Capitolo 8

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Non so se sia possibile, quello che mi chiedi. Di sicuro voglio provarci. Non voglio più rinunciare a loro.

Spesso ho creduto nell'impossibile negli ultimi, quanto, sei, sette anni? Quindi, sì, posso fare uno sforzo e crederci ancora una volta. In fondo, non ho niente di meglio da fare, no?

Spero davvero che tu abbia ragione. Lo spero con tutto il cuore.


Capitolo 8

Buio.

Non c'era nient'altro.

Era così che finiva, dunque? Nel buio? Be', non era un granché, considerato quanto ancora faceva male. Un dolore che non riusciva a sopportare.

Sperava che sarebbe finito, che avrebbe smesso di provarne così tanto, e invece era ancora lì, a torturarla. Per sempre.

Ma che aveva fatto di così tremendo per meritarsi tutto questo?
Se quello era l'inferno, funzionava alla grande.

Batté le palpebre. No, non era del tutto buio. Un po' di luce c'era, filtrava appena da qualche parte, da sopra. Si alzò, rendendosi conto solo in quel momento di essere stata sdraiata. Sulla pietra. Conosceva quella pietra.

Sospirò, un mero retaggio di una vita che non possedeva più. Era ancora nella cripta. Non era cambiato niente, a parte che il suo cuore morto si era spezzato.

In piedi, ancora una volta. Non vedeva quasi nulla, ma sentiva le pareti attorno a sé come una rassicurazione lieve, muta. Si avvicinò ad uno dei muri e lo attraversò con un piccolo sforzo.

La foresta la accolse nella notte inoltrata. L'umidità bagnava i fili d'erba, rendendoli lucidi nel buio, e scurendo le cortecce degli alberi neri. Si incamminò tra di essi. Che altro poteva fare?

Vagò nel bosco finché non seppe più dove si trovava. L'idea di perdersi non la spaventava più, forse perché non era una reale possibilità, data la sua capacità di materializzarsi ovunque in un istante.

Si chiese dove fosse Regina, cosa stesse facendo, ma si rispose in fretta che dormiva nel suo letto come ogni notte per scacciare la stilettata di dolore. Non poteva pensare a lei, non ora. Magari, tra un po' di tempo, ci sarebbe riuscita senza crollare in pezzi.

Sentì un'oscillazione alle sue spalle, un movimento, ma quando si voltò non vide nulla tranne file e file di tronchi scuri, felci e muschio lucido. Rimase in ascolto. Percepiva qualcosa, un'inquietudine lieve, appena accennata, che riusciva a cogliere a stento.

Un altro movimento, alla sua destra. Ma non c'era niente.

Merda.

Ruotò su se stessa, senza notare un singolo dettaglio che potesse giustificare il senso di allarme che sentiva dentro di sé. Poi successe di nuovo, dietro di lei, e stavolta quando si voltò vide qualcosa di simile ad un'ombra svanire nel nulla.

«Cazzo.»

Si concentrò, pregando che funzionasse. Si guardò il palmo, ma era inerte, la fiamma che si stava sforzando di far apparire rimaneva un pensiero. Sentì la paura assalirla.

Vide un'altra ombra muoversi alla sua sinistra con la coda dell'occhio. E poi un'altra, sopra di lei.

Non attese che ne arrivassero ancora e scattò di corsa tra gli alberi. Pensò alla cripta, di trovarsi lì. Sentì il panico prendere il sopravvento quando si accorse di non riuscire più a spostarsi.

Le ombre le inseguivano, sfrecciando tra gli alberi. Erano dense, lucide, oscurità scintillante. E emanavano qualcosa, una sensazione, qualcosa di indefinibile, ma che la terrorizzava.

Corse tra gli alberi, passandoci attraverso, sperando di dirigersi verso la cripta. Provò di nuovo a materializzarsi lì, senza successo. Le tenebre erano sempre più vicine.

Una figura ammantata le si parò davanti, e fu costretta a fermarsi. Si guardò alle spalle: l'ammasso nero e gorgogliante era fermo dietro di lei, sospeso a mezz'aria, e allungava le sue appendici tutt'intorno, bloccandole ogni via di fuga.

Si voltò verso chiunque fosse l'uomo di fronte a lei.

Quindi era così che finiva. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi. Forse era un bene. Forse avrebbe smesso di soffrire, finalmente.

«Emma.»

Quella voce... era sicura di conoscerla. Fece un passo avanti, tanto ormai che aveva da perdere? Cercò di guardare sotto all'ampio cappuccio, e l'uomo la agevolò, togliendoselo. Emma spalancò gli occhi.

«Merlino» sussurrò, incredula.

Il mago la fissava con un'espressione strana. Sembrava felice di vederla e dispiaciuto allo stesso tempo. Terribilmente dispiaciuto. Stava per fargli un milione di domande quando lui parlò.

«Ricordi cosa ti ho detto?» le chiese. Le venne da ridere. Come se le avesse detto una sola cosa, da quando lo aveva incontrato in quel cinema, la prima volta.

«Dammi un aiutino.»

Lui sorrise, ma sembrava ancora così dannatamente dispiaciuto...

«Ti ho detto che qualcuno, prima o poi, sarebbe stato forte abbastanza da usare l'oscurità per il bene. Quella persona sei tu. Per questo sei la Salvatrice.»

Emma sentì quelle parole rimbombare in ogni fibra del suo essere, come se la sua anima non aspettasse altro che qualcuno le pronunciasse. Come se lo avesse sempre saputo. Eppure, nulla di quello che il mago ha detto ha senso.

«Ma che stai dicendo? Non posso fare più niente...» riuscì a stento a finire la frase. Si morse la lingua per non singhiozzare.

Lo sguardo di Merlino si fece implacabile, quasi spaventoso, ma quella nota di dispiacere non se ne andò, anzi, si intensificò.

«È il tuo destino, Salvatrice.»

Lo stregone alzò le mani. Emma fece appena in tempo a voltarsi che l'oscurità la avvolse, trapassandola con le sue spire. Urlò di dolore, di paura, di disperazione. Poi svanì nel nulla.

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