Capitolo 1

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"Ciao! Sono Ella Sanchez e sono Italo-americana. Padre americano e madre Italiana. Vivo in Italia per volere di mia madre, che ora non c'è più nella mia vita, né lei né mio padre. Lavoro nel mio studio da ginecologa, per il momento ho solo due pazienti, ma mi sta bene, visto che ho aperto solo da cinque mesi. Tra circa un mese, o tre settimane, dovranno partorire tutte e due. Sono felice di questo, perché vuol dire: PRIMA VOLTA CHE FACCIO PARTORIRE UNA PAZIENTE DA QUANDO HO APERTO LO STUDIO! Bussano al campanello e così vado ad aprire. Apro lentamente la porta e davanti a me si mostra, con il suo pancione, Melany e il suo fidanzato Stan. <<Ciao, entrate pure.>> Dico, dando a loro la possibilità di entrare. Mi faccio seguire fino alla mia postazione da visita che ho nel mio ufficio. Faccio stendere Melany sul lettino e incomincio la mia visita. <<Allora...siete entusiasti di questa penultima visita?>> Chiedo mentre preparo il gel. <<Molto.>> Commenta Stan, dopo aver guardato negli occhi la moglie. Appoggio lo strumento sulla pancia di Melany, così che si possa vedere il bambino. <<Guardate come si è fatto grande! Cresce davvero bene. Melany, stai portando avanti una meravigliosa gravidanza.>> La guardo e lei sorride con le lacrime agli occhi mentre guarda il suo bambino. Stan accarezza sua moglie, nel tentativo di farla calmare, ma cade anche lui nella trappola e incomincia a piangere. <<Dai non piangete!>> Dico, mentre mi asciugo una lacrima. Finiamo la visita e ne fissiamo una la settimana prima del ricovero all'ospedale per il parto cesareo e poi se ne vanno. Rimango nel mio studio tutto il giorno a sistemare alcuni documenti riguardanti le spese per lo studio . Alle 15:00 esco dallo studio, attraverso, come se non fosse nulla, un piccolo cantiere, non chiuso, per creare una scorciatoia.

"Lo so che è illegale però se devo fare il giro sono trecento metri in più ed io sono pigra e non mi va di farli. E poi...questo cantiere sembra abbandonato: ha solo la struttura di un palazzo di tre piani fatto da travi di ferro e non ci sono neanche le barriere per limitare la zona e non far entrare nessuno." Esco dal cantiere e vado dritta verso il solito bar. Mi siedo su uno sgabello vicino al bancone e aspetto Cameron, il mio migliore amico. <<Ciao Ella!>> Cameron mi saluta da dietro il bancone, mi fa ordinare e poi se ne va. Poco dopo ritorna da me con una gassosa e un hamburger. <<Allora, come va a lavoro?>>  Mi chiede mentre serve un altro cliente. <<Tutto bene, a parte il fatto che ho aperto solo da cinque mesi e quindi ho pochi clienti, però per il momento va bene così. Sono sicura che diventerò una delle dottoresse più famose d'Italia!>> Dico, esaltandomi non poco. Cameron  mi sorride contento e poi continua a servire i clienti.

"Cameron è il mio migliore amico. Non so cosa farei senza i suoi consigli e il suo appoggio. Solo il pensiero che un giorno potremmo non essere più amici mi fa male. In pratica è una delle persone più importanti della mia vita, non che ce ne siano tante." Esco dal bar dopo aver pagato e salutato Cameron. Cammino per arrivare a casa quando ad un tratto mi sento osservata. Mi giro ma non c'è nessuno. Dopo dieci minuti che sto camminando mi accorgo che una Mercedes nera è sempre dietro di me al che decido di correre. Corro il più veloce che posso arrivando a casa sudata marcia nonostante faccia freddo. Salgo con l'ascensore, e quando arrivo al mio piano mi precipito ad entrare in casa dopo aver salutato Laura, l'anziana vicina che abita di fianco a me che stava per chiudere la porta dopo essere rientrata a casa. Mi chiudo la porta alle spalle e faccio un lungo sospiro. Poso la borsa e il cappotto all'entrata e poi mi dirigo verso la mia camera da letto. Predo tutto ciò che mi serve per cambiarmi visto che ho corso così tanto che sono impregnata di sudore. Mi ficco sotto al getto d'acqua dopo aver aspettato che la temperatura sia come piace a me. L'acqua mi cade addosso come una cascata cade in un lago, facendo l'effetto che fa a tutti gli esseri umani: incomincio a pensare. Penso alla mia vecchia famiglia, a quello che eravamo, a ricordi belli, brutti e poi a mio fratello. Mi soffermo su di lui e immagino, ancora una volta, quella sera, la sera in cui lui mi lasciò nella speranza che potesse rendermi la vita più facile, con la speranza di allontanarmi da tutti i suoi problemi e che i nostri genitori potessero essere più clementi con me. Non ci vuole un genio per capire che non fu così. Esco dalla doccia con l'umore a terra. Mi vesto, asciugo i capelli e poi mi stendo sul letto per il mio sonnellino pomeridiano, che poche volte viene rispettato. Chiudo gli occhi e quasi subito mi addormento. Dopo la giornata di oggi, tra: noia in mezzo a tutte quelle carte in ufficio, il rumore assordante in quel bar, lo stalker che mi inseguiva con la macchina e poi pure la corsa, credo che un po' di tranquillità me la merito.

Sei semplicemente miaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora