Capitolo 6

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Non ci ho mai fatto caso. Dico, come cazzo ho fatto a non rendermene conto prima? Ogni fottuta volta che mi arrabbiavo così tanto da star male, ogni volta che provavo un'emozione davvero, davvero forte, ogni cazzo di volta succedeva. Ora accade più spesso, certo, quindi è più facile farci caso. Però era ovvio. Anche mentre partorivo, le luci erano intermittenti. Si spegnevano e riaccendevano come se un nugolo di farfalle ci stesse passando davanti. Se non fossi così incazzata mi verrebbe da ridere. È sempre stato lì, davanti ai miei occhi, e non l'ho mai visto. Vorrei darti torto, lo vorrei davvero. Stavo per farlo, sai? Fino a un minuto fa, tipo. Però... Che senso avrebbe? Te l'ho detto, sono stanca di mentire a me stessa. Voglio cominciare ad accettare le cose come stanno, anche se è tardi. Soprattutto ora che è troppo tardi.


Capitolo 6

Regina era ferma nel buio dell'ingresso vuoto di casa sua. Si guardava intorno ma, per quanto si sforzasse, non c'era traccia della presenza di qualcun altro. Eppure lo sentiva, quel palpito dovuto alla magia. Alla sua magia.

Era la terza volta che lo percepiva da quando... da quella notte. Nella cripta era troppo sconvolta dal funerale per dargli peso. Si era mescolato alla nostalgia, al dolore e alla rabbia, e non lo aveva riconosciuto. Ma ora ne era certa. Ora, dopo quello che era successo alle miniere, ne era assolutamente certa. Lei era ancora lì. Le aveva salvato la vita, ancora una volta, senza esitare. Come sempre. Ma credeva davvero che l'avrebbe perdonata per essere svanita così nel nulla? Era lì, dannazione, che aspettava a mostrarsi e parlare con lei?!

«Emma!» urlò alla casa apparentemente vuota, gli occhi che dardeggiavano alla ricerca di un movimento, un luccichio, qualunque cosa le svelasse la sua posizione. Nulla le rivelò quel dettaglio, tuttavia le lampadine lampeggiarono debolmente in tutta l'abitazione. Un sorriso feroce le affiorò alle labbra.

«So che sei qui, Swan. Fatti vedere.»

Niente, neanche uno sbalzo di corrente. Regina serrò la mascella. Attese ancora, ma lei non si mostrò.

«Che diavolo stai facendo, Emma?» mormorò, aggrappandosi disperatamente alla rabbia che svaniva, lieve, come la sabbia scivola tra le dita, portata via dal vento. «Siamo solo io e te. Sai che non hai motivo di nasconderti, non con me.»

Una lampadina si illuminò più delle altre, fino a fulminarsi. Regina rimase a fissare quel punto per svariati minuti, anche dopo che le ombre tornarono a dominare interamente la casa, ma non ricevette mai una risposta.




Si svegliò di soprassalto, con la sensazione di aver sognato qualcosa di terribile, ma senza ricordare alcunché di quell'incubo.

Riprese fiato con gli occhi chiusi nella luce del giorno. Si voltò aprendo il meno possibile le palpebre e la sveglia inutilizzata la informò che erano le nove e ventotto. Tardissimo, rispetto ai suoi standard. Non che importasse, visto che non andava al municipio da giorni.

Sbadigliò e si alzò a sedere passandosi una mano tra i capelli ingarbugliati dalla notte agitata. Fece per alzarsi, ma si irrigidì, gli occhi spalancati, la mente improvvisamente lucida. Lì, a pochi passi da lei, sulla sua chaise-longue, la Salvatrice le stava rivolgendo uno sguardo di scuse.

Rimasero entrambe in un assoluto silenzio per almeno cinque minuti, immobili. Regina riusciva a malapena a respirare. Era lì, non se lo stava immaginando. Quella sensazione, le luci impazzite, lo sguardo del mostro, non si era inventata niente. Il dolore non l'aveva fatta impazzire stavolta, almeno di questo poteva rallegrarsi; certo, sarebbe stato più semplice se avesse smesso di soffrire così tanto per lei.

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