3. La partenza

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Per la prima volta riesco a comprendere le persone che soffrono il mal di mare. Non mi è mai capitato perché sono cresciuto su una barca a vela, ma il treno sfreccia ad una velocità tale che sento una morsa opprimermi il petto e la bile pungermi in gola. È una fortuna il fatto che non abbia mangiato nulla prima della mietitura, dal momento che dopo auto e treno il mio stomaco è sottosopra. Betty mi consiglia di guardare fuori dal finestrino e per un momento provo la meravigliosa sensazione del vento che mi sferza la faccia, cosa alquanto rara nel mio distretto, dove il massimo al quale si può aspirare è un leggero venticello estivo. Vedo alberi e arbusti sfrecciarmi davanti  e so che potrei rimanere ore a contemplare quello spettacolo, ma Betty decide di  accompagnare me ed Emmeline nelle nostre stanze. La parola stanza è un eufemismo, poiché la mia è grande quasi il doppio della mia casa nel distretto 4, ma immagino che per Capitol City sia nella norma.

–Avete mezz'ora prima della cena. Vi consiglio di cambiarvi o di fare una bella doccia. Troverete tutto ciò che vi occorre, ma se avete bisogno di altro la mia stanza è quella là in fondo– ci informa Betty facendo un cenno in direzione dell'ultimo vagone.

–A dopo ragazzi– mi rivolge un sorrisetto che probabilmente cela milioni di significati, di cui non riesco a coglierne neanche uno, e si allontana.

Osservando il mio appartamento più nei dettagli ed esaminandone ogni singolo angolo, scopro che c'è davvero tutto ciò che mi serve e anche di più. Sul letto trovo un morbidissimo pigiama di un azzurro tenue, che mi ricorda il cielo a mezzogiorno, in netto contrasto con il verde acqua del mare. Sul comodino c'è una sveglia e nei cassetti trovo un quadernetto con qualche penna. Apro l'armadio e scopro un numero esorbitante di vestiti.  Anche il bagno è un po' più grande del necessario, dotato di vasca da bagno, doccia e soprattutto corrente di acqua calda. Nel distretto 4 non c'è l'acqua calda, il massimo a cui si può aspirare è una corrente di acqua congelata. Nel peggiore dei casi un bagno nel mare è più che sufficiente e personalmente è l'alternativa che più preferisco, perché il sale mi resta sui capelli, il corpo e persino i vestiti e quell'inconfondibile sapore mi fa sentire in qualche modo a casa.

Mi riscuoto dai miei pensieri malinconici ed opto per una doccia veloce. Mi cambio, malgrado i miei vestiti siano una delle poche cose che mi ricordano il mio distretto e tutto ciò che mi sono da poco lasciato alle spalle, e mi distendo sul morbidissimo letto, cercando di rilassarmi, il che ovviamente mi riesce quasi impossibile, così decido di passeggiare all'interno del vagone. Uno dei miei passatempi preferiti è contemplare la natura e osservarne i più piccoli e meravigliosi dettagli, ma in questo caso posso concentrarmi solo sulla velocissima sequenza di paesaggio che scorgo dal finestrino, sul tessuto delle tende o sugli ornamenti di quelle lussuose stanze. Nel vagone destinato alla cena trovo Emmeline seduta su un divanetto. La saluto con un gesto della mano e lei mi fa cenno di sedermi. Chiacchieriamo per un po' anche se dentro di me so che non dovremmo. Mi sembrava una ragazza così familiare perché era una mia compagna di scuola, ma faceva parte di un gruppo di ragazzine tranquille che rimanevano sempre lontane dal resto del mondo, appartenendo alla parte più povera del distretto, distinta dal colore dei capelli e degli occhi, che invece di essere chiari sono castani e color nocciola. È così povera ed esile e, come già constatato, non sembra avere alcuna possibilità di vincere, ma è gentile e intelligente. Talmente gentile che in situazioni normali la reputerei addirittura una possibile amica. Sono bravo a fare amicizia e a parlare del più e del meno con chiunque mi capiti davanti, ma non riesco ad instaurare un rapporto profondo con le persone, al di fuori delle battute e delle chiacchierate inutili, così finisco per tenermi tutto dentro e non rivelare niente a nessuno, trovando conforto negli oggetti come il mare ed il tridente. Tuttavia, conoscendo metà delle persone del mio distretto, riesco a capire la mente di ognuno di loro e a farmi un quadro generale della loro personalità. Per questo motivo capisco subito che Emmeline è una di quelle poche persone all'interno del nostro distretto a provare qualcosa di più di pensieri velenosi o insulsi riguardanti l'aspetto esteriore. Ebbene sì, perché passiamo metà del nostro tempo a giudicare il popolo di Capitol City per il loro modo di fare, ma la verità è che siamo più vicini a loro di quanto crediamo. Almeno questa è la conclusione che ho tratto venendo a conoscenza di una parte del mio distretto - quella più ricca e benestante- della quale, per inciso, Emmeline non fa parte e per certi aspetti nemmeno io, o almeno spero sia così. Questo spiega la mia sensazione di essere fuori dal mondo e dalla società, perché per quanto mi sforzi di essere un duro come mio zio o uno che ama i pettegolezzi e le chiacchiere come tutte le persone che mi circondano, tutto ciò non mi interessa. E così mi ritrovo ad osservare la natura, perché a volte il silenzio è il meglio al quale posso aspirare e per quanto spesso la solitudine non mi piaccia, mi aiuta a sentirmi in pace col mondo e non necessariamente un estraneo. Con Emmeline tutto questo sembra differente, perché non sento il bisogno di essere diverso da ciò che sono e so che lei non mi giudicherebbe come fanno tutti.

FINNICK ODAIRDove le storie prendono vita. Scoprilo ora