La voce di Betty Evensburg pronunciare il mio nome mi risuona nella testa e di colpo vengo attraversato da una miriade di emozioni contrastanti, dalla paura, all'orgoglio, alla rabbia. Per un momento mi viene quasi l'impulso di correre a perdifiato verso il mio rifugio sulla spiaggia, evitando di affrontare ciò che mi aspetta, ma capisco subito che è una follia. Con tutta la forza di volontà di cui dispongo, stringo i pugni, serro la mascella e mi muovo a piccoli passi attraversando la piazza, con gli occhi di tutti i presenti puntati contro. Raggiungo la pedana di legno a testa bassa, cercando di nascondere le mie emozioni, finché non mi decido a prendere coraggio e osservo l'intero distretto affollato in piazza. Invece di prestare ascolto al discorso del sindaco, cerco mio zio tra la folla. I nostri sguardi si incontrano e percepisco la sua tristezza e consapevolezza di non poter agire. Probabilmente aveva sperato che qualcuno si offrisse volontario al mio posto ma, malgrado la mia giovane età, nessuno metterebbe in dubbio le mie capacità di sopravvivenza. Mi sento improvvisamente triste, perché so che affrontare questo momento una seconda volta, pensare di aver visto le uniche persone importanti della sua vita a un passo dalla morte per una tragica ironia della sorte e per puro divertimento di altri, lo distrugge. Dopo pochi secondi rivolgo nuovamente lo sguardo verso il basso e cerco di distrarmi in ogni modo possibile. Sollevo la testa per avvicinarmi alla ragazza sorteggiata. I suoi occhi color nocciola sono pieni di terrore, probabilmente come i miei, ma leggo anche qualcos'altro nel suo sguardo: solidarietà, comprensione, speranza. La sua bocca si piega in un lieve sorriso, non so come faccia a sorridere in questa situazione, ma per un momento ne rimango quasi incantato, come una piccola luce capace di rendermi sicuro e di fare del bene. La ragazza sembra percepire la mia tensione, forse per la stretta fin troppo solida che le rivolgo, ma al contatto con la sua mano candida e delicata il mio corpo si rilassa, in maniera forse impercettibile, e nonostante la ragazza sembri così fragile, riesce a diffondermi un tipo di sicurezza che non credevo di possedere. Mi costringo a scuotermi da quell'istante d'incanto e mi concentro in modo oggettivo sulla ragazza. Dal corpo esile e i vestiti malandati, capisco subito che non sarà un avversario da temere. Poi però ripenso a quel volto angelico e a quel lieve sorriso e so che sarà più difficile da uccidere, se non impossibile. Una parte di me si pente subito di aver pensato in un modo così crudele, ma sento la voce di mio zio rimbombarmi in testa e decido di lasciare i miei sentimenti da parte, almeno in pubblico.-Un applauso ai tributi del distretto 4!- dichiara Betty Evensburg. Tutti applaudono senza entusiasmo, come sempre. La parte di ragazzi addestrati con me che si trova in un angolino a destra, esulta sollevando un pugno verso l'alto. È una cosa che fanno spesso, rivolta ai propri compagni perché per loro è un onore e un orgoglio essere sorteggiati, così imito il loro gesto, ma senza sorridere. Mi hanno addestrato per tutta la vita a sopravvivere all'interno dell'arena, ad essere sicuro di me, ma ora che ciò per cui mi preparo dalla nascita si è avverato, mi sembra tutto così diverso e complesso. Improvvisamente mi rendo conto di non essere pronto ad affrontare questo momento, mi sento impotente, come le mie vittime infilzate col tridente un istante prima di perdere la vita, quando sanno di non avere alcuna possibilità di sopravvivenza. C'è una sottile differenza tra me e loro, cioè il fatto che io lotterò, forse non come chi ha una famiglia che lo aspetta o come chi lo fa per orgoglio. So solo di doverlo fare. Non perché tenga in particolar modo alla mia vita o perché mi terrorizzi l'idea di morire, sono stato vicino alla morte più di chiunque altro, come quella volta in cui stavo per annegare o quando un mio compagno mi ha conficcato involontariamente una freccia nella schiena. In quei momenti sapevo di essere a un passo dalla morte, eppure non mi importava granché. Sarei potuto morire in tanti modi, solo non così. Non come un ragazzo che non ha il fegato di uccidere, o come chi è sempre stato un privilegiato, non abituato a soffrire la fame. Non voglio essere una vittima della crudeltà di Capitol City, non nello stesso modo in cui lo è stato mia madre. Prima di metabolizzare questa decisione, l'inno si conclude e vengo trascinato nel palazzo di Giustizia da un paio di Pacificatori. In un primo momento mi sforzo di rilassarmi e di mantenere la calma, cercando di concentrarmi sulle stradine tortuose, l'odore di pesce o le piccole cose che potrei vedere per l'ultima volta nel mio distretto, ma nel momento esatto in