Capitolo 4

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Se solo avessi avuto il coraggio. Col senno di poi, capire quale sarebbe stata la cosa giusta da fare è uno scherzo crudele. Tutto diventa così incredibilmente chiaro, così dannatamente semplice. Rivedi ogni tua decisione con occhi diversi, dall'esterno, e all'improvviso non puoi fare altro che darti della stupida. Ah, che idiota! Persino il primo bacio diventa una scelta opinabile. L'ultimo, poi...

Ma cosa avevo per la testa? Quale contorto meccanismo a fatto sì che mi comportassi a quel modo? Che scegliessi una persona al posto di un'altra, quand'era evidente, chiaro come il sole a mezzogiorno nel deserto, che non avrei dovuto? Che avrebbe portato solo e unicamente sofferenza?

Certo, anche nell'altra versione dei fatti, anche se non avessi fatto quella scelta, il risultato non sarebbe cambiato poi di molto. Io sarei morta comunque, e comunque a quel modo. Almeno credo.

Sì, è vero. Non è più importante, quel che è fatto è fatto. Ora resta solo ciò che posso fare.


Capitolo 4

Non pioveva, a mezzogiorno. Il terreno era ancora umido, pesante dell'acqua caduta durante la notte. Le nuvole si erano diradate, e un sole tiepido illuminava i visi smorti dei presenti. Tutta la città, tranne Gold.

C'era qualcosa di rassicurante in quella vista. Erano lì per lei, nonostante lei non potesse più essere presente per loro. Provò addirittura un senso di pace, di accettazione. Era finita. Loro avrebbero sofferto la sua mancanza ancora per un po', poi se ne sarebbero fatti una ragione. Henry sarebbe cresciuto forte e indipendente, con Regina al suo fianco. Lei, be', lei sarebbe stata impegnata con lui. David e Mary Margaret avevano un figlio a cui pensare, come il Sindaco. Leroy avrebbe avuto solo una scusa in più per bere. Archie era dispiaciuto ma calmo, forse rassegnato, poteva sentirlo anche da quella distanza. Un po' come tutti gli altri.

Quindi, forse, non era così negativa la situazione. Lei poteva continuare a star loro accanto senza che se accorgessero, magari. O forse, dopo un po' di tempo, sarebbe semplicemente svanita. Non sapeva quale delle due augurarsi. Quello che sapeva per certo era che non voleva star lì a sentire il loro dolore.

Abbandonò il suo nascondiglio tra gli alberi e si diresse verso la cripta di Regina, attenta a camminare normalmente, senza "saltare" in quel luogo. La disturbava, forse perché ancora non ne comprendeva il meccanismo.

Si ritrovò davanti alla porta chiusa. Provò a toccare la maniglia, a spingere, ma la sua mano passò attraverso la superficie. Rimase così, immobile a guardare il suo arto interrotto dalla porta scura. Poi prese un respiro e tentò.

Attraversare la pesante porta fu così semplice e rapido che le diede il voltastomaco. Un brivido la scosse all'ennesima prova della sua incorporeità.

La cripta la accolse col suo buio conforto. Ritrovò la sua nicchia al piano interrato e lì si sdraiò, grata di sentire che almeno la pietra poteva ancora sostenerla. Non riusciva ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere, altrimenti: una caduta infinita nel nulla? Mah. Meglio non pensarci. Chiuse gli occhi e cercò di placare il tumulto nel suo cuore, di non pensare, di cancellare dalla sua memoria il grappolo di persone vestite di scuro attorno alla bara che non aveva voluto vedere. Tutta la quiete che aveva provato in quegli attimi era svanita. Sentì le lacrime scorrerle lungo le tempie, ma tenne ostinatamente gli occhi chiusi e si rifiutò di singhiozzare. Che senso avrebbe avuto, in fondo?

Un chiavistello che scattava, la porta che ruotava sui cardini massicci. Emma riaprì gli occhi di scatto. Era talmente assorta dal suo sconforto che non si era accorta della tempestosa presenza in avvicinamento. Scattò a sedere e poi in piedi, ma era in un vicolo cieco. O meglio, lo sarebbe stata se non avesse saputo attraversare i muri. E magari...

I tacchi colpivano ritmicamente la pietra grigia, sempre più vicini. Emma smise di esitare e si lanciò contro una parete, ma fu uno slancio breve, controllato. Si fermò lì, trattenuta dalla rassicurante solidità della roccia, parte di essa, almeno per il momento. Era una sensazione aliena, una compenetrazione dei suoi atomi con il minerale, un bicchiere di acqua dolce versato nel mare. Non era doloroso, né le dava un senso di allarme. E vedeva, anche attraverso quello spesso strato di roccia, come se il suo viso fosse rimasto nella stanza, anche se percepiva chiaramente che non era così.

Regina si fermò a pochi passi da lei. Si guardò intorno, sorvolò la sua figura invisibile con quello sguardo indecifrabile, tanto che per un istante temette che l'avrebbe vista. Invece passò oltre, abbracciando con gli occhi foschi l'intera sala ingombra di oggetti arcani. Poteva sentire il suo potere vibrare, furioso e incatenato, come l'avvisaglia cupa e profonda di un terremoto devastante.

Il Sindaco fermò lo sguardo su un punto preciso, ma non ebbe il tempo di capire cosa stesse guardando perché, tutt'a un tratto, quel potenziale esplose, non attraverso la magia, ma con urla rabbiose e oggetti frantumati contro le pareti, un turbine di furia, finché non restò nulla di intatto salvo le pareti. Poi Regina crollò a terra, all'improvviso, lo sguardo nel vuoto e le lacrime che scendevano senza un suono lungo il viso.

Emma era senza fiato. Percepiva ogni sua emozione, e l'intensità della sua sofferenza la stava schiacciando. Si spinse con tutte le forze attraverso la parete e finalmente fu fuori, all'aria aperta, sotto ad un acquazzone. Se ne accorse a malapena, dato che l'acqua non la bagnava, solo grazie all'energia del liquido che vibrava attraverso di lei. Stordita, sconvolta, corse via da quel buco nero e, senza volerlo, almeno non consciamente, si ritrovò nel soppalco di Mary Margaret. Henry era lì. Emma si immobilizzò.

Il ragazzo era sdraiato su un fianco, sopra le coperte, ancora vestito. Le dava le spalle, e le sue si muovevano in piccoli sussulti. La sua disperazione le arrivava ad ondate, intense, devastanti. Poi un'altra emozione si unì al dolore. Fu rapida, tanto che a malapena se ne accorse in tempo, ma, un attimo prima che Henry si voltasse verso di lei con la speranza negli occhi, si spostò.

Finì al piano inferiore. In mezzo alla sala, a pochi passi dai suoi genitori che fissavano il vuoto, seduti al tavolo. Neal sonnecchiava tranquillo, fino a quel momento. Quando iniziò a lamentarsi, loro non si mossero di un millimetro, totalmente ignari della sua presenza, nonostante avrebbero potuto accorgersene anche solo con un movimento degli occhi arrossati.

Non lo sopportò.

Fuggì da lì e cercò il suo porto sicuro, la sua ancora di salvezza, l'ultima spiaggia. Ma la Jolly Roger era deserta e il suo capitano era svenuto sul letto, con un'altra bottiglia vuota accanto.

Scappò.Corse finché poté, poi attraversò per sbaglio un albero, il suo albero, quelloda cui era uscita da neonata, quando si ritrovò nel cuore della foresta. Roteòsu se stessa finché resistette, poi urlò al cielo e alla pioggia tutto il suodolore. Le rispose un tuono potente, e nessun altro.

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