Capitolo 3

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21 luglio 2017

Mi sveglio confusa, cercando di capire se sto ancora sognando o no. A svegliarmi non è stata la sveglia del telefono e subito mi prende il panico. "cazzo! spero di non essere in ritardo", dico ansiosamente, mentre allungo il braccio nel tentativo di prendere il cellulare posto sul comodino. Ci riesco quasi, ma all'ultimo momento mi scivola la mano verso sinistra e faccio cadere per sbaglio la cornice con la foto di mia madre. In pochi secondi mi alzo dal letto precipitandomi per terra per raccoglierla e noto che il vetro si è rotto. Lentamente la raccolgo, passando la mano sul viso di mia madre, ma ciò mi causa un taglio. "Ahia!" ansimo, mentre mi porto la cornice al petto per sentire mia madre vicino a me. Sono passati dieci anni, dieci lunghi anni da quando lei non c'è più. È ancora in ospedale, in coma, mi manca la sua presenza, mi manca averla accanto a me e soprattutto mi manca la sua voce. Ogni volta che ero giù di morale lei sapeva sempre come consolarmi, e vorrei tanto che lei fosse qui in questo momento. "Emily tesoro, stai bene?" mi domanda una voce familiare mentre si china e mi posa una mano sulla spalla. Mi volto asciugandomi il viso rigato dalle lacrime "si nonna sto bene, non ti ho sentita entrare, scusami" le dico a bassa voce. "Ho bussato un paio di volte ma non mi hai sentita, ho cercato di fare piano perché non volevo svegliarti nel caso in cui tu stessi ancora dormendo" risponde, spostando la mano che aveva prima sulla mia spalla nel viso e asciugandomi un'altra lacrima che stava scendendo. "C'è una sorpresa per te" sorride e rivolge lo sguardo sulla porta dietro di noi "Entra pure". Dal pavimento intravedo una figura maschile, alzo lo sguardo lentamente verso l'alto e rimango stupita da ciò che vedo davanti "Nate cosa ci fai qui?!" esclamo entusiasta posando la cornice delicatamente sul letto prima di correre verso di lui per abbracciarlo "Mi sei mancato così tanto" confesso abbracciandolo così forte da farlo indietreggiare un po' e sbattere contro il muro "scusa" dico ridendo "è solo che sono così felice di averti finalmente qui" sono passati mesi dall'ultima volta che l'avevo visto. "Mi sei mancata anche tu" risponde, posando entrambe le sue mani sul mio viso "sono così felice di poterti rivedere" dice riprendendo ad abbracciarmi "anche io". Ci stacchiamo dall'abbraccio che è sembrato durare pochi secondi ma che in realtà è durato lunghi minuti. Accanto a noi c'è mia nonna, sta tenendo in mano il disinfettante, del cotone e dei cerotti "devo disinfettarti la ferita" mi informa indicando la mia mano per farmi capire che sta ancora sanguinando, anche se di poco. "Ci penso io, non ti preoccupare, tu finisci pure di prepararti" risponde Nate mentre allunga entrambe le mani per prendere tutti i prodotti necessari "grazie mille Nate, io e il nonno siamo quasi pronti, usciamo tra cinque minuti, preparati con calma Emily che è ancora presto, ci vediamo in chiesa" si avvicina verso di me posandomi un bacio sulla fronte prima di andarsene "a dopo Nate" lo saluta, poco prima di chiudere la porta dietro di sé.

Mi avvio verso il mio letto, mi siedo sull'angolo e subito dopo mi raggiunge Nate trascinando con sé la sedia che prima era posta davanti alla scrivania. Con lo sguardo concentrato imbeve il cotone con un po' di disinfettante e delicatamente mi tiene la mano destra prima di premerlo contro la mia pelle. Sussulto. "Vuoi che mi fermo?" il suo sguardo è ora rivolto verso di me, i suoi occhi azzurri come l'oceano mi distraggono per un secondo, sono davvero fortunata ad avere un amico come lui nella mia vita. Faccio cenno di no con la testa "no tranquillo, brucia un po' ma puoi continuare". Annuisce e riporge lo sguardo concentrato verso la mia mano cercando di assicurarsi che la mia ferita sia ben pulita. Io e Nate ci siamo conosciuti in un momento molto difficile della nostra vita, eravamo entrambi in ospedale quella sera del 21 luglio 2007. Io mi trovavo lì per via dell'incidente e lui era lì perché sua madre era malata di cancro e voleva spendere gli ultimi giorni con lei. Ricordo che passavamo le giornate nella sala giochi per bambini, a fantasticare riguardo cosa avremmo fatto da grandi, a come sarebbe stata bella la vita una volta usciti dall'ospedale. Lui mi dava speranza, sapeva che mia madre era in coma e che sua madre stava per morire ma non ha mai smesso di sperare che lei un giorno potesse guarire, e così fu. I medici rimasero sorpresi nel vedere che la chemioterapia aveva funzionato dato che lei era in condizioni abbastanza critiche. Mi promise che un giorno avrei vissuto anche io la gioia che stava vivendo lui con sua madre, nel sapere che lei sarebbe stata nella sua vita per molto più a lungo. Non ha mai saltato una visita all'ospedale per andare a trovare la mia, e proprio quando stavo quasi per perdere speranza mi ha ricordato che nella vita ciò che conta è avere fede e pazienza, e che una volta perse queste due allora sì che avrei perso mia madre per sempre. "Ecco fatto" dice in tono molto soddisfatto mentre, con la mano destra, si aggiusta i corti capelli biondo cenere all'indietro. "Grazie" rispondo abbracciandolo. Mi alzo in piedi e mi dirigo verso il mio armadio per prendere il vestito bianco per la cerimonia. Lo afferro e lo inizio ad osservare dall'alto al basso, mia madre amava il bianco e amava i vestiti anche se mio padre non le permetteva mai di indossarli perché li considerava provocatori. "La cerimonia inizia tra circa quaranta minuti, ricordati il biglietto con il discorso che hai scritto, ti aspetto di sotto" mi volto verso Nate, il suo sguardo è cambiato, sembra triste, ma noto che sta cercando con tutto sé stesso di nasconderlo per non farmi sentire male "Va bene, a dopo". Appena la porta si chiude, inizio, senza perder tempo, a cambiarmi, indossando frettolosamente il vestito, fatico però a tirare su la cerniera dietro e decido quindi di pensarci dopo. Nonostante il vestito non sia chiuso, noto come definisce bene le mie curve, sono sicura che a mia madre sarebbe piaciuto e mi avrebbe riempita di complimenti. In fretta e furia riprendo la sedia che Nate aveva lasciato accanto al mio letto e la ripongo accanto alla scrivania, subito dopo mi siedo e inizio a spazzolarmi i miei capelli color castano scuro, quasi nero che avevo piastrato ieri sera. Decido di non truccarmi molto perché so che finirei con il trucco sbavato, applico semplicemente un po' di blush sulle guance e un po' di terra per accentuare i miei zigomi. Mi metto dei tacchi bassi neri, prendo la borsa, il discorso e mi dirigo di sotto. "Mi puoi dare una mano?" mi giro di spalle e mostro la mia schiena scoperta a Nate, quando mi rivolto il suo sguardo sembra quasi imbarazzato, ma non avevo altra scelta, è l'unica persona in casa in questo momento, oltre a me. Si avvicina, e quando posa le sue mani sulla mia schiena sento un brivido scorrermi lungo il corpo che termina soltanto quando finisce ti tirare su la zip. "Ecco fatto, ora possiamo andare" mi sorride, mi prende una mano "dai andiamo che è tardi" annuisco e entrambi ci dirigiamo verso la macchina.

Hope - infanzia perdutaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora