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T

"Okay, ripetiamo".

Prendo un respiro profondo, facendo mente locale.
"Devo stare attento ai denti" inizio a recitare a memoria "cercare di prenderlo tutto, stimolere i testicoli e guardarlo negli occhi".

La mamma ride leggermente, accarezzandomi la testa "Stimolare, amore mio. Si dice stimolare."

"Oh cavolo. Non so neanche parlare. Come farò a diventare bravo come te?" sbuffo tirandomi le ginocchia al petto.

"Questo non c'entra nulla con quello che ti sta insegnando la mamma. Questo servirà per farti guadagnare dei soldi quando sarai grande. È un vero e proprio mestiere quello che ti sto insegnando".

"E perché non ci sono persone che lo fanno nei negozi? Perché lo facciamo di nascosto?"

"Alle persone non piace che lavoriamo davanti a loro. La gente ignora che ci sono persone come noi che non svolgono lavori 'normali', come il medico o l'insegnante. È un lavoro segreto, il nostro. Ma è decisamente dignitoso come qualsiasi altro mestiere. E se diventerai bravo a sufficienza, diventerai ricco e avrai una bella vita!" dice la mamma mentre mi prende in braccio. Adoro quando lo fa. Ha un buon profumo la mamma. E quando sono in braccio a lei il mio naso è pieno pieno di quel profumo.

"Ho un'altra domanda mamma" inizio ancora "perché lo facciamo solo per i maschi? Le femmine non vogliono essere toccate lì giù?"

La mamma sospira. So che odia quando le faccio troppe domande. Ma ha tanti segreti e io voglio sapere la verità, e lei sembra essere sempre buona quando mi risponde.

"Certo che le femmine lo vogliono. Ma è molto raro che paghino per questo. I maschi invece sono disposti a spendere milioni di won per quello che facciamo noi. La nostra è un'arte, caro Tae, e non dovrai mai pentirti se questa sarà la tua strada anche in futuro".



La nostra è un'arte.

L'arte di Jungkook era decisamente diversa da quella che la mamma mi aveva inculcato a quei tempi. Anziché destreggiarsi tra sex toys e lubrificanti Jungkook preferiva sfruttare pennelli e colori a olio.

Dopo quella che poteva esser chiamata discussione mi ero segretamente rintanato nel suo studio, con la speranza di calmarmi tra le decine di tele e attrezzi vari.
Alcuni pennelli erano dotati di setole dure e rinsecchite, mentre altri, chiaramente nuovi di zecca, avevano un beccuccio di plastica per proteggerli e meglio conservarli. Risultando forse addirittura maleducato, aprii i cassetti dell'enorme scrivania di legno, trovando tutto ciò che un artista potesse desiderare: colori a olio, carboncino, acrilici, spatole e gessetti. Adoravo il fatto che Jungkook non si limitasse ad adottare un solo tipo di stile, al contrario preferiva guardare l'arte a 360 gradi, nella sua totalità e nella sua completezza.

Risultando ancora più invadente, deviai verso la zona più profonda a cupa della stanza, dove innumerevoli tele prendevano l'intero spazio. Tutte erano coperte da lenzuola vecchie e ingiallite. Spolverandole leggermente con le mani, incuriosito, rimossi quell'unica barriera che mi separava dall'osservare l'operato dell'artista.

Una valanga di colori caldi mi travolse come un fiume in piena: ocra, rosso, terra di siena, giallo, marrone. I colori figli della natura, quelli che dedussi fossero i colori favoriti da Jungkook.
E, dovevo ammettere, anche i miei.

Tutte le tele ritraevano paesaggi sconfinati e cieli all'ora del crepuscolo. Boschi, foreste, campi di grano, nuvole. Tutto l'amore di Jungkook per la terra in cui aveva deciso di rintanarsi espresso tramite degli schizzi di colore.

Imbambolato da tale bellezza, non mi resi conto che un un'unica tela, la più grande di tutte le altre, e la più nascosta, era ancora coperta e impossibile vederla. Non resistetti alla forte tentazione e, cautamente, rimossi quell'unica dose di tessuto che mi separava dall'opera.

Non appena posai gli occhi sopra di essa fui costretto a scordarmi completamente di calore delle opere precedenti.
Un enorme campo di grano, incorniciato da un terribile temporale, con nuvoloni e nubi nere come la pece, un lampo in lontananza tra le colline che faceva risplendere i fili di grano di un meraviglioso e splendente azzurrino.
Inconsapevolmente mi si bloccò il respiro. Una lacrima solcò la mia guancia.
Tra tanta serenità una sola goccia di buio, dolore, tormento.
Quella goccia dal sapore amaro, quasi fosse veleno.

Per un attimo la mia mente creò un immagine tutta sua: immaginai Jungkook seduto davanti a una delle grandi vetrate del suo studio, che ammirava il grande temporale che si apprestava ad arrivare, tenendo il pennello tra le mani con delicatezza, incantato da quella spaventosa meraviglia.

"Taehyung" sentii chiamarmi dalla porta.

Mi girai di scatto tentando di coprire il quadro, colto dalla sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato.

"Che ci fai qui?" chiese secco guardandomi senza alcuna espressione.

Farfugliai qualcosa prima di rispondere sul serio "Non lo so. Cercavo un posto dove poter stare un po' da solo e il primo che mi è venuto in mente è il tuo studio".
Contorto come ragionamento, pensai.
Avevo cercato rifugio proprio nel laboratorio dell'uomo con cui avevo appena discusso.
"Perdonami, non pensavo potesse infastidirti" mi scusai afferrando le grandi lenzuola per riordinare quello che avevo fatto.

La sua espressione, come se non fosse successo nulla un attimo prima, si addolcì.
"Non sono arrabbiato" iniziò avvicinandosi, chiudendo la porta alle sue spalle "ti capisco, in fondo. Anche io vengo qui quando ho un problema e ho bisogno di pace" raccontò guardandosi intorno.

"Beh, è il tuo studio. Sono io che non dovrei essere qui." ammisi senza giri di parole, indicando non solo la stanza in cui mi ero intrufolato, ma riferendomi alle situazione in generale.

Mi guardò senza spiccicare parola. La sua espressione era totalmente indecifrabile.
"Taehyung" fece una pausa "smettila di pensarla così. Perché ti è così difficile pensare che io abbia accettato di ospitarti, e soprattutto aiutarti, senza avere alcun tipo di dubbio? Non so cos'hai passato, ma so che un briciolo di speranza in più in te non guasterebbe. Impara che al mondo non siamo tutti cattivi e non abbiamo tutti secondi fini. Non siamo tutti nati per sfruttare i nostri simili a nostro vantaggio".

Basito, non aprii bocca. Sapevo perfettamente che aveva ragione. Probabilmente presto o tardi avrebbe anche perso la pazienza ad ascoltare le mie continue lamentele e nel vivere sotto lo stesso tetto insieme ad un agglomerato di negatività. Dovevo cercare di cambiare, per me. Per Jungkook.

"Hai ragione" ammisi, mortificato.

Jungkook abbozzò un sorriso, accostandosi a me, stando ancora a guardare i catasti di tele.

"Quale stavi guardando?" chiese semplicemente.

Alzai lo sguardo dal pavimento, intimidito, ma contento del fatto che la nostra conversazione avesse preso una piega diversa.
Senza aprire bocca, indicai con un dito l'immenso quadro nero.

Il pittore si fece scappare una piccola risata, nascondendosi le mani nelle tasche.
"È il mio preferito".

Potrei giurare che mi si fossero inumiditi gli occhi udendo quelle parole.
Vedere un artista contemplare la propria opera era tutta un'altra storia. Le sue idee, i suoi pensieri, tutti proiettati su uno spazio bianco, atto ad attrarre gli occhi delle persone.
Era come guardare due facce della stessa medaglia, era come ammirare un artista guardarsi allo specchio, confrontarsi con il proprio ego, con il proprio io.

"Cosa significa?" feci seriamente curioso.

"Magari te lo spiegherò." si voltò a guardarmi, sorridendo a malapena, impercettibilmente commosso "Un giorno te lo spiegherò".

𝔯𝔞𝔤𝔞𝔷𝔷𝔬 𝔠𝔬𝔫 𝔩'𝔬𝔯𝔢𝔠𝔠𝔥𝔦𝔫𝔬 𝔡𝔦 𝔭𝔢𝔯𝔩𝔞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora