Capitolo 11

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JON

Le dita continuano a pigiare meccanicamente la tastiera, le palpebre socchiuse restano a fatica aggrappate al display, illuminato dalla luce bianca che non riesco più a sopportare. Mi strofino gli occhi con una mano, sentendo la stanchezza premere sulle tempie, stridere sul collo.

«Forza andiamo» mi incita Klaus, spuntando alle mie spalle. I primi bottoni della camicia aperti, i capelli neri che gli contornano i lineamenti asiatici, gli occhi tirati.

«No, devo finire di scrivere questo ricorso» mugugno, cliccando nervosamente sulla freccia backspace, cancellando le uniche righe che avevo scritto finora.

«Lo fai domani, tra due ore abbiamo gli allenamenti: muovi quel cazzo di culo capitano» mi sbeffeggia, piazzandosi dietro lo schermo. Pigramente sollevo lo sguardo, notando la desolazione intorno a me, le scrivanie semi vuote bagnate dalla luce arancione del tramonto che filtra dall'immensa vetrata.

«Lo faccio adesso!» puntualizzo inflessibile, portandomi scocciato  i capelli indietro. Sa bene che non sopporto lasciare le cose in sospeso, mi conosce troppo bene per insistere.

Lo sento sbuffare sonoramente, stravaccandosi sulla sedia dinanzi alla scrivania. «Dio, non potevo avere un amico normale, spacciatore che ne so, invece che un precisino con un palo nel culo» borbotta irrisorio, portando gli occhi al cielo.

Lo guardo di traverso, nonostante abbia pienamente ragione. «E' andata via la signora Miller?» le parole sfregano tra le labbra, l'immagine di quella donna con il viso gremito di lacrime mi riempie la testa da ore ormai.

«Sì, poco prima che tu tornassi dal tribunale» emette sterile, lasciando la scia di un silenzio accorato, sfregato da mormorii lontani, rumori di stampanti e tastiere.

«Jon...tu lo sai che non hai colpe per quello che è successo a suo figlio vero?» si accerta, mitigando il tono. Le iridi scure restano fisse sulla mia faccia, i lineamenti si disegnano di comprensione.

«Cambia qualcosa?» lo rincalzo, fingendomi impassibile, ma dentro brucio di rabbia, roghi che non riesco a spegnere.

«Sì, cambia tutto» precisa fermo, raddrizzando la schiena. «Tu avevi scritto l'istanza di trasferimento immediata per problemi psichiatrici gravi, è stato Perez a non presentarla. È solo ed esclusivamente colpa della sua negligenza se quell'uomo si è ammazzato, non tua» sancisce severo, ed una morsa mi comprime lo stomaco, perché trovare un colpevole non mi fa stare meglio. Io mi sento ugualmente le mani sporche del suo sangue, la coscienza macchiata da un sistema che non voglio rappresentare, ma lo sto facendo comunque, alimentando i suoi ingranaggi corrotti. E più mi spingo dentro questo viluppo, più penso che questo lavoro non faccia per me, perché non sono disposto a scendere a compromessi. Io proprio non ci riesco.

«Sei solo un praticante, vai ancora all'università, cosa volevi fare di più?» domanda retorico, e per quanto sia vero, sono convinto che avrei potuto fare qualcosa per evitarlo, qualsiasi cosa.

«Se non fosse stato un caso pro bono, se il signor Miller fosse stato un manager, sicuramente le cose sarebbero andate diversamente, ma..»

«Ma siccome era un povero morto di fame, tra l'altro di colore, poteva marcire in carcere, nonostante avesse dichiarati problemi psichiatrici, e tendenze suicide» continuo incolore, ed ogni parola è un ago rovente sulla lingua,. «Lo so...» ammetto, perché non ho bisogno che mi dia spiegazioni, conosco benissimo come dovrebbe funzionare il sistema giuridico, e come invece funziona. C'è una gerarchia, e come sempre, è il denaro quello che classifica le persone, la loro difesa. La legge non è uguale per tutti, ma solo per coloro che hanno i soldi per comprarsela e questo mi fa schifo, cozza contro tutti quei principi di democrazia che ti inculcano in testa, che sono solo teorici. Ma la verità è un'altra.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 07, 2020 ⏰

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