Tornare a casa
Fa freddo.
Di quello che ti entra nelle ossa.
Continua a camminare, gli piace, nonostante il clima e i brividi che lo scuotono fino alla punta dei piedi. Si stringe nel cappotto, tirando su il bavero almeno per provare a fermare quel vento gelido dietro la nuca.
Manca ancora poco e poi sarà a casa, ad attenderlo un piacevole tepore e il sorriso di chi ha smesso finalmente di nascondersi. Labbra tutte per sé e per nessun altro. Labbra che ha salvato quando la neve era solo un ricordo, strappandolo da dita viola che si facevano via via più nere.
Pochi passi ancora e dietro la curva lo attende casa, lo attende lui.
È ancora presto per tornare fuori, lo sa, anche se ha provato a piccoli tratti, ogni giorno uno di più, ma il corpo è ancora debole e l'anima ancora a brandelli, come quei puzzle che tieni da così tanto tempo da esserti perso più di un pezzo, e puoi metterci tutta la volontà di cui disponi, ma rimarranno per sempre dei buchi, macchie nere sul tavolo che nessuno mai sarà in grado di chiudere.
Lui è un po' così, il suo grosso puzzle che con pazienza ha cercato di ricostruire, nel fisico e poi più dentro, ed ora lo aspetta a casa.
È sicuro di trovarlo davanti al camino a leggere l'ennesimo libro – gli ha promesso di portargli alcuni volumi nascosti nella parte più profonda e vecchia del Ministero, alcuni tomi pesanti più del suo stesso corpo che, a detta sua, gli sono utili per una ricerca che gli frulla per la testa da parecchio come il più agitato dei Boccini –, probabilmente con una tazza di caffè in mano, nero e amaro come solo lui sa essere.
La porta è a pochi passi da lui, oltrepassa il piccolo cancello e si ferma per un attimo a guardarsi intorno, il giardino curato – dalle sue mani, ovvio, lui non sarebbe in grado neppure di badare alla più semplice delle piante – e il patio in ordine. La luce filtra dalle finestre e più in alto vede il comignolo fumare come il più incallito dei tabagisti.
Sorride, per un attimo pensa al mago che è un po' il suo segretario, quello che appena può corre da qualche parte ad accendersi una sigaretta, Nathan qualcosa, si dimentica sempre il suo cognome, forse perché all'uomo con cui divide la casa e la vita non è mai piaciuto. Non lo sa il motivo, si sono incontrati appena un paio di volte quando è venuto a portargli a casa alcuni documenti che doveva visionare con urgenza.
Uno Stupido Vizio Babbano, lo chiama sempre, anche quando alla televisione vedono qualche programma, lui grugnisce e sputa quell'insulto, e il suo orgoglio tutto Grifondoro lo porta a voltarsi verso di lui, e a ricordargli tutto ciò che i maghi hanno compiuto di malvagio pur potendo far del bene con un solo colpo di bacchetta.
Lui risponde sempre con un'alzata di spalle e torna poi al televisore.
È sempre così tra di loro, quello strano rapporto costruito sui silenzi e piccoli gesti, emozioni da scoprire dietro agli sguardi, in quegli occhi che per anni si sono soltanto odiati, respinti e nulla più; e continuano ad essere silenzio e piccoli movimenti, strane crepe che non riescono a colmarsi.
La maniglia è fredda, la temperatura è scesa così tanto in quelle ore che gli sembra di toccare un pezzo di ghiaccio, un piccolo iceberg tra le dita che gli squassa la pelle e la carne fin dentro all'animo stesso.
Si è di nuovo dimenticato i guanti a casa, lo sa e sa che lo sgriderà ancora per la sua sbadataggine e per quanto poco si curi di se stesso, ma non lo fa apposta, anche se, inconsciamente, adora quella sua preoccupazione negli occhi, in quei frutti neri che scintillano quando corre arrabbiato verso di lui e gli afferra le mani per scaldargliele. Un gesto che ama, che sa di vita e di tenerezza.
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Tornare a casa
Hayran Kurgu"Sempre la stessa storia, le stesse parole che a lui non va di sentire, che non vuole ascoltare neppure per un tempo infinitesimale. Stanno bene insieme, lì, nella loro casa, perché devono lasciarsi? Perché buttare tutto all'aria per delle parole? P...