l'unica che mi conosceva davvero. Io non l'ho mai decifrata completamente, ma ci ero vicina. Non riuscivo a prevedere quello che avrebbe fatto come lei faceva con me, ma la capisco. Ho sempre saputo chi è veramente. Ho sempre saputo di potermi fidare di lei.


Capitolo 7

Andare da lei divenne un'abitudine. O un'ancora di salvezza, l'unica parvenza di normalità, un'illusione che la teneva a galla, le impediva di percepire quell'assenza di vita che la devastava. Nonostante il funerale, nonostante non riuscisse a toccare nulla, nonostante il sangue incorporeo che continuava a sgorgare da lei senza sporcare nulla, non riusciva ad accettare di non essere più viva. Lei si sentiva viva! Vedeva, parlava, piangeva, urlava, e la sua magia si spandeva nell'aria come pura energia! E soffriva. Soffriva ancora. Che senso aveva?

Regina non aveva una risposta, e per quanto cercasse, non la trovava. Emma sentiva quanto tutto ciò le stesse facendo male, ma non riusciva a smettere di apparire ogni volta che la sapeva da sola. Henry era tornato a vivere con lei, e andava a scuola, quasi ogni volta che sosteneva di farlo. Era depresso, sempre nervoso, ad un soffio dal crollo. Era sicura che, se si fosse fatta vedere da lui, sarebbe impazzito. No, doveva lasciarlo andare, lasciargli vivere la sua vita, per il suo bene. E così tutti gli altri. Certo, avrebbe dovuto farlo anche con Regina. Per il suo bene. Ma quando era sola...

Quando era sola era spaventoso. Continuava a ripensare alla spada che le affondava nel ventre, al vuoto che ne era seguito. Il sangue che usciva, che nessuno riusciva a fermare. La stanchezza assoluta che l'aveva colta. Che le aveva impedito di reagire.

Rabbia. Dio, se era arrabbiata! Aveva provato a prendere a pugni il muro, e non aveva fatto altro che affondare il braccio in quella strana consistenza che aveva la roccia, senza provare niente se non frustrazione. Aveva provato anche a colpire se stessa, ma non aveva funzionato.

Impazziva, quando era da sola. Per questo continuava a tornare da lei, nonostante sentisse il dolore che ogni sua visita le provocava.

«Sono egoista» le disse un giorno, seduta sulla sua chaise-longue, come la prima volta. Regina sedeva sul bordo del letto, le mani giunte posate sulle cosce, la schiena dritta e gli occhi lucidi.

«Da quando?» le rispose, accennando un piccolo sorriso triste. Emma non riuscì a ricambiare. Da quando sono morta, avrebbe voluto risponderle, ma forse era una bugia. In ogni caso, quelle parole l'avrebbero ferita. E avrebbero ferito anche lei.

«Io... sento quello che provi, Regina. Quello che provate tutti» le confessò con un filo di voce. Vide i suoi occhi allargarsi, la pelle perdere in parte il suo colorito e poi arrossarsi sugli zigomi. Sentì, dentro di sé, l'imbarazzo e la paura che Regina provò. Ma perché? Ah, certo. Non doveva essere piacevole essere così trasparenti per qualcuno abituato a mascherare le proprie emozioni dietro ad una buona dose di sarcasmo aggressivo. «Quindi so quanto ti sto facendo male, ogni volta» continuò. Si schiarì la voce, ma non cambiò molto. Le pareva di avere una lametta incastrata nella faringe. «Mi dispiace» disse abbassando lo sguardo, «È che sei l'unica che... Da sola non ce la faccio» riuscì ad ammettere. Tremò sotto l'intensità delle sue stesse emozioni. Del dolore che continuava a provare. Un cigolio leggero, un mutamento lieve nell'energia e nella luce della stanza. L'attimo dopo, Regina era seduta accanto a lei. Le loro spalle si sfioravano, senza toccarsi. Be', non avrebbero potuto, in ogni caso. Avevano smesso di provarci. Era troppo doloroso, per entrambe. Ecco, quello continuava a lasciarla senza fiato: la sofferenza che Regina continuava a provare per lei. Davvero non credeva che ci tenesse così tanto a lei, e saperlo ora era una tortura: la faceva sentire una merda, uno schifo per come l'aveva trattata in passato, quando non facevano altro che litigare, e ancora peggio per quello che le stava facendo ora. Ma non riusciva, proprio non era in grado di lasciarla andare.

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