cui varco la soglia di quel possente palazzo marmoreo, le mie gambe incominciano a cedere. percepisco la fronte imperlata di sudore e i miei polmoni che bramano aria. Osservando l'immenso ingresso e i favolosi ornamenti disposti, un vivido ricordo fa capolino nella mia mente. Dovrebbe essere un ricordo vago, avevo solo un paio d'anni e a malapena ero in grado di camminare. Ero mano nella mano con mio zio, partecipammo ad una cerimonia in onore dei tributi morti e ricevetti una medaglia in onore di mia madre. Di solito vengono date ai figli delle persone morte con rispetto. Da piccolo me la tenevo stretta, sentendomi in qualche modo più vicino a lei e guardavo in alto, ripensando ai racconti di mio zio secondo i quali lei doveva trovarsi in cielo, ma quando ho compreso la vera ragione del suo decesso, ho deciso di buttarla in un remoto angolo della mia stanza, per cercare di dimenticare le ingiustizie e le atrocità che ha subito, o la disperazione nel volto di mio zio il giorno della mietitura, o il suo sguardo nostalgico quando mi guarda intensamente negli occhi e so che sta pensando a lei. Ci sono molte cose di cui ho sofferto nella mia vita e quella medaglia sembra racchiuderle tutte, insieme al palazzo della Giustizia. Così da un momento all'altro so di essere fragile come una bolla di sapone, in grado di rompersi al primo soffio di vento e finché non raggiungo una stanzetta lontano dai miei ricordi del passato, non riesco a mantenere la calma. Appena rimango solo nella stanza e so di non avere telecamere puntate contro, cerco di fare respiri profondi, per riprendermi dallo shock. Questo è il momento in cui i tributi hanno la possibilità di incontrare i propri cari prima di partire. Mi guardo intorno cercando qualcosa che mi aiuti a smorzare la tensione, e faccio appena in tempo a calmarmi che mio zio viene a farmi visita. Non sembra notare il mio sguardo stravolto, così mi illustra delle tattiche per riuscire a vincere e cerca di farmi ripetere quelle che mi ha insegnato in precedenza. Io non lo ascolto più di tanto ma faccio cenno con la testa ogni tanto.
-Se non troverai un tridente nell'arena cercherò di fartelo avere, ma tu cerca di guadagnare sponsor. Ricordati le mosse che abbiamo provato insieme-. Provo ad ascoltarlo ma non ci riesco, ripensando a all'arena e ciò che dovrò affrontare, le armi, il sangue... e poi ripenso a mia madre, a quella medaglia, a quel palazzo, alla mia tragica infanzia...
Sento mio zio chiamarmi e ritorno nel mondo reale
-Che hai detto?-
-Dicevo che nel caso avessi problemi ad uccidere qualcuno, ricorda che loro non esiteranno a uccidere te, non è poi così diverso da pescare.- mio zio mi conosce fin troppo bene, e sa che uccidere mi fa ribrezzo, per questo so di non potergli mentire, dicendo con orgoglio che non avrei problemi.
-Si che è diverso, zio. Lo sai benissimo- dico in tono sommesso, con una punta di tristezza nella voce, cercando di ricacciare le lacrime. Ripenso al suo sguardo triste e desolato in piazza e mi costringo a essere forte. - ma ti prometto che farò qualsiasi cosa pur di vincere.-
Lui si alza, probabilmente fiero delle mie parole e mi abbraccia. Nel mio profondo so di aver detto ciò solo perché questo lo avrebbe reso fiero di me e ho pensato che un'immagine di un ragazzo sicuro, apparentemente senza paura lo possa tranquillizzare. -So che ce la puoi fare, ricorda ciò che ti ho detto...- sento il suo inconfondibile odore di sale e brezza marina che conosco così bene invadermi il corpo e che non può che farmi pensare a tutti i momenti in sua compagnia, finché non si scioglie dall'abbraccio, mi prende il viso tra le mani guardandomi dritto negli occhi azzurri e penetranti. Esita un attimo, poi dice
- ma anche se non vincerai per me sarai sempre il migliore.-
mio zio non è un uomo dalle mille parole, e non posso che apprezzare la sua ultima frase, perché probabilmente è la cosa più dolce che mi abbia mai detto, così decido di abbracciarlo nuovamente e di non allentare la presa finché le guardie non gli ordinano di andarsene. La sua stretta è solida e forte come una roccia ma invece di infondermi sicurezza mi fa sentire ancora più piccolo e intimorito come un'onda che si dissolve al suo scontro.
Ho cercato il più possibile di trattenere le lacrime ma alla fine non ce l'ho fatta e iniziano a scorrere a fiotti sul mio viso. Cerco di nasconderle quando entra Betty Evensburg e so che devo partire.

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FINNICK ODAIR
Fiksi PenggemarSappiamo tutti che Finnick ha collaborato con Katniss per la rivolta. Sappiamo che è stato il vincitore più giovane degli Hunger Games e che in pochi giorni è riuscito a far fuori tutti i concorrenti. Finnick Odair è una specie di leggenda a Panem...