Capitolo 9

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Aprì gli occhi. Era buio, ma una fonte di luce illuminava... niente. Non c'era assolutamente sotto, sopra e intorno a lei. Solo un vellutato nero, pura assenza di luce. Le pareva di poggiare su qualcosa, anche se non era così. Si sentiva stordita, confusa. Quella luce la accecava. Veniva da qualcosa che era messo di traverso, di fronte a lei. Non capiva bene cosa fosse, così avanzò carponi in quel nulla solido, nel tentativo di raggiungerlo, troppo debole per alzarsi in piedi. Mano a mano che si avvicinava vedeva volute, ghirigori e motivi di un nero lucido, metallico. Era un oggetto sottile ma immenso, altissimo. Ne vedeva la sezione, da quel lato, la luce che emanava verso sinistra, il buio assoluto alle sue spalle, lo stesso che la circondava.

Passi.

Emma si voltò, e vide Merlino avanzare verso di lei in quel nulla. Sentì la paura e la rabbia premere per trovare sfogo.

«Cosa mi hai fatto?» gli chiese invece, la voce spezzata. «Dove siamo?»

Lui si fermò a qualche metro di distanza. La fissò con un'espressione triste sul viso armonioso.

«Mi dispiace, Emma. Ho solo fatto ciò che dovevo. Sei l'unica che può regnare su questo mondo senza esserne consumata.»

Regnare? Ma di che stava parlando?

«Io non capisco...»

Il mago portò lo sguardo verso la luce. Sembrava guardasse qualcosa. Emma provò ad alzarsi, ma le tremavano le braccia. Si rese conto di avere di nuovo un peso. Si toccò la pelle. Era solida. Spalancò gli occhi, alzò lo sguardo sconvolto sullo stregone, che sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

«Io non posso restare qui, Emma. Andrà tutto bene. Tu sei forte, sei nata per questo.»

Le voltò le spalle. Emma provò a scattare in piedi, ma ricadde a terra gemendo.

«Aspetta!» urlò, ma l'uomo era già sparito nel buio.

Fissò il nulla a lungo, tremando. Lacrime fredde le scorrevano sul viso.

Per molto tempo, non si mosse. Poi si asciugò le lacrime, tornò a guardare verso la luce in quel nulla infinito. Gattonò fino ad essa.

L'oggetto era un gigantesco specchio. La cornice era fatta di quella stessa oscurità che le era entrata dentro, ma solida, come se fosse congelata in un rettangolo alto cinque metri e largo tre. I tentacoli sembravano rovi che si avviluppassero attorno alla superficie che rifletteva solo in parte l'oscurità. La maggior parte dello spazio, infatti, mostrava ben altro.

C'era Regina, rannicchiata nel suo letto, scossa dai singhiozzi, nella sua camera. Era come se fosse lì, ad un passo da lei. Emma poggiò la mano sul vetro. Era freddo. Solido. Spinse, ci batté il palmo, poi il pugno. Entrambi i pugni, con tutta la forza, ma quello non si incrinò neanche. Cercò il suo potere, cercò di materializzarsi lì con lei. Nulla.

Era bloccata lì.

Costretta a guardarla andare avanti, senza di lei. A vederla soffrire a causa sua, senza poterla aiutare.

Colpì di nuovo il vetro duro come diamante e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

